Mare Nostrum, Mediterraneo, ‚fankaso‘

Premessa

«Putenza di gibbiuni» è quanto avrebbe detto, secondo la cosiddetta ‘tradizione orale’, un contadino dell’entroterra siciliano giunto per la prima volta al cospetto del mare. La traduzione italiana, qualcosa come «che enorme gebbia!», non rende altrettanto bene lo stupore di fronte a una realtà per lui del tutto nuova e straordinaria. La grande efficacia di questa espressione, diffusa in Sicilia e utilizzabile in contesti più diversi per esprimere esagerata meraviglia, deriva dalla enorme sproporzione fra il mare e la ‘gebbia’ (“vasca che contiene acqua e che vien utilizzata per abbeverare campi e dare da bere agli animali”) di cui il termine ‘gibbiuni’ è accrescitivo sic. -uni (it. –one).

1. Uno sguardo nella diacronia familiare

Riferirsi al mare, una realtà che fa parte del bagaglio di parole/saperi più comuni (almeno per chi vive oggi in Europa), utilizzando un dato lessicale/esperenziale così distante, può semplicemente avere il sapore della battuta e dello scherzo. Ma può anche farci, almeno per un attimo, guardare al mare con gli occhi e le orecchie di quell’immaginario contadino.
Per le persone della mia generazione non è poi così difficile. Mio nonno e mia nonna paterna hanno vissuto tutta la loro vita a Collesano, un paese di poche migliaia di abitanti nell’entroterra della Sicilia, sulla direttrice Palermo-Messina. Come per tanti loro coetanei, il mare, pur lontano poche decine di chilometri da casa, non faceva parte del loro orizzonte di vita. Certo era capitato ad entrambi di scorgerlo a poca distanza, sulla macchina a noleggio che li ha condotti a Palermo un paio di volte nella vita, in uno dei rarissimi spostamenti legati a gravi malattie. E, a partire dagli anni ’60, quando la televisione era diventata una presenza costante dei loro pomeriggi e serate, erano divenute anche per loro familiari, insieme a tante altre immagini, quelle di mari in tempesta o spiagge assolate. Ma nonostante questo, il mare era rimasto sempre per loro, nati negli ultimi decenni dell’Ottocento, qualcosa di estraneo e inquietante. Ricordo con precisione mio nonno che, durante il periodo di nostra permanenza estiva nella sua casa nel centro del paese, con chiaro rimprovero, domandava «ma chi ci iti a-ffari a-mmari?» («ma che ci andate a fare a mare?») quando qualcuno di noi nipoti osava accennare alla possibilità di una gita a mare. Dove noi vedevamo secchielli e salvagenti, lui vedeva una realtà minacciosa ed ostile, di cui avere sempre e solo paura. Il suo era il mondo del grano, delle vacche e giumente, delle pecore, e appunto delle gebbie.
Anche i nonni materni, pur vivendo a Cefalù, paese oggi internazionalmente noto anche per la sua grande spiaggia, credo non avessero mai messo un piede nell’acqua di quel mare che era pochi metri da casa loro. Il rapporto fisico col mare era riservato, nella loro infanzia e giovinezza, e poi anche nelle altre fasi della vita, solo alle famiglie dei pescatori, dalle quali loro, piccoli proprietari terrieri, ci tenevano a marcare le distanze. Il ritorno di me e di mio fratello bambini, pieni di sabbia e sudati, da una mattinata passata sulla spiaggia di Cefalù era accompagnato dalla voce di mia nonna che sentenziava «pariti piscaturazzi», («sembrate dei pescatoracci»). Sembrare pescatori – o meglio 'piscaturazzi', con l’aggiunta del suffisso sic. –azzi, (it. –acci), indicatore del senso dispregiativo del termine – equivaleva a un giudizio inequivocabile sullo stato di pulizia dei nostri piedi e vestiti. E poi, per loro, come per tutti a quei tempi, il mare era la paura della furia incontrollabile, del naufragio. Erano immagini e ricordi delle numerose tragedie che, nei primi decenni del secolo scorso, avevano avuto come vittime pescatori di Cefalù. E, insieme a queste, le spesso travagliate esperienze di migrazione che negli anni 30-40 avevano condotto parte della famiglia in America su piroscafi di grandi e medie dimensioni, non sempre affidabili. Nessuno, per fortuna, aveva fatto naufragio, ma il pericolo che si correva in quelle traversate era parte della loro ‘enciclopedia’ essenziale. La paura del mare era in quel caso la paura dell’Oceano, di quelle onde che, nei racconti di chi aveva fatto la traversata, avevano una forza di gran lunga superiore a quelle del Mediterraneo.

2. Mare Nostrum

Il rapporto con il mare dei miei nonni era certamente distante anni luce da quello di molti siciliani ed europei oggi, fatto di esperienze per molti versi simili alle mie: giornate intere, indimenticabili, fra acqua e sole, con amici e colleghi, a Scopello o a Cefalù, a Pantelleria o Salina, con figli ancora piccoli ma già espertissimi in tuffi ed immersioni. Con tavolate vocianti, vino e birra ghiacciata, pesce e anguria. E insieme a questo la consapevolezza, anch’essa profondamente diversa da quella che avevano i miei nonni, poco più che alfabetizzati, che proprio il mare Mediterraneo, ha avuto ed ha ancora oggi, una dimensione letteraria, storica, politica, economica, naturalistica di importanza eccezionale non solo per l’Europa. E di questa dimensione, che accompagna ancora oggi la crescita culturale di un grande numero di giovani di tante parti del mondo, fanno parte sia il Mare Nostrum dei romani, mare al centro del mondo allora conosciuto, sia il Mediterraneo, 'mare mediano' o 'intermedio' (al-Bahr al-Mutawassit secondo la denominazione araba), nel quale il riferimento è a uno spazio che unisce e mette in contatto. Molte fra le lingue moderne, d’altra parte, continuano in forme diverse il nucleo semantico di 'mare medio, mare in mezzo alle terre'. Oltre alle lingue romanze anche l’inglese Mediterranean Sea, il tedesco Mittelmeer, l’ebraico Hayam Hatikhon, il berbero Ilel Agrakal, l’albanese Deti Mesdhe. E proprio l’idea di Mediterraneo come crocevia di civiltà è quella più fortemente presente nella cultura europea, così come abbiamo imparato, fra gli altri, da Henri Pirenne e Fernand Braudel.

Questi brevi cenni alla mia storia familiare e al sentire comune di tanti Europei, e non solo, servono da sfondo per guardare al presente e alle novità rispetto a questa, mia/nostra percezione. Partendo dai nomi, il cui cambiamento è spesso spartiacque fra mondi ed esperienze.
Il nome Mare Nostrum che un tempo serviva a collocare queste acque al centro del mondo, crocevia di traffici commerciali indispensabili per fare grande la città eterna, oggi indica altro. Se lo cerchiamo su un motore di ricerca quale Google dobbiamo scorrere molte pagine per trovare il riferimento al nome latino, alla storia e alle vicende politiche dell’Impero; quantitativamente dominante è, infatti, il riferimento ad una sigla militare, all’operazione Mare Nostrum, una missione di salvataggio in mare dei migranti in arrivo dalle coste libiche al territorio italiano, realizzata dalla Marina e dall’Aereonautica Militare italiana nel 2013 e 2014.
Fra l’etichetta che abbiamo imparato a conoscere sui banchi di scuola e quella alla quale ci rimanda massicciamente Google, c’è una enorme distanza. Anche in questo caso può essere utile farci guidare da questo scarto per confrontare immagini e parole, questa volta non sull’asse temporale ma su quello spaziale. L’orizzonte a cui guarderemo oltrepassa le coste del Nord Africa (linguisticamente e culturalmente ben conosciute e per molti versi vicine) e giunge alle aree a sud del Sahara, assai distanti non solo in termini di chilometri ma di lingue, culture, esperienze di vita.
Ci faremo guidare da alcuni giovani, arrivati da qualche anno in Italia, grazie proprio all’operazione Mare Nostrum o a quelle successive, anch’esse con nomi che rinviano al nostro passato greco-romano: operazione Triton, Themis, Sophia, Frontex. Limiteremo la nostra piccola inchiesta solo a giovani provenienti dalla Guinea Conakry e dal Gambia, Paesi affacciati per lungo tratto sul Golfo di Guinea, e ad un ragazzo del Mali, nazione priva di sbocchi a mare. Prenderemo in considerazione sia migranti analfabeti all’arrivo in Italia, sia migranti fortemente scolarizzati. Accanto alle loro parole trovate anche dei disegni di barche, salvataggi, naufragi, disegnate dagli stessi ragazzi all'interno del progetto Odisseo Arriving Alone (per cui si veda il volume dallo stesso nome edito dalla Scuola di Lingua italiana per Stranieri nel 2016).

 

 

3. Il Mare Nostrum degli altri

Souleyman e Amadou, sono due ragazzi della Guinea Conakry (rispettivamente di 21 e 18 anni), arrivati in Italia (nel 2016 e 2017) completamente analfabeti, quindi nelle condizioni migliori secondo i nostri antenati geolinguisti, per essere buoni rappresentanti delle loro lingue e culture. Essi, insieme ad altri che conosceremo fra poco, hanno in queste pagine il ruolo di “intervistati”, “parlanti”, “native speaker”, “informatori”, “fonti”. O forse meglio, in termini meno tecnici, di provvisorie guide per cercare di addentrarci in pezzi di mondo che conosciamo ancora poco e spesso solo dall’angolo visuale delle nostre percezioni e paure.
Souleyman e Amadou sono due rappresentanti prototipici di quelli che l’Italia (e l’Europa) chiama ‘migranti economici’, di chi ha attraversato prima il deserto e poi il mare semplicemente (sic!) per migliorare le proprie condizioni di vita, e quindi da rimandare a casa loro il più presto possibile. In entrambi i casi il loro arrivo in Italia ha come motivazione quella di sfuggire a forme di vera e propria schiavitù, iniziate quando erano piccolissimi, dovute alla disgregazione del loro nucleo familiare e al loro essere privi di protezione da parte degli adulti. Come tanti altri giovani, e in particolare quelli dei quali parleremo in queste poche pagine, sono fortemente dotati di una caratteristica importantissima per i geo-socio-linguisti: sono straordinariamente curiosi e acuti, sanno descrivere con precisione, non si stancano delle domande, si divertono per gli strani 'terzi gradi' a carattere linguistico a cui sono spesso sottoposti da me.
Sono entrambi fulanì cioè appartengono ad uno dei due gruppi etnici più rilevanti del Paese (insieme ai malinké e soussou). La lingua della loro famiglia è il pular (conosciuto anche come pulaar, pula, ful, fulfulde, peulh), ma come la stragrande maggioranza di chi arriva dall’Africa subsahariana padroneggiano diverse lingue, nel loro caso anche francese, mandinka e wolof. Per le prime due lingue la spiegazione è scontata: esse fanno parte delle lingue del territorio nazionale e vengono apprese di norma in contesti esterni alla famiglia.

La terza, il wolof, è una lingua appresa da entrambi in Senegal, dove sono stati inviati poco più che bambini; il primo da un falegname per imparare il mestiere e il secondo in una daara (termine arabo che indica un luogo di formazione) nella quale ha appreso, insieme ad un centinaio di ragazzini e sotto la guida di un seriñ daara (in wolof ‘maestro’), come recitare il Corano e come mendicare al mercato per potere sopravvivere. L’acquisizione spontanea di nuove lingue durante i frequenti periodi di mobilità, anche precedenti al viaggio migratorio che li ha condotti fin qui, è una realtà assai comune per tanti ragazzi africani. Ciò determina un ulteriore arricchimento del diffuso multilinguismo sociale e plurilinguismo individuale che caratterizza in particolare l’Africa occidentale dalla quale provengono tanti giovani migranti.
Le interviste sono state fatte in italiano, lingua che sia Souleyman che Amadou (e anche gli altri ragazzi di cui parleremo in seguito) padroneggiano assai bene oralmente e sanno ora anche scrivere e leggere. Raramente scrivono (quasi esclusivamente su Facebook) in pular, mandinka e wolof, lingue che usano invece costantemente nella comunicazione orale anche attraverso media.
Le interviste che ho realizzato hanno avuto una struttura assai semplice. Poche domande: “come si chiama nella tua lingua materna il mare?”, “come si chiama il mare Mediterraneo?”; “raccontami quando hai visto per la prima volta il mare”, semplici spunti per avviare il racconto. Qui di seguito sono state trascritte solo parti di conversazioni a volte assai lunghe e durante le quali si è parlato di tanto altro.

Alla prima domanda “come si chiama il mare nella vostra lingua materna?” Souleyman e Amadou rispondono con due termini radicalmente diversi géej (Amadou)/ maayo (Souleyman). Rimango interdetta. Vengono dalla stessa zona della Guinea Conakry, una area dell’interno caratterizzata da ampia diffusione della pastorizia (alle quale spesso si dedicano i fulanì). La radicale diversità fra i due termini mi insospettisce. I due ragazzi messi a confronto ridono soddisfatti come spesso fanno quando hanno chiara la soluzione del problema che io invece non ho. La spiegazione è presto data: géej è il termine wolof, la lingua nella quale Amadou ha visto il mare per la prima volta. A sette anni alla morte del padre Amadou è stato inviato dalla madre, che vuole metterlo al riparo dalle violenze del nuovo marito (fratello del padre), in una scuola coranica a Dakar in Senegal. Lì impara rapidamente il wolof indispensabile, come si è detto, più che per imparare il Corano, per mendicare. Lì vede per la prima volta il mare: «mi ricordo che erano i primi giorni che ero lì / sono arrivato sulla spiaggia/ c’erano tanti bambini che giocavano con pallone // ho visto il mare / non avevo mai visto // non sapevo che c’era il mare/ la prima volta che sono andato avevo 7 anni // la prima volta che sono entrato m’è venuto piacere/ perché sono andato fare bagni/// mi ricordo acqua salata/ c’era molta gente/ musica / c’era gente dentro/ se no c’era nessuno no potevo entrare// perché avevo paura».
E ancora «in mia lingua non c’è Mediterraneo // se parlo mia madre/ dico ho passato mare // no so Mediterraneo // ho passato mare // non c’è mia lingua».
Souleymane, concorda, «in pular c’è solo il mare // maayo». E poi racconta «Il mare non ho mai visto in Guinea// ho visto per la prima volta in Senegal // avevo 10 anni //ho visto/ era molto grande / enorme// avevo molta paura //poi alla fine mi hanno convinto// sono andato/ ho fatto bagno e sono uscito// quando ho visto il mare / in Libia/ era diverso // il mare Mediterraneo/ essendo nel bordo del mare/ non c’è fine / era pericoloso // perché non avevo scelta / alla fine ho attraversato/ non avevo scelta/ non avevo scelta».
Questa percezione della diversità fra quello che sentono come il loro mare, la vasta insenatura dell’oceano Atlantico che prende il nome di Golfo di Guinea, e il mare che hanno visto in Libia è comune a tutti i ragazzi intervistati. E i termini ‘grande e pericoloso’ si ripetono costantemente anche per chi, pienamente scolarizzato ha avuto, assai prima di giungere in Italia, esperienza di mappe e carte geografiche. Così Fousseny ha 23 anni, viene dal Mali, dove ha studiato fino alle soglie del diploma. Oltre al bambara (parlata come L1 o L2 dalla stragrande maggioranza dei maliani), parla perfettamente francese (lingua ufficiale nella sua Nazione). Le sue risposte sono «mare si dice kɔgɔji   in bambara // ji significa ‘acqua’ e kɔgɔ vuole dire ‘salata’ // vuole dire l’acqua salata// mare Mediterraneo è italiano e francese ma non esiste in bambara diciamo kɔgɔji Mediterranée // mare che si trova tra Africa e Europa //  kɔgɔji è in generale tutti mari […] la prima volta [ho visto il mare] in Algeria //e dopo la Libia / e poi Italia // ho visto che era ancora più grande che il fiume// questo mare è grande e pericoloso // l’acqua del fiume più calma / […] la prima volta che ho visto // avuto paura // ho pensato “le persone che hanno attraversato/ ma come si fa / devi essere pazzo per attraversare”».

Come Fousseny anche Mustapha, uno dei tantissimi giovani gambiani che hanno lasciato negli ultimi anni il loro Paese, è ben scolarizzato. Parla mandinka e jola apprese all’interno della famiglia, e poi wolof e inglese. Anche per lui la distinzione è quella fra mare e fiume fankase /muchamben (jola), fankaso /ba (mandinka). Segnala diversi esempi in quest’ultima lingua: «fankaso jawyatale significa ‘mare pericoloso’ come il Mediterraneo, fankaso kamoo kunungne ‘mare che inghiotte le persone’ kunung ‘inghiotte’, moo ‘le persone’; ba invece è come ‘river’, ‘fiume’». Dopo questa prima precisazione terminologica Mustapha racconta a lungo la prima volta che ha visto il mare. Anche per lui, come per Fusseny e tanti altri, è avvenuto durante quella che i gambiani chiamano la backway cioè il viaggio per “l’altra strada, la strada secondaria, la strada pericolosa” che li conduce in Europa.
Questa prima volta, diversamente da Souleyman e Amadou che «non sapevano che c’era il mare» è preceduta da un sapere ampio, fatto di libri di scuola e di mappe geografiche, ma soprattutto di tante immagini inviate via facebook o whatsapp da coetanei in attesa nelle connections libiche (i diversi luoghi di raccolta prima della partenza, il più delle volte situati nei pressi del mare), da video musicali scaricati da youtube il cui titolo è spesso semplicemente Fankaso, da quanto attraverso internet è riuscito a procurarsi per prepararsi alla backway. Non gli mancava quindi la cosiddetta ’enciclopedia’ ma l’esperienza diretta. «Conoscevo che già esisteva ma non avevo visto/ quando eravamo entrati in Libia/ dopo qualche mese ero a Tripoli// c’erano palazzi / le persone ti vedono/ ti possono anche sparare// sentivamo vuu vuu vuu / c’erano palazzi alti /sono salito su un palazzo con miei amici alto/ vuoto / senza nessuno // avevo sentito rumore vuu vuu // ho visto il mare// si agitava sempre non era calmo// /io avevo sempre paura/ ho pensato domani andrò dentro questo mare per attraversare in Italia// siamo stati dei mesi nella connection // un posto chiuso / per spettare quando viene buon tempo// e lì eravamo chiusi // un posto circondato da muri / c’erano due porte e una era sul mare// io andavo per guardare/ entravo in acqua/ solo i piedi/ cercavo di prendere confidenza// sono stato due mesi/ ho visto le barche che partivano// una notte sono venuti i libici/ i banditi /ci hanno portato via// in un’altra connection / sentivo il rumore/ avevo paura del mare/avevo paura del posto/ avevo paura /perché c’erano persone … /avevo paura che venivano i banditi/i militari//i libici/ avevo paura /c’erano stati naufragi/ erano morti tanti amici// io sapevo/ e poi ci hanno detto “dovete partire” e ci hanno portato a mare/ e abbiamo fatto una linea per partire /una fila// e io avevo paura /prima di andare abbiamo lasciato tutto/ scarpe /bracciale / collane // e poi /abbiamo tolto vestiti rossi// per la sfortuna // questa è una cosa che abbiamo detto noi ragazzi / quando siamo partiti dentro il mare/ ho avuto paura / guardavo /non c’era niente// non c’erano alberi/ niente/ niente. […] // ancora ho paura quando vedo il mare/ mi vengono in mente tante cose /anche ieri sera sono stato a guardare il mare/ mi siedo /sto a guardare /mi vengono in mente tante cose/ tante / ho bisogno di pensare da solo».
Per spezzare la tensione ci mettiamo ad ascoltare una delle tante canzoni gambiane che si intitola Fankaso, e Mustapha si offre di trascriverla in mandinka e di farne una versione inglese e italiana. La riporto qui sotto come altro piccolo contributo alla conoscenza di saperi, esperienze, immaginari che una parte dell’Europa vuole respingere al di là del mare.

FANKASO

Haa…fankaso ye nkijotey
Allingna sabarotaa
Allama allah yalisoo kalisoo
Susay nafulolaaa….

Hey…the sea has broken my heart
Let us have patience
May Allah grant you something to bring back home

Hey …il mare mi ha spezzato il cuore
Dobbiamo avere la pazienza
Che Dio vi dia qualcosa da portare a casa

Lung minna isaratanna
Iko ibitala tamala

The day you told me that
you are travelling or leaving
for the backway

Il giorno in cui mi hai avvisato che te ne stavi andando attraverso l’altra strada

Ding ding mung fing titalay
Wolkoyeh allama ning kayra benna
Musol mung fingtita
Wolkoye allama keh nyingma ta ning
Nyinma natiwoo

The children that came out told you
Good luck,
The women that came out told you
May you go in peace and come in peace

I bambini che sono venuti ti hanno detto “buona fortuna”
Le donne che sono venute ti hanno detto “possa tu andare in pace e tornare in pace”

Ibota Gambi idungta Senegal
Ibota senegal idung ta Bamako
Ibota bamako idung ta Burkina Faso
Kamurung murung kamurung murung ko moto

You left Gambia and headed to Senegal
From Senegal you arrived in Bamako
From there you arrived in Burkina Faso
Turning and turning like a car or vehicle

Sei partito dal Gambia per il Senegal
Dal Senegal sei arrivato a Bamako
Da lì sei arrivato in Burkina Faso
Girando e girando come una macchina

Na ma bo dawooda
Kamurung murung kamurung murung ko saikul kenoo
Ibota Burkina idungta Niger
Munebaywula konkoo laybay wulaa
Munebay wulaa allama allah yalisoo
Kalisoo susay nafuloola

My dear mother I didn’t reach anywhere
Turning and turning like a bicycle chain
From Burkina you arrived in Niger
What is in the jungle? There is hunger and suffering in the jungle
What is in the jungle? May Allah grant you something to bring back home

Mia cara mamma non sono arrivato in nessun posto
Girando e girando come la catena di una bicicletta
Dal Burkina Faso sei arrivato in Niger
Cosa c’è nella giungla? C’è la fame e la sofferenza
Cos’è nella giungla? Che Dio vi dia qualcosa da portare a casa

Alifakende jelle kumbota
Kasaroo bayfankasi baato

How many great men cried
There is a disaster in the sea.

Quanti uomini hanno pianto?
C’è un disastro nel mare

Namusu kende jellekumbota
Wolla saro bay fankasibaato
Wolyeh le musol su tuu
Doluwolyeh dingolu tusuu
Wolbay bay fankasoto chory mamma bulokonoo

How many great women cried
Their only and sole child is in the sea
Who left their wives home
Some left their children home
All of them are in the sea,
in the hands of the kankurang1

Quante donne hanno pianto?
I loro unici figli sono nel mare
Alcuni hanno lasciato la propria moglie a casa
Altri hanno lasciato i loro figli a casa
Tutti questi sono nel mare
Nelle mani del kankurang

Hey hey wula mang dii
Fankaso sali tijeh bitique tijeh
Soko isansayro tay fankasi baato
Fonding kel bay wulla
Wolubay feng nyingningla
Baba nyol la bataala
Mandingwolbay wula wolbay
Feng nying ningla
Mamma nyol la bataa

Hey hey the jungle is not easy
In the sea there is no room neither a shop
Much more a fuel station is not in the sea
The youths are hustling in the jungle
Due to the hardship of the family
All the people are in the jungle due to the hardship
That their mothers are going through

Ehi, ehi. la giungla non è facile
Nel mare non c’è una stanza né un negozio
Neanche una pompa di benzina
I giovani si stanno facendo in quattro nella giungla
A causa alla povertà della famiglia
Tutti sono nella giungla per la sofferenza
Che le madri stanno affrontando

Woleyehamo dungdi ntolla
Wolubay kasaralaa wula

Those conditions made us left
And those conditions are making us to suffer in the jungle

Quelle condizioni ci hanno spinto a partire
E quelle condizioni ci fanno soffrire nella giungla

Dolu wolbay saharato wolufata
Nko ye konkoo naa
Fonjo bayfela konkoo bay tailaa

Some people died in the desert
Dear mum, the hunger.
The wind is blowing and the rocks are breaking

Alcuni sono già morti nel deserto
Cara madre, la fame
Il vento soffia forte e si rompono le rocce

Motofang titaala abitala ming too nnaaaa
Dokarey fondingkel
Alinga nsabari allah muta
Kartong to Koina ngaludanii
Alinga doko jolong

The vehicle could not even move, if it does, where will it go? Mother.
Begging on all the youths, please let us have patience
From Kartong to Kiona2, let’s drop the stick

Il veicolo non può neanche più muoversi, anche se potesse, dove andrebbe?
Madre sto pregando tutti i giovani di avere la pazienza
Da Kartong fino Koina lasciamo cadere il bastone arrendiamoci

Chory mamma chory mamm wooo
Fankasoo chory mamma wobayya
Ayekeyday le dungnga
Hey molu alinga sabaroo ta

Kankurang kankurang (chory mamma)
The sea belongs to you
Made me felt lonely, please people let’s give up or surrender

Kankurang kankurang
Il mare appartiene a te
Mi hai fatto sentire solo come un solitario, per favore arrendiamoci.

(testo in mandinka e musica di Almaska, Gambia, FANKASO 2016, traduzione inglese e italiana di Mustapha Jariu)

https://youtu.be/7UcJCi7TuVY

 

 

Bibliographie

  • Amoruso/D'Agostino 2017 = Amoruso, Marcello / D'Agostino, Mari (2017): Teenage and adult migrants with low and very low education level. Learners profile and proficiency assessment tools. In J.C. Beacco, H.J. Krumm, D. Little, & P. Thalgott (a cura di), The Linguistic Integration of Adult Migrants / L’intégration linguistique des migrants adultes , Berlin, De Gruyter, (pp. 345-350).
  • D'Agostino 2012 = D'Agostino, Mari (2012): Sociolinguistica dell'Italia contemporanea, Bologna, Il Mulino.
  • D'Agostino 2017 = D'Agostino, Mari (2017): L’Italiano e l’alfabeto per i nuovi arrivati., vol. 11, TESTI E LINGUAGG, 141-156.
Fra chi parla mandinka in Gambia e nella regione di Casamance (nel sud del Senegal) kankurang è uno spirito incarnato da un danzatore mascherato, considerato il principale custode delle celebrazioni dell’etnia mandingo come il rito della circoncisione e della celebrazione del matrimonio. I mandingo ritengono che il kankurang può curare l’infertilità nelle donne.
Si tratta di due località poste agli estremi del Paese.
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Ein Haufen alter Käse?

4. La geolinguistica3 e i media ieri e oggi

Die sprachwissenschaftliche Forschung befindet sich in einer Übergangsphase. Ihre Rahmenbedingungen haben sich seit der medialen Revolution so grundlegend verändert, dass es notwendig ist, die etablierten Forschungstraditionen systematisch zu überdenken und in mancherlei Hinsicht neu zu justieren. Hier sind nun vor allem die Bereiche gefordert, die mit der Erhebung und Aufbereitung empirischer Daten zu tun haben. Exemplarisch ist die Situation der Sprachgeographie, also der Subdisziplin, die seit ihrer Begründung zu Beginn des 19. Jahrhunderts […] in systematischer Erhebung gesprochener Daten fundiert ist.(???)

Una rivoluzione mediale in atto, nuovi orizzonti in un mondo globalizzato, rapide ed efficaci possibilità di scambio di idee e di discussione – e una fase di transizione di una disciplina scientifica, la linguistica, che deve confrontarsi con tali cambiamenti e, dunque, riflettere sulle possibilità, ma anche sui problemi che essi comportano. Le parole (???) riportate sopra descrivono bene non solo i recenti sviluppi mediatici, ma anche quanto verificatosi nella seconda metà del XIX sec., in cui i progressi nella tecnica di stampa, la nascita di nuove riviste scientifiche, innovazioni nel sistema postale e l’avvento di rivoluzionari mezzi di trasporto favorirono lo sviluppo e il riorientamento della nostra disciplina, che si emancipò dal suo ruolo ancillare, ma anche dai suoi orientamenti storico-comparativi, per dare vita a nuove, importanti subdiscipline (cf. (???), (???)).

Gli evidenti paralleli tra i cambiamenti mediatici dell'Ottocento e quelli ora in corso offrono lo spunto per una riflessione su alcuni aspetti della geolinguistica ieri e oggi, sugli intrecci tra approcci teorici e metodi empirici e sul ruolo che gli strumenti materialmente utilizzati per la raccolta dei dati e le forme mediatiche di rappresentazione - con le potenzialità e limiti loro propri - svolgono nello sviluppo e orientamento della teoria linguistica.

A dare il la alle nostre riflessioni sono scambi epistolari di Hugo Schuchardt con alcuni protagonisti della prima fase dell’atlantistica linguistica romanza,4 cui fanno da contraltare osservazioni più recenti sugli atlanti linguistici "classici" e sulle sfide dei nuovi progetti "atlantistici" nel contesto della digitalizzazione (cf. (???), (???), (???), (???)).

5. Un antesignano della geografia linguistica: Hugo Schuchardt

Pare superfluo ricordare qui l'importanza dell'opera di Hugo Schuchardt per lo sviluppo della linguistica a cavallo tra Otto- e Novecento. (cf. (???)). Tre filoni del suo pensiero, strettamente connessi l’uno all’altro, paiono giocare un ruolo fondamentale però anche per la nascente geolinguistica: i principi della ricerca etimologica e la sua concezione della linguistica storica, ambiti nei quali Schuchardt prese ben presto le distanze dal severo schematismo neogrammaticale (???); la discussione sulla classificazione delle lingue e sui confini di lingue e dialetti (cf. la relazione di abilitazione nel 1870, pubblicata nel 1900 (???)), e l’approccio di Wörter und Sachen, di cui egli è considerato fondatore assieme a Rudolf Meringer (cf. (???), (???), (???)). Il quadro teorico-metodologico che Schuchardt sviluppò all'interno di questi tre ambiti di ricerca fu essenziale per la nascita e lo sviluppo della geolinguistica e l'influsso schuchardtiano sui primi atlanti romanzi, in particolare l'Atlas linguistique de la France (ALF) e, ancor più, l'Atlante linguistico ed etnografico dell'Italia e della Svizzera meridionale (AIS5) (???) non solo è riconosciuto dai maggiori studiosi di storia della linguistica, ma era ben presente già ai principali attori dell'atlantistica dell'epoca. Jakob Jud per esempio gli scriveva: "Sie, geehrter Herr Professor und Gilliéron haben uns Jüngeren die reichste Anregung zu neuer Forschungstätigkeit gegeben". (n° 05150, 4 aprile 1910)6

È evidente che lo sviluppo dell'apparato teorico e metodologico schuchardtiano che si rifletterà nelle opere degli studiosi che a lui si ispirarono, è debitore di un momento storico particolarmente favorevole allo scambio interdisciplinare.7 La fruttuosa permeabilità tra discipline diverse si manifesta in Wörter und Sachen, in cui lo studio etnografico-antropologico diviene sussidio fondamentale per la ricerca etimologica, (cf. tra gli altri (???)) ma anche e soprattutto nell'applicazione della rappresentazione cartografica nella ricerca linguistica al fine di rappresentare la diversità linguistica nello spazio (???).

La storicità del fatto linguistico, che ha un ruolo fondamentale anche nella concezione dell'AIS, è il filo conduttore che lega i tre filoni di ricerca schuchardtiani summenzionati. Wörter und Sachen nasce infatti dall'impeto, favorito dal fruttuoso scambio tra etnologia e linguistica esistente negli ambienti accademici e paraaccademici austriaci (cf. (???), (???))8, di realizzare una Sachwortgeschichte sulla scorta di un'etimologia che presti la dovuta attenzione alla dame sémantique (cui poi si accompagneranno anche altre dames, la più importante delle quali, in questa sede, è sicuramente la dame "Géographie" (???)) ed emancipandosi dalla rigida osservanza di ineccepibili leggi fonetiche (cf. per es. (???), (???)). La questione della classificazione degli idiomi infine è intimamente legata a quelle sull'origine del mutamento linguistico e della diversificazione linguistica nel tempo.

A tale quadro teorico mancava però una controparte metodologico-materiale con cui affrontare la ricerca empirica. Schuchardt stesso lamenta spesso la mancanza, nel mainstream linguistico allora imperante, di strumenti e metodi per affrontare in maniera adeguata le questioni indicate, tenendo in debito conto la funzione dello spazio e dei fattori extralinguistici (in generale: culturali) nell'evoluzione linguistica. Così, trattando dei complessi rapporti e influssi intra- e interlinguistici tra idiomi romanzi e slavi, rileva che:

Über die Verbreitungsgebiete der einzelnen Sprechweisen gebricht es noch ganz an Hülfsmitteln; die Sprachgeographie liegt noch in den Windeln.(???)

In altra sede, esprimendo la necessità di non separare la dimensione culturale da quella linguistica, afferma:

Wir bedürfen mundartlicher Wörterbücher mit eingeschalteten Bildern, wovon das saint-polsche von E. Edmont eine Probe bildet, oder besser mit einem ganzen Bilderatlas, welcher die Ethnographie (und als Anhang dazu die Naturkunde in einem gewissen Ausmass) systematisch darstellt, ein wirklicher Sachindex zum alphabetischen Wortverzeichnis.(???)

La nascita dell'atlante linguistico sulla scia di Wörter und Sachen è sintomatica del bisogno di correlare il dato linguistico con informazioni sulla sua dimensione spaziale. L'approccio che ne sta alla base ne condiziona gli interessi ed è anche, forse, responsabile dei suoi limiti, ben evidenziati da Krefeld nell'analisi dell’AIS (???). I principi dell’autoctonia e della ruralità infatti “entrano facilmente in conflitto con il principio della modernità in generale e della sincronia linguistica in particolare” (???), causando una delle aporie della prima atlantistica linguistica: l’interesse prettamente sincronico alla base degli atlanti e una metodologia inquadrabile all'interno della linguistica storica.  Tuttavia - e qui sta il nocciolo della questione - l'elaborazione di metodi adeguati per la realizzazione di un atlante, l'approccio empirico adottato per la raccolta dei dati, ma anche le possibilità di consultazione del "prodotto-atlante" sono motori dello sviluppo teorico-metodologico della dialettologia e della linguistica:

La disponibilità dei dati dell‘ALF nella loro forma grezza e la necessità di spogliarli mediante l’uso corrente di carte mute hanno costretto tutti gli utenti dell’ALF (e successivamente anche degli altri atlanti linguistici di tipo romanzo) a convertirsi inevitabilmente in più o meno abili classificatori di dati dialettali nonché in (più o meno) provetti cartografi. Mi pare che una buona parte dello slancio scientifico della geografia linguistica romanza sia dovuta a questo duplice stimolo.(???)

L'interdipendenza tra metodi e strumenti disponibili per la raccolta e la rappresentazione dei dati e gli sviluppi teorici della linguistica costituiscono il fil rouge che guida la selezione dei pezzi di corrispondenza qui presentati, che costituiscono la base per il confronto tra i problemi e gli sviluppi della geografia linguistica dell'epoca e quelli posti attualmente dalla rivoluzione digitale.

6. L'AIS e il Linguistischer Atlas des dacorumänischen Sprachgebiets: questioni teoriche-metodologiche alla luce di alcune testimonianze epistolari

Nell'elenco dei corrispondenti di Schuchardt figura la crème de la crème della linguistica d'epoca, tra cui molti protagonisti della ricerca dialettologica e geolinguistica dell'epoca: il 'padre' della geografia linguistica romanza, Jules Gilliéron,9, gli ideatori dell'AIS Jakob Jud10 e Karl Jaberg11 e i raccoglitori Paul Scheuermeier (???), Max Leopold Wagner (???) e Gerhard Rohlfs (???), i membri dell'équipe dell'Atlante Linguistico Italiano Matteo Giulio Bartoli (???) e Giulio Bertoni (???), oltre che Vittorio Bertoldi (???), Antonio Griera y Gaja, realizzatore dell'Atlas Lingüístic de Catalunya, Gustav Weigand 12, autore del Linguistischer Atlas des dacorumänischen Sprachgebiets (???) e Sextil Puşcariu.13. Per le nostre riflessioni ci baseremo su alcuni brani selezionati della corrispondenza con Jakob Jud e con Gustav Weigand che ci paiono significativi per illustrare i profondi intrecci e interdipendenze tra raccolta e rappresentazione dei dati da una parte14 e lo sviluppo del pensiero linguistico dall'altra.

I due atlanti, di cui i linguisti citati sono ideatori e autori, l'AIS e il Linguistischer Atlas des dacorumänischen Sprachgebiets, mostrano caratteristiche assai diverse, sia per quanto riguarda l'ambito geografico-linguistico, sia per l'epoca di ideazione e realizzazione,15 l'ampiezza e la qualità del materiale raccolto e presentato, la densità e l'estensione della rete di inchiesta16 e, non da ultimo, per gli interessi che ne stavano alla base17 e per la metodologia con cui si svolsero le inchieste dialettologiche,18 che è necessario tener presente anche nell'analisi delle corrispondenze tra Schuchardt e i loro autori.

Della corrispondenza tra Schuchardt e Weigand sono conservate, per quanto ci è stato possibile appurare, solo le epistole di Weigand, 17 in totale, distribuite su un'arco cronologico che va dal 1886 al 1912. Il carteggio tra Schuchardt e Jud (come quello tra Schuchardt e Jaberg) è invece conservato in entrambe le direzioni (a Graz e nell'archivio dell'AIS a Berna) e consta di 113 pezzi, tra cartoline e lettere, che coprono gli anni tra il 1909 e il 1926.19

6.1. Concettualizazzione e raccolta dei dati 

Gustav Weigand è stato spesso accusato da detrattori contemporanei e posteriori – non da ultimo dal suo allievo e futuro contraente, Sextil Puşcariu (???) – di essere un “überzeugter Junggrammatiker” (???), troppo pervaso dalle rigide convinzioni neogrammaticali per riconoscere il potenziale della nascente geografia linguistica (gilliéroniana). Dalle sue lettere emerge invece con forza quanto la sua esperienza "sul campo" lo abbia portato a rivedere le sue posizioni teoriche, allontanandosi dagli assunti neogrammaticali.20 Il certosino lavoro di raccolta dei dati porta Weigand a rifiutare con decisione il concetto di Lautgesetz, come egli scrive in una lunga lettera del 1° gennaio 1900 (n° 12706):

Ihre Meinung, daß die Lautgesetze durchaus nicht immer in erste Linie zu stellen sind, stimmt ganz mit meinen Erfahrungen überein. Ich habe nie für ausnahmslose Lautgesetze geschwärmt, seitdem ich aber durch meine eingehenden Dialektstudien auf rum. Gebiete zu intimeren Eindringen ins Sprachleben gelangt bin, habe ich meine früheren Ansichten ganz wesentlich ändern müssen. Kein Zweifel, daß auch die begriffliche Zusammengehörigkeit auf die Lautgestalt einen ganz bedeutenden Einfluß ausübt.

Weigand operava a Lipsia, culla del movimento neogrammatico. Questo era stato fautore (come già prima l'Ascoli in Italia) di uno spostamento dell'interesse linguistico verso lo studio dei dialetti e in tal modo aveva "gerade zu der Richtung, die eine wesentliche Korrektur an ihren Positionen erbrachte, viel beigetragen: zur Sprachgeographie" (???). A differenza della maggior parte dei neogrammatici, per i quali però "diese Forderung [...] theoretisch [blieb]" (???), Weigand si prodigò con dedizione allo studio della lingua viva e, diversamente dall'Ascoli e anche da Schuchardt, fece profonda esperienza di raccolta sul campo dei dati linguistici, percorrendo a tal fine i più remoti e isolati territori dei Balcani in numerosi lunghi e perigliosi viaggi.21 La sua opera si colloca proprio al limine tra le posizioni neogrammaticali e i nuovi approcci e il forte dubbio sull'ineccepibilità delle leggi fonetiche nasce dal confronto - ben più diretto di quello di Gilliéron o di Jaberg e Jud - con la viva voce dei parlanti. Egli ne osservò anche la vita quotidiana e materiale: le sue ricerche (cf. per esempio (???), (???), (???), (???), (???)) furono guidate non solo da un interesse linguistico, ma anche da una curiosità etnografica molto forte, che emerge anche nelle lettere inviate a Schuchardt, ove, spesso anche su richiesta del collega, gli fornisce informazioni su diversi aspetti della cultura materiale, come la funzione di diversi tipi di fusi per lana trovati in Romania (lettera n° 12704, 2 dicembre 1899) o di attrezzi da pesca (lettera n° 12707, 14 novembre 1900).

Anche in un altro passo della corrispondenza Weigand ribadisce l'importanza della raccolta dei dati ai fini di un'adeguata elaborazione teorica:

Ich [...] erkenne nur Lautregeln, die mit großer Regelmäßigkeit eintreten, an. Im übrigen sind die Ursachen des Lautwandels so mannigfaltiger und vielfach noch dunkeler Art, daß wir oft oft [sic] genug ganz sichere Etymologien absolut nicht erklären können. Wer wie ich Dialektstudien gemacht hat, wird bald diese Einsicht bekommen. Es ist auch gut im Interesse unserer Wissenschaft, daß dem so ist, sonst würde sie zum Handwerk herabsinken. Ich wünschte, daß jeder Linguist einmal gezwungen wäre, Dialektstudien im Volke zu machen. Sie haben vollständig recht, wenn Sie sagen das Material, aus dem die 'Gesetze' abgeleitet würden, sei nicht genügend gesichert; ja nicht nur das, sondern es beruht doch meist nur auf dem durch die Schrift überlieferten Material. Die Schriftzeichen aber dienen mehr dazu den wahren Charakter der Laute zu verbergen als ihn zu offenbaren. Wenn mein Atlas, von dem soeben die V. Lieferung herauskommt, fertig sein wird, will ich auf Grund des darin veröffentlichten Materials meine Erfahrungen und Ansichten über prinzipielle Fragen in einer Schrift niederlegen, und ich hoffe, daß ich manches Neue und genügend Gesicherte zu sagen haben. (n° 12708, 23 gennaio 1904)

L'approfondimento avviene nelle pagine introduttive al suo atlante (???), pubblicate separatamente pure nel Fünfzehnter Jahresbericht (???). Ben diversamente dall'essere ottuso proselito della fede nelle leggi fonetiche, Weigand riconosce dunque alla storia dei concetti un ruolo determinante nell'evoluzione fonetico-formale delle parole. Il contatto diretto con una realtà linguistico-comunicativa come quella balcanica è sicuramente anche uno dei motori principali per l'interesse areale che Weigand sviluppa negli anni e che per lui diviene sempre più anche la chiave per risolvere l'annosa questione dell'origine del romeno, come afferma in una lettera a Schuchardt del 7 novembre 1907:

Uebernächstes Jahr hoffe ich auf längere Zeit nach Albanien gehen zu können, um mich gründlich einzuarbeiten. Der Schlüssel zur Lösung der Rumänenfragen liegt doch auf rumänisch-bulg.-alb. Gebiete. (n° 12713)

Nella trattazione della storia della lingua entra così un fattore fondamentale, che la ricerca dialettologica e la raccolta di dati per gli studi di geografia linguistica portano fortemente alla luce, ma poi, troppo spesso, nella monodimensionalità della rappresentazione, trascurano: il contatto linguistico.

Per Jud sono già i lavori preparativi alle inchieste per l'AIS a offrire l'occasione di discutere con Schuchardt di un problema fondamentale: l'esistenza di confini dialettali (Mundartgrenzen). Già due anni prima dell'avvio delle inchieste (e della prima menzione del progetto al collega di Graz!)22, Jud affronta argomenti fondamentali per la concezione di questo, giustificando tale impresa e affrontando alcuni aspetti teorici-metodologici: la scelta di determinati fenomeni linguistici, le linee guida da seguire durante la raccolta, la (im)possibilità di individuare nello spazio una distribuzione ben delineata dei fenomeni linguistici scelti e di conseguenza di poter tracciare confini dialettali stabili sulla base dei materiali empirici raccolti in loco (e non di assunti aprioristici): 

Was nun Ihre spezielle Frage betreffend Mundartabgrenzung betrifft, so vertreten Sie S. 8 Ihrer Habilitationsschrift die Anschauung der Unmöglichkeit des Grenzpfahls zwischen Piemontes und Provenzalisch; ebenso S. 28 die Gebiete... 23 und es scheint mir da mit Prof. Gauchat, dass wir a priori feste Mundartgrenzen zu verwerfen kein Recht haben, sondern zunächst die Forschung auf dem Terrain abwarten müssen. Eine Mundartgrenze wie sie etwa zwischen Sopraporta und Sottoporta im Bergell existiert, zeigte eine Mundartgrenzlinie wie sie schärfer gar nicht gedacht werden kann. Ob die Grenzlinie zwischen Piemontes und Provenzalisch scharf ist, bejaht mir Jaberg der an Ort & Stelle die Mundarten aufgenommen hat. Geht die räumliche Entfernung parallel mit der sprachlichen Differenzierung? Die Frage ist nicht so leicht zu bejahen, noch zu verneinen. [...] Wir müssten uns also zunächst klar werden über die Wahl der lautlichen morphologischen Züge, die wir für den Grad der Differenzierung unter den Mundarten von Norden nach Süden entscheidend ins Feld führen wollen [...] Vielleicht geben Sie mir noch einige Angaben darüber, welchen Wertmasstab Sie in der Wahl der sprachlichen Züge beobachtet haben wollen. (n° 05184, 14 giugno 1917)

Schuchardt risponde il 26 luglio 1917, negando la necessità di ricerche empiriche sul terreno per corroborare la sua posizione, dal valore più generale:

[...] Also beschränke ich mich auf einen kurzen Hinweis. Es liegt mir sehr am Herzen dass bezüglich der Mundartengrenzen kein Missverständnis zwischen uns bestehe. „Forschungen auf dem Terrain“ usw. können auf meine Anschauung keinen Einfluss ausüben; sie ist ja ganz allgemeiner Art, bezieht sich auf alle Sprachen. Im einzelnen würden z.B. schon die baskischen Mundarten uns ganz Anderes lehren als die romanischen. Ich leugne keineswegs das Vorhandensein sehr deutlicher, ja scharfer Grenzen, aber das sind absolute Grenzen, deren Rolle als relativer, als Grundlagen für Klassifikation mir nicht einleuchtet. [Archivio dell'AIS, Berna, grassetto sottolineato nell'originale]

Le posizioni dei due linguisti continuano a divergere su questo punto; lo scambio d'opinioni al riguardo fa però emergere 'en passant' aspetti fortemente moderni, come l'importanza della "classificazione da parte dei parlanti" (vedi il krefeldiano "Sprecherbewusstsein", cf. per es. Krefeld (???)) e della sua variabilità storica. Così Jud il 6 agosto 1917:

Mundartgrenzen: die Notwendigkeit der Definition des Wortes „Grenze“ in Mundartgrenze möchte ich ausschalten: denn zuerst die „Sache und dann das Wort“. Die Mundartgrenze ist bald eine scharfe Linie, bald ein kleines Übergangsgebiet, aber ich meine, dass die Möglichkeit der Mundartklassifikation mit der Existenz der Mundartgrenzen eintritt oder verschwindet. Dabei betone ich gleich sofort, dass solche historische Mundartgruppierung vielleicht in den meisten Fällen dem heutigen Empfinden der Bewohner nicht (mehr) entspricht: in dem Sinne kann ich Ihre Anschauung von der Unmöglichkeit einer allzeitgültigen Klassifikation durchaus beistimmen. Aber hierin liegt m.E. kein Grund zum Verzicht auf das Problem: denn jede Klassifizierung geistiger Erscheinungen scheint nie allen Gesichtspunkten und allen Zeiten gerecht zu werden. [...] So werden wir die südfranzös. Mdarten (prov.) als Einheit auffassen selbst wenn der Südfranzose des 18. Jahrh. seine Md. als eine französische betrachtet hätte. Ich habe immer eine gewisse - vielleicht unberechtigte Abneigung - gegen rein mathematische Darstellung der sprachlichen Verhältnisse, weil eine solche zu sehr von der Realität abstand [sic] nimmt. Giebt es überhaupt Mundarten, die im Verhältnis a‘ b‘ c‘ d‘ e‘ f‘ g‘ h. voneinander differieren? Ich möchte immer mit der gesammten Buntheit der Verhältnisse rechnen, damit man Formeln nicht für Wirklichkeit ansieht. [...] (n° 05185)24

Il quadro su cui operano gli ideatori dell'AIS presenta dunque in nuce sviluppi posteriori della teoria linguistica variazionale. Purtuttavia, nel 'prodotto atlante' essi, come ben osservato da Krefeld (???), non riescono a tenere in debita considerazione - o forse a rendere accessibili - aspetti fondamentali per l'interpretazione dei dati, come la migrazione e la pluridimensionalità della variazione.

6.2. La rappresentazione dei dati e i suoi limiti

6.2.1. La trascrizione

Nella già citata lettera del 14 aprile 1920 Jud fa cenno alla difficoltà di adottare una trascrizione univoca:

Übermorgen wandere ich nach Bünden, mit Herrn Dr. Scheuermeier gedenke ich im Lugnetz gemeinsam eine Aufnahme zu machen und später diese dreitägige Aufnahme zu publizieren; für jene, die so leicht bereit sind, anderen unrichtige Notierungen von Dialektformen vorzuwerfen, ist ein solcher Versuch bestimmt: er soll ein Beweis dafür sein, wie verschieden derselbe Laut und dieselbe Lautfolge zur selben Stunde und bei derselben Versuchsperson perzipiert wird. [...].

Anche Weigand è pienamente consapevole di tali problemi, che si pongono anche quando vi sia un unico esploratore:

Ich habe für die drei e-Laute (ę e ẹ) die nordwestfranzösische Aussprache von: un esprit ailé fest im Gehöre, und darnach ordne ich die e-Laute ein; aber ich zweifle nicht, daß ich auf der Reise in der Moldau von Süden nach Norden wandernd gewiß manches anders bezeichnet habe als von Norden nach Süden; denn wenn man längere Zeit lauter ẹ hört, so wird man sich erst dann entschließen e oder ę zu schreiben, wenn man ganz zweifellos diese Laute hört. Umgekehrt wird man in Gefahr kommen zulange ę statt e zu schreiben, wenn man von Norden kommt, wo man beständig die offenen Laute hört (???).

Il tema della trascrizione e della sua fedeltà è tuttora dibattuto e strettamente connesso alla documentazione della variazione interna e alla percezione del dato linguistico.25 I problemi di rappresentazione non riguardano tuttavia solo la trascrizione dei dati linguistici, ma anche alla resa materiale di diversi tipi di dati nel nuovo formato "atlante linguistico".

6.2.2. I limiti di formato

Weigand dedica molto spazio alla descrizione formale della rappresentazione dei dati, segno che è conscio di quanto importante, ma anche di quanto passibile di critiche questa possa essere. Di ciò non si trova traccia nelle lettere a Schuchardt, ma il balcanologo vi riserva grande attenzione sulle pagine del Fünfter Jahresbericht (???):

Die erste Section, enthaltend 8 Blätter, ist bereits erschienen und zum Preise von 4 Mark erhältlich. Jedes Blatt in Format 48:52 cm, Maßstab 1:600000 bringt vier Normalwörter, die sich im Großen und Ganzen auf dieselbe lautliche Erscheinung beziehen, zur Darstellung mit Anwendung von zwei bis neun kontrastierenden Farben, wodurch das Auftreten eines neuen Dialektes, abweichende Behandlung in verschiedener Stellung, Dialektmischung, manchmal auch die Herkunft der neueingewanderten Bevölkerung sofort in die Augen springend ist. [...] Der Atlas wird in 300 Exemplaren gedruckt, erscheint zunächst in sechs Sectionen à 8 Blatt, worauf noch eine größere Zahl von Uebersichtskarten, die auf einmal das ganze Sprachgebiet enthalten, und nicht das einzelne Wort, sondern die lautliche Erscheinung summarisch zur Darstellung bringen, folgen sollen. Ueber die Brauchbarkeit der von mir zur Anwendung gebrachten Methode wird man sich nur dann ein Urteil bilden können, wenn man ein Blatt vor Augen hat [...].

Lo spazio fisico di cui dispone Weigand - volume unico dalle dimensioni relativamente piccole -  costituisce una restrizione per la rappresentazione della rete, piuttosto fitta, di punti di inchiesta; di qui la scelta di rappresentazioni sommarie dei fenomeni fonetici.

Anche per l'AIS il limite di formato delle singole carte ha un ruolo decisivo. L'indagine a tappeto di tutto il territorio sarebbe stata impossibile per ragioni legate al finanziamento (cf. sotto),

[a]ber auch die Publikation würde auf fast unüberwindliche Schwierigkeiten stossen. Es wäre nicht mehr möglich, Übersichtskarten von Italien zu verwenden, die Antworten auf eine Frage müssten auf mehrere Blätter verteilt werden. Man beachte, dass unsere Karten besonders in der Südschweiz und in Oberitalien wohl das Maximum an Raumausnutzung darstellen, das noch innerhalb der Grenzen des Erträglichen bleibt, und dass eine Vergrösserung des Formates ohne bedeutende Unbequemlichkeit für den Benutzer nicht möglich wäre. (???)

L'intento di rappresentare le immagini dei denotati assieme alle trascrizioni del materiale linguistico è, all'epoca, sicuramente avanguardistica, ma pone notevoli problemi di natura concezionale e materiale, che obbligano a scelte dettate talora più dalla praticabilità che da convinzioni scientifiche. Il 22.12.1920, Jud scrive a Schuchardt deplorando l'impossibilità di allegare alla lettera due carte (linguistiche) di prova e una "Sachkarte", come invece avrebbe voluto. Mentre per le prime le ragioni sono legate a ritardi e alla sicurezza postale,26 per la seconda Jud adduce problemi di riproducibilità a stampa:

Leider kann ich Ihnen noch keine Sachkarte beilegen: Pflugphotographien sind genügend da, aber wie sie auf Karten reproduzieren ist das Problem. (n° 05207)27

L'impervia sfida di rappresentare adeguatamente su carta il legame tra le cose (o le loro illustrazioni) e le parole (nella loro trascrizione) accompagna l'impresa fino al compimento finale:

Dazu tritt nun der Abschluss der Mundartaufnahmen in Italien durch Herrn Dr. Scheuermeier in grössere Nähe (Oktober 1923) und da gilt es sich eingehend mit den Problemen der Drucklegung auseinanderzusetzen. Und bei der starken Betonung des Sachlichen in unseren Aufnahmen spielt die Darstellung des Sachlichen innerhalb der sprachlichen Formen eine sehr heikle Aufgabe, die Jaberg und ich mit Hülfe einer Reihe von Probekarten zu lösen versuchen müssen. Also 'une corvée immense' erwartet die beiden Initianten. (lettera di Jud del 17 aprile del 1923, n° 05221)

Ancora il 12 agosto 1925 Jud ribadisce:

Wir haben noch die Verlegersorgen zu überwinden, denn die nachkriegs. Verleger sind alle nur aufs Geldverdienen erpicht. Manches dornige Problem stellt uns die Herstellung der Wort- und Sachkarten, denn hier gilt es neue Wege zu beschreiten" (n° 05228)

Come essi stessi ammettono (???), Jaberg e Jud non riuscirono a risolvere il problema e dovettero ricorrere a una soluzione alternativa, la pubblicazione di Bauernwerk in Italien der italienischen und rätoromanischen Schweiz. Eine sprach- und sachkundliche Darstellung landwirtschaftlicher Arbeiten und Geräte, che vide la luce soltanto tra 1943 (primo volume) e 1956 (secondo volume) (???).

Se Weigand lascia agli utenti il giudizio sulle scelte di formato e rappresentazione da lui operate, la praticità della consultazione del "prodotto atlante" è tematizzata più volte nella corrispondenza tra Schuchardt e Jud. Il 2 febbraio 1917 l'ultrasettantenne Schuchardt vi fa cenno con una certa autoironia:

Meine Kraft – das Wälzen der Wörterbücher wird mir immer saurer. Von dem Atlas ling. will ich nicht reden; eine halbe Stunde Hin- und Herwerfen der Mappen hat mich neuerlich sehr mitgenommen. [...] In den Prüfungszimmern sollte für Romanisten ein Kraftmesser aufgestellt werden: wer unterhalb einer gewissen körperlichen Leistung bleibt, werde auch unfähig für die Wissenschaft erklärt. (Archivio dell'AIS, Berna, lettera non numerata del 2 febbraio 1917)28

Il formato degli atlanti, il loro peso e la decifrabilità (o non...) dei caratteri utilizzati non ne rendono infatti certo agevole l'utilizzo. E per quanto gli atlanti linguistici costituiscano un formato innovativo, essi non possono certo fornire una risposta a tutti i quesiti della ricerca, come ammettono Jaberg e Jud (???):

Auf bestimmte Probleme haben wir das Fragebuch nicht zugeschnitten. Jedem Benutzer des AIS ist das Problem wichtig, mit dem er sich gerade beschäftigt. Weder die Herausgeber noch die Exploratoren konnten die Fragen voraussehen, die für den Forscher - oft dank der Einsicht in die Materialien der Sprachatlanten - interessant und brennend werden.

6.2.3. Il finanziamento

La nascita degli atlanti è facilitata anche dall'affermarsi, all'epoca, di nuove tecnologie di stampa. Tuttavia la produzione di volumi di grande formato rimane costosa e costituisce un ostacolo non indifferente per le imprese atlantistiche, che assumono rischi economici notevoli.29

L'atlante di Weigand comincia a essere pubblicato, in "Sectionen", già nel 1898. Alla base della scelta del formato vi sono anche questioni legate all'annoso problema del finanziamento. Come lo stesso Rumänisches Seminar, diretto da Weigand a Lipsia, anche il progetto dell'atlante (sia per i viaggi necessari alla raccolta dei dati, sia, soprattutto, per la pubblicazione) dipende infatti dai finanziamenti - diretti o tramite l'Accademia e/o il ministero dell'istruzione - del governo romeno. E se Weigand è lieto di annunciare, nel Fünfter Jahresbericht (???), "daß die rumänische Academie in Bucarest beschlossen hat, die Druckkosten eines linguistischen Atlasses zu tragen, der die Resultate meiner Dialektstudien übersichtlich zur Anschauung bringt, wodurch die mit so großer Mühe gewonnenen Einzelresultate erst den rechten Wert bekommen", il 14 novembre 1900 scrive a Schuchardt "Ich hoffe, daß ich dieses Jahr die Mittel zur III. Section meines Atlasses von der rum. Academie erhalten werde, in der Zeichnung ist er fertig gestellt" (n° 12707) e nello Jahresbericht dello stesso anno (???) annuncia che "ich [...] die dritte Section (Süden) in der Zeichnung fertig gestellt habe, die Ausführung aber muss unterbleiben, da ich von der rumänischen Akademie die Nachricht erhielt, dass 'din causa strîmtorăriĭ de fondurĭ' für dieses Jahr kein Geld bewilligt werden konnte". 

Anche per l'AIS i limiti finanziari costituiscono un problema fondamentale che condiziona fin dall'inizio le dimensioni dell'impresa: a Jaberg e Jud è infatti chiaro che un atlante che copra "alle größern Ansiedlungen eines Landes, zum mindesten alle Gemeinden vertreten wäre" (???) non sarebbe realizzabile, per gli enormi costi che deriverebbero dallo svolgimento delle inchieste necessarie. La concezione e realizzazione dei progetti atlantistici è infatti fortemente subordinata al reperimento delle risorse finanziarie necessarie - un problema che, ahimè, ha portato alla fine prematura di diversi meritori propositi.

7. La geolinguistica sul web

È trascorso ormai più di un secolo dall'inizio delle imprese atlantistiche sopra delineate, e la geolinguistica si è ormai consolidata sul web. Se i voluminosi e poco pratici tomi degli atlanti tradizionali non sono ancora stati del tutto abbandonati, essi sono per molti aspetti obsoleti, e nuovi progetti atlantistici - da VIVALDI (???) a ALIQUOT (???), da AMPER (???) a VerbaAlpina (???), passando per l'ASiCa (???), sono nati direttamente in forma digitale, altri, come l'ALD-I (???), sono accessibili almeno parzialmente online e infine anche "vecchie glorie" come l'AIS sono state retrodigitalizzate. Ciò può da una parte garantire una maggiore ricezione, non essendo più necessari investimenti di centinaia se non migliaia di euro per l'acquisto, né di grandi spazi per la conservazione degli atlanti. D'altra parte il web offre possibilità diverse sia per quanto riguarda la raccolta sia per quanto riguarda la rappresentazione dei dati. In che modo tale cambiamento mediatico contribuisce alla risoluzione dei problemi materiali e concezionali che hanno afflitto la geografia linguistica fin dai suoi inizi? E in che misura invece ne crea di nuovi? Nelle righe seguenti cercheremo di indagare questi quesiti partendo da alcune riflessioni di ordine più generale sulle implicazioni che alcune caratteristiche del World Wide Web hanno sulla raccolta e la rappresentazione di dati empirici.

Centrali sono sicuramente la perlomeno potenzialmente illimitata quantità dei dati che si possono elaborare, ma al contempo l'estrema eterogeneità degli stessi, la (teoricamente) infinita possibilità di corredare i dati con metadati di diverso tipo e dunque di aver accesso a informazioni su e da diversi piani semiotici e di ancorare i dati a diversi livelli di contestualizzazione (???) e infine il mutato ruolo di informatori, ricercatori e fruitori nel processo di creazione, rappresentazione e interpretazione dei dati stessi (???). Sono queste caratteristiche a definire lo sfondo sul quale nascono le sfide, ma anche le opportunità della geografia linguistica digitale.

7.1. La quantità dei dati

I limiti materiali (di natura finanziaria e legati al formato cartaceo) al numero di punti di inchiesta, al set di dati da elicitare e alle possibilità di rappresentazione degli stessi, che, si è visto, erano fondamentali per gli atlanti tradizionali, vengono meno nell'ambito della geolinguistica digitale. I nuovi progetti fanno uso di carte digitali che coprono il mondo intero o perlomeno buona parte di esso e permettono all'utente di muoversi sulle stesse in maniera flessibile, focalizzando liberamente su aree più o meno ampie. Le diverse possibilità di visualizzazione (p. es. mouse-over) permettono di combinare i vantaggi delle carte "a simbolo" e delle carte con singole attestazioni (???) e dunque di selezionare tra diversi livelli di astrazione a seconda dello specifico interesse. Progetti come Verba Alpina inoltre abbandonano le prospettive nazionali e/o regionali e dunque i confini tra singole lingue (storiche): un sogno schuchardtiano, questo, che in anni non troppo lontani era ancora ritenuto utopico.30 L'integrazione multimediale di materiale linguistico (in forma sonora e/o scritta) e di immagini in un solo atlante è ora tecnicamente possibile. In tal modo i progetti atlantistici possono diventare veri strumenti di ricerca interdisciplinari (cf. sotto). Con metodi di rilevamento dati basati sul web (crowd-sourcing) è (potenzialmente) possibile ottenere un numero teoricamente illimitato di dati in maniera economica e veloce31 - a condizione certo che i progetti ottengano un adeguata visibilità e che l'interesse dei potenziali informanti - che sono al contempo fruitori - venga adeguatamente stimolato. A tal fine è necessario che la massa di dati venga messa a disposizione in maniera strutturata e selettiva, non contingente, in base ai criteri di ricerca di volta in volta rilevanti, evitando così ricerche e browsing frustranti.

7.2. La qualità dei dati

Se la possibilità di accumulare, elaborare e rappresentare una quantità di dati enorme non pone grossi problemi per quanto riguarda la loro preservazione (almeno temporanea)32, ne crea altri di natura concettuale e tecnica. Tra questi è senz'altro da nominare l'eterogeneità dei dati, che richiede un'attenta modellazione teorica-concettuale da parte dei linguisti (e/o di scienziati di altre discipline coinvolte) e conseguentemente un'adeguata pianificazione della base informatica. Spesso infatti i dati provengono da fonti preesistenti eterogenee e presentano dunque diversi stati di elaborazione (???). Anche la distinzione tra dati di produzione e dati di auto- e eteropercezione linguistica - la cui integrazione nei progetti atlantistici è senz'altro auspicabile (???) - dev'essere modellata in maniera adeguata per poter ben separare i due livelli epistemici. Infine, se l'approccio collaborativo di crowd-sourcing, adottato in Metropolitalia (???), Verba Alpina e ALIQUOT, permette di raccogliere un maggiore numero di dati da un campione più ampio di informanti con un impegno economico minore, esso comporta delle sfide teoriche-concettuali di cui devono tenere conto sia i linguisti che gli informatici coinvolti. Se gli atlanti tradizionali spesso cercavano il parlante "NORM" e di conseguenza, non di rado, documentavano una lingua arcaica, non tenendo conto della variazione pluridimensionale presente sul territorio, essi registravano (e almeno in parte verificavano) dati socio-demografici degli informanti di fondamentale importanza per l'interpretazione (anche varietistica) del dato linguistico. Questo tipo di "controllo" e "arricchimento" del dato risulta più ostico in progetti basati sul crowd-sourcing: le possibilità di accesso ai dati socio-demografici degli informanti e la conseguente valutazione della "affidabilità" delle informazioni fornite, sono limitate. In altre parole: nella massa di dati, dove resta il parlante? (???).33

7.3. Il legame tra quantità e qualità

Ben fanno Krefeld/Lücke (???) a sottolineare il potenziale della georeferenziazione dei diversi tipi di dati, che permette di renderli fruibili per interessi diversi di scienziati di più discipline. È poi innegabile che la georeferenziazione e la strutturazione interna della banca dati in back-end sono gli strumenti più potenti per modellare i dati (???). I legami digitali che vengono creati tra dati diversi - automaticamente o dai diversi soggetti coinvolti nel processo di elaborazione dei materiali "grezzi" - apportano infatti qualità ermeneutica alla massa, teoricamente infinita, degli stessi. Sono tali legami a fare della geolinguistica digitale un ponte tra più discipline, come, oltre alla linguistica, l'etnologia e la sociologia del sapere. Gli attuali progetti atlantistici non sono da considerarsi progetti "solo" linguistici con un (solo) obiettivo chiaro e un termine nel tempo: essi sono infatti strumenti di ricerca interdisciplinare perché consentono - come, in misura minore, anche i "vecchi" atlanti - di sviluppare nuove questioni, teorie, concetti e conoscenze "strada facendo", nel processo di concezione, elaborazione e consultazione del progetto (non più prodotto!) atlantistico.34

Tuttavia, se la modellazione del legame tra dati e spazio fisico è facilitata dalla georeferenziazione, non lo è altrettanto per le altre dimensioni variazionali. In un contributo dedicato all'ASiCa (???), Krefeld e Lücke rimarcavano come la geolinguistica moderna non possa limitarsi a "distillare la pura diatopia", ma debba auspicare a "evidenziare l’intreccio concreto e quotidiano delle dimensioni variazionali" (???). In tale progetto, come anche in altri, si è dunque cercato di dar spazio anche alla variazione intergenerazionale, di genere e a quella causata dalla mobilità dei parlanti. La pluridimensionalità della variazione linguistica non è però tuttora rappresentata adeguatamente in alcun progetto atlantistico. Promettente a tal fine è la proposta di Krefeld (???), che sottolinea come una rappresentazione adeguata possa e debba partire dai glossotopi e non dalle isoglosse. Tuttavia pare spontaneo chiedersi se la geolinguistica digitale sfrutti già appieno le potenzialità dei nuovi media o se, come agli albori delle imprese atlantistiche, manchi tuttora una controparte metodologico-empirica e materiale alle nuove considerazioni teoriche. Il problema dell'indagine e rappresentazione della dinamica variazionale oltre la diatopia (basilettale e non) e diacronia (la cui soluzione pare vicina) resta infatti attuale.

Questa è dunque la sfida più ambiziosa della geolinguistica ai nostri tempi: la modellazione e rappresentazione dei legami tra i dati linguistici (e non) oltre (e in relazione con) la diatopia e la diacronia - una sfida "antica", della quale si erano già resi conto gli ideatori dei primi atlanti, ma tuttora irrisolta. La cronorefenzialità, proposta, ma non ancora implementata in Verba Alpina, potrà coadiuvare una migliore collocazione temporale delle diverse fonti e di conseguenza una migliore rappresentazione della dimensione diacronica, permettendo un'esplorazione storica del dato e ponendo un correttivo all'eterogeneità temporale dei dati.35 Annosa resta però la questione di un'adeguata rappresentazione delle altre dimensioni variazionali, che, a differenza di spazio e tempo, non sono caratterizzate da fattori oggettivamente misurabili e sono meno nettamente divisibili al loro interno.

Nonostante le questioni ancora aperte, siamo però sicuri che, anche grazie all'opera pionieristica e indefessa del nostro Maestro, non ci troveremo nella condizione di dover affermare, come fece Jud a proposito della allora fallita impresa atlantistica basca:

Es ist schade, dass die Hoffnungen in dieser Richtung eher heruntergeschraubt werden müssen, aber solche Atlasunternehmungen bedürfen bestimmte Naturen, die nicht zu improvisieren sind. (lettera di Jud a Schuchardt del 30 dicembre 1922, n° 05219)

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Fra chi parla mandinka in Gambia e nella regione di Casamance (nel sud del Senegal) kankurang è uno spirito incarnato da un danzatore mascherato, considerato il principale custode delle celebrazioni dell’etnia mandingo come il rito della circoncisione e della celebrazione del matrimonio. I mandingo ritengono che il kankurang può curare l’infertilità nelle donne.
Si tratta di due località poste agli estremi del Paese.
Per il termine cf. Krefeld (???).
Molto di quanto qui scritto nasce dal nostro lavoro al progetto Network of Knowledge (2012-2016, finanziamento FWF) e all’Hugo-Schuchardt-Archiv (???). Quest'ultimo presenta l'opera omnia schuchardtiana, le relative recensioni e diverse edizioni dal suo epistolario, costituito da oltre 13.000 lettere e cartoline a lui indirizzate e conservate presso la biblioteca universitaria di Graz (cf. (???)), cui si aggiungono numerose lettere e cartoline scritte da Schuchardt rinvenute in biblioteche e archivi europei e non. Alla fine del 2018 oltre 6000 lettere erano disponibili in edizione digitale.
Consultabile in forma digitalizzata al sito NavigAIS
Quando non diversamente indicato, il numero corrisponde a quello con cui sono archiviati i pezzi di corrispondenza ricevuti da Schuchardt presso la Biblioteca universitaria di Graz, Hugo Schuchardt Nachlass.
Questo si concretizzava da una parte in un fitto scambio epistolare tra scienziati di diverse discipline, dall'altra nei diversi circoli, società e associazioni accademici, come p. es. la società antropologica di Vienna (???).
Non è certo questa la sede per approfondire la storia di tale approccio, per cui rinviamo alle pubblicazioni già citate, ma anche alle collezioni, visitabili in via telematica, di oggetti di interesse etnografico di Hugo Schuchardt (Volkskundemuseum Wien) e di Rudolf Meringer (Institut für Kulturanthropologie und Europäische Ethnologie der Universität Graz) e al carteggio tra Schuchardt e Meringer (???).
Cf. l’edizione (non commentata) in Melchior (???).
Carteggio parzialmente edito in Heinimann ((???), (???)).
La corrispondenza è stata analizzata nell'ambito di una Seminararbeit presso l'Institut für Sprachwissenschaft, ma è tuttora inedita.
L’edizione critica del carteggio è di prossima stampa (???).
Nonostante la corrispondenza tra Schuchardt e Puşcariu continui con discreta costanza fino al 1926, non vi sono cenni al progetto dell'Atlasul lingvistic român, per il quale nel 1922 erano cominciate le inchieste.
È evidente che vi è una reciproca interdipendenza e non possono essere considerati come "passi di lavoro" (sempre) nettamente distinti l'uno dall'altro. Tale distinzione ci pare tuttavia funzionale per capire meglio gli spunti di riflessione teorica che ne nascono.
Weigand raccolse personalmente i dati per il suo atlante nel corso di otto viaggi in loco a partire dal 1895. La pubblicazione dell'atlante avvenne dapprima a fascicoli, dal 1898, e poi in volume nel 1909. Il paradigma neogrammaticale godeva allora ancora di un forte consenso, soprattutto a Lipsia, alma mater di Weigand. Le inchieste per l'AIS, pubblicato a partire dal 1928, furono invece effettuate da tre esploratori appena dopo la fine della Prima Guerra mondiale, a partire dal 1919, in una fase dunque in cui l'approccio di Wörter und Sachen era già stato pienamente recepito dai linguisti svizzeri e non solo.
Gli otto volumi dell'AIS abbracciano 1705 carte, ciascuna delle quali comprende 405 punti d'inchiesta; il Linguistischer Atlas des dacorumänischen Sprachgebiets, in un unico volume, comprende 67 carte che si basano su 752 punti (!) di inchiesta, in cui i materiali vennero raccolti in un tempo assai breve e quasi esclusivamente da Weigand stesso.
Quelli dell'AIS erano di stampo lessicologico-culturale, oltre che fonologico e morfosintattico, nell'atlante di Weigand prevale invece l'interesse fonologico-storico.
Base per le inchieste dell'AIS fu il Fragebuch, elaborato sul modello di quello concepito per l'ALF, mentre Weigand, che pur aveva grande esperienza di lavoro con questionari, si prepose di raccogliere "Normalwörter" che potessero venire utilizzati spontaneamente all'interno di discorsi con gli informanti (per maggiori dettagli sulla metodologia e gli obiettivi dell'atlante romeno cf. (???), per l'AIS cf. (???)).
Meno intensa è la coeva corrispondenza tra Schuchardt e Jaberg: ai diciotto pezzi di corrispondenza di mano di Jaberg conservati a Graz si aggiungono solo tre indirizzati da Schuchardt al collega bernese.
Non si trovano invece spunti metodologici legati alla concezione dell'impresa atlantistica - Weigand sembra piuttosto preoccupato di tenere al corrente Schuchardt dei progressi nel lavoro, annunciandogli la pubblicazione delle diverse sezioni; cf. per esempio la lettera del 2 dicembre 1899 (n° 12704) in cui gli chiede se abbia avuto occasione di scorrere la seconda sezione dell'atlante, appena pubblicata, invitandolo a farne una recensione sul Centralblatt - desiderio che Schuchardt non esaudirà.
Weigand dedicò molto spazio alla descrizione dei suoi viaggi, come nel seguente esempio: "Für die Pferde ist es eine harte Arbeit, auf dem in Schlangenlinien sich windenden Pfade die Berge zu erklettern. Doch mit bewundernswerter Ausdauer überwinden sie alle Anstrengungen. Auf der Höhe ist eine Quelle "Kodru mare = großer Berg“ genannt. Ein überraschender Anblick bietet sich dort dar. Gerade vor uns, scheinbar sehr nahe, liegt V.L. auf halber Bergeshöhe, wie an die Felsen angeklebt. [...] Ein schmaler, gefährlicher Saumpfad führt in einem Stündchen nach V.L. (???).
Nonostante Jud tragga ispirazione dalle idee schuchardtiane, egli fa cenno all''impresa dell'atlante solamente a inchieste iniziate, il 21 agosto 1919 (n° 05195), e appena un anno dopo ne svelerà alcuni parametri, riconoscendo come l'impresa sia debitrice, nella sua concezione, all'insegnamento di Schuchardt: "Das Questionnaire umfasst etwa 2500 Wörter und Sätze: wir hoffen nichts wesentliches ausgelassen zu haben. Neben diesem Normalquest. existiert ein erweitertes Questionn. mit etwa 5000 Wö. u. Fragen, die er auf seiner ganzen Reise an 20 Punkten abfragen soll. In Bünden ist dies im Münstertal und in Lenz (bei Thusis) geschehen. An jedem Ort soll er eine Anzahl Photos von Geräthen aufnehmen, die als Bilderatlas einst veröffentlicht werden sollen. Das ist die teilweise Verwirklichung Ihrer Idee: Sprach- und Bilderatlanten. (n° 05204, 14 aprile 1920)".
Schuchardt (???) scrive "Und in der That finden wir noch auf dieser Seite der Gebirgshöhe Ortschaften deren Sprechweise der französischen Schriftsprache entschieden näher steht als der italienischen. Aber wo sollen wir den Grenzpfahl in den Boden stossen? Etwa da wo wir den Schweinehirten seine Thiere nicht mehr i porci sondern lus cusciuns, les cochons nennen, oder da wo wir zuerst ein Kind von seinem Vater nicht mehr als mio padre, sondern als mon paire, mon père sprechen hören? Ich befürchte, es möchte dabei der besondere Geschmack eines jeden zu Tage kommen".
Jud ritorna su questo punto nella sua lettera del 25 dicembre dello stesso 1917, contrastando in parte la Sprachverwandtschaft schuchardtiana (???): [...] Der Widerspruch bewegt sich in der Richtung, dass ich gerne gesehen hätte, welches die Wahl der Merkmale sein muss, um von einer stetigen geographischen Abstufung reden zu können. [...] Ich gebe zu, dass bei „ungestörten“ Verhältnissen sich die geographische Abstufung mit der sprachlichen in correlatem Verhältnis befindet: aber hat die sprachliche Betrachtung je mit solch primitiver Lagerung zu untersuchen Gelegenheit? Und ist es nicht gerade eines der reizvollsten Probleme zu zeigen – was Sie am Schlusse so eindringlich betonen – dass Sprachgeschichte Volksgeschichte oder besser Geschichte der Sprechenden einer Volksgenossenschaft oder der Menschheit ist? Ist die Gruppierung der italischen Mundarten nicht auch ein Capitel der Geschichte der Italienisch Sprechenden?" (n° 05188)
A questo riguardo si vedano anche le interessanti osservazioni di Goebl (???) sul progetto del Glossaire des patois romands de Suisse sotto l'egida di Louis Gauchat.
Le carte di prova per "Sense und Sichel" che arrivarono a Graz più tardi sono conservate nel lascito di Schuchardt all'interno della sezione Werkmanuskripte al numero d'archivio 17.6.1.6.
In una lettera presumibilmente databile all'inizio del 1921 e sicuramente posteriore alla ricezione delle carte di prova, Schuchardt fa riferimento a possibili migliorie nella rappresentazione delle cose e delle parole sulla carta, che l'ormai quasi ottantenne dovette consultare con l'ausilio di una lente d'ingrandimento.
Ritorna poi sull'argomento oltre due anni dopo, : "Ich kann nur selten und nur wenig arbeiten. Ins Romanische darf ich eigentlich gar nicht mehr hineinreden; wie ich Ihnen schon sagte, bilden der Atlas ling. und andere 'Wälzer' für mich fast unüberwindliche Hindernisse" (Archivio dell'AIS, Berna, lettera non numerata del 18 agosto 1919).
Esemplari di ciò possono essere considerati i cenni che fanno Jaberg/Jud (???) riguardo alla ricerca dell'editore e alle spese dell'AIS.
Così scrive Wunderli (???): "Projekte für einen derartigen Sprachatlas – u.a. den Atlante linguistico mediterraneo, den Atlante linguistico europeo usw. – hat es inzwischen verschiedene gegeben; keines davon ist jedoch auch nur annähernd zur Publikationsreife gediehen. Die Vision Schuchardts eines „übereinzelsprachlichen“ Sprachatlasses dürfte damit nach über hundert Jahren dem Bereich der Utopien zuzuordnen sein".
Il problema dei finanziamenti, a prima vista alleviato dalla raccolta dati tramite web, dunque resta, ma cambia fisionomia: se i costi per le esplorazioni possono essere notevolmente ridotti, ve ne sono altri, di concettualizazione e programmazione delle piattaforme che ospitano gli atlanti, di salvaguardia dei dati, oltre che, naturalmente, di personale scientifico e tecnico che monitora, adegua, rielabora, aggiunge, ecc. nell'ambito di progetti che, per loro natura, non possono mai dirsi conclusi.
Non entriamo qui nelle questioni riguardanti la conservazione e l'archiviazione a lungo termine di grandi quantità di dati, che senz'altro è un quesito di centrale importanza per tutti i progetti delle digital humanities, ma per il quale esistono già esempi di buone pratiche.
Altri problemi sono legati, per esempio, all'interpretazione dei dati forniti in maniera scritta - si pensi alle diverse grafie scelte per la rappresentazione di fonemi dialettali, qualora di questi non siano forniti anche realizzazioni foniche. Ciò comporta, in diversi casi, che tali dati possano essere utilizzati solo per un'analisi di tipo lessicale, ma restino preclusi allo studio fonetico-fonologico. Posto poi il caso che tali dati venissero corredati da registrazioni audio, quale sarebbe lo status da attribuire a queste, che, senza una trascrizione e interpretazione da parte dello scienziato, resterebbero piuttosto dati "grezzi"?
Data la dinamicità e apertura dei nuovi progetti diviene ozioso chiedersi, come invece fecero Jaberg und Jud, se il materiale raccolto sia adeguato a rispondere a interessi scientifici diversi, in quanto esso può continuamente essere integrato e rimodellato.
Eterogeneità che caratterizza anche altri progetti atlantistici: si pensi per es. all'ASLEF (???) o all'ALI (???), che presenta anche dati raccolti in precedenza in altri atlanti. Nonostante le diverse fonti siano indicate, la rappresentazione cartografica appiattisce monodimensionalmente i diversi dati.
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Il discorso politico fra variazione linguistica e variazione testuale

8. Premessa

“In politica mai dire mai”. Con questa epanadiplosi tanto abusata da poter essere quasi considerata un luogo comune, i personaggi politici sono soliti giustificare i più arditi cambiamenti (o stravolgimenti) di strategie, tattiche, alleanze, accordi più o meno estemporanei fra partiti, fazioni, coalizioni. Insomma per usare un’espressione coniata in ambito politico, ‘mai dire mai’ è l’argomento decisivo usato in ogni ragionamento che voglia giustificare un ‘ribaltone’. E proprio da queste due espressioni vorrei partire in questo lavoro con il quale mi inserisco volentieri nei festeggiamenti in onore dell’amico Thomas Krefeld. Iniziamo con ‘ribaltone’. Come è stato recentemente osservato da Vittorio Coletti , quello che a tutti parve, al suo apparire intorno alla metà degli anni ’90 del XX secolo, un neologismo, almeno nel significato di rovesciamento post-elettorale delle alleanze con le quali i partiti si erano presentati agli elettori, in realtà era già attestato, con un analogo senso figurato, già in vari lessici ottocenteschi. Addirittura, nel significato politico di rovesciamento delle alleanze, il termine “era già sporadicamente apparso negli anni Settanta-Ottanta del Novecento, come è oggi facilmente desumibile da una semplice ricerca su Google” (???). Questa osservazione di Coletti, significativamente inserita in uno stimolante lavoro sull’italiano che l’Autore chiama “scomparso”, mi conduce a spiegare il motivo che mi ha spinto di concentrarmi in questa sede sul discorso politico. Mi pare, infatti, che esso sia un luogo privilegiato per osservare la dinamicità dei mutamenti linguistici e la loro non perfetta linearità. Tale privilegio è giustificato da diverse ragioni, le quali hanno a che fare con le due espressioni sopra richiamate. “Mai dire mai”, in fondo, significa che in politica è sempre possibile un “ribaltone”, il quale riguarderà non soltanto le scelte politiche ma anche le scelte linguistiche, le quali delle prime sono espressione.
Un ulteriore motivo di interesse che mi spinge in questa sede a occuparmi di discorso politico è che quest’ultimo consente in modo assai evidente di cogliere quella variabilità che per Coletti interessa tipi e generi testuali tanto in sincronia quanto in diacronia. Esso si muove infatti fra generi testuali assai diversificati, tanto che è assai difficile tracciarne i confini, che appaiono in effetti assai sfumati36.

Tale tendenza alla variabilità del discorso politico si riflette in una delle sue caratteristiche più interessanti, cioè quella di sfruttare al massimo una delle proprietà prototipiche delle lingue storico-naturali, ossia la vaghezza semantica. A questo proposito, (???) molto opportunamente osserva che proprio questa caratteristica è alla base dello stigma che tradizionalmente marchia il linguaggio politico, considerato (non sempre a torto, va detto) fumoso, incomprensibile o addirittura intrinsecamente menzognero. Un linguaggio respingente, che scoraggia i cittadini dal partecipare attivamente alla vita democratica, una sorta di salamandra che con la sua particolare colorazione avvisa di essere velenosa e indigeribile, qualcosa insomma da evitare accuratamente. Per questa via, il mondo politico finisce per chiudersi in una torre d'avorio in cui l'autoreferenzialità è insieme causa ed effetto della volontà di gestire il potere per il potere.
Lungi dal voler fare qui l’avvocato del diavolo, in questo contributo vorrei riflettere sull’utilità di interpretare il discorso politico da una prospettiva linguistica, cosa che impone di partire dal testo, in quanto, come si sa, la lingua non esiste al di fuori del testo, se non come sistema astratto. In tale prospettiva occorre, prima di ogni altra cosa, cogliere le ragioni delle scelte linguistiche compiute dagli attori politici e, in seconda battuta, dare a tali scelte un valore “politico”, che può essere individuato a partire dalla funzione che esse svolgono nel testo. Questa funzione è legata, come proverò a mostrare nei paragrafi che seguono, alle modalità di gestione dell’argomentazione, la quale rappresenta il tipo testuale dominante nel discorso politico37. Il modo in cui l’argomentazione è presente nei diversi generi in cui l’attività politica è discorsivamente contestualizzata è in grado di indicare i termini della proporzione fra componente dialettica e componente retorica del singolo testo38. In questa prospettiva, la vaghezza semantica è la risorsa del livello universale dell’attività linguistica che gli attori politici sfruttano per organizzare nel discorso le loro costruzioni argomentative e modulare le loro posizioni su specifici temi di discussione.
Uno studio del discorso politico che indaghi le scelte linguistiche (lessicali ma non solo) alla luce delle strategie argomentative messe in campo per giustificarle consente di aprire la strada a una visione meno impressionistica e ingenua di queste scelte. Attraverso gli strumenti dell’analisi dell’argomentazione è, infatti, possibile individuare i confini di quello spazio di azione discorsiva entro il quale gli attori politici negoziano i significati e, di conseguenza, confermano o modificano le proprie posizioni.

9. Per un'autonomia del linguistico

Abbiamo ricordato poco sopra che il discorso politico goda di cattiva fama non solo presso l’opinione pubblica ma anche, talvolta anche inconsapevolmente, presso gli stessi studiosi39. A dare un contributo teorico ed empirico fondamentale alla diffusione di tale visione negativa sono stati, secondo Petrilli, quei lavori, che, a cavallo fra le due metà del Novecento, hanno studiato con grande acutezza e sensibilità, i meccanismi linguistici di cui i regimi totalitari si sono serviti per costruire e rafforzare il consenso delle masse40. Questi studi, direttamente o indirettamente, hanno indirizzato l’analisi del discorso politico verso alcuni tratti caratterizzanti che ne fanno l’esempio più compiuto di discorso propagandistico, mirato cioè alla conquista del consenso. La conseguenza è stata un fiorire di lavori (di taglio linguistico, sebbene non sempre i loro autori fossero linguisti) i quali hanno associato la descrizione di tratti e peculiarità linguistiche di specifici personaggi e partiti a giudizi politici o addirittura etici sul loro operato. In Italia, in particolare, abbiamo avuto straordinarie denunce del modo in cui attraverso la lingua si possa nascondere, distorcere, dissimulare, ingannare, a partire dalle invettive pasoliniane contro il modo di esprimersi dei leader democristiani41. L’esistenza di una correlazione fra cattiva politica e cattiva lingua è presente anche in più di uno studio recente, fra i quali vanno segnalati almeno Bolasco (???), Carofiglio (???), Bartezzaghi (???), Zagrebelsky (???), Antonelli (???). Di questi, si noti, solo l’ultimo autore è un linguista, il quale ha anche il merito di dare profondità storica alla sua analisi. Antonelli, infatti, coglie una tendenza alla semplificazione sintattica e lessicale nella lingua usata dai politici che interessa l’ultimo quarto di secolo. Sua è la nota differenziazione fra “paradigma della superiorità” e “paradigma del rispecchiamento”. La differenza, secondo l’Autore, sta nel fatto che il secondo

mimetizza abilmente i meccanismi di persuasione riconducibili alla funzione conativa [corsivo nell’originale] del linguaggio, cercando d’instaurare con l’interlocutore un contatto diretto molto più simile a una chiacchierata tra amici: ovvero a quella che i linguisti chiamano funzione fàtica .[corsivo nell’originale] Se prima si mirava a impressionare l’uditorio facendo pesare la propria superiorità culturale, ora si prediligono forme espressive elementari che hanno la funzione di simulare schiettezza, sincerità, onestà. Dal «votami perché parlo meglio (e dunque ne so più) di te» si è passati al «votami perché parlo (male) come te» (???).

L’individuazione dei motivi di differenziazione in diacronia fra i due paradigmi non impedisce tuttavia di definire il linguaggio politico come quel “linguaggio specialistico il cui scopo è mettere in discussione l’univocità referenziale dei termini a favore di una diversa definizione, legata alla prospettiva di parte assunta dal parlante” (???). Infatti, la semplificazione linguistica, impressa dai politici negli ultimi decenni a tutti i livelli sistemici (nella sintassi, nella morfologia, nel lessico) con l’evidente scopo di avvicinarsi agli usi linguistici (presunti) dei cittadini-elettori, non ha affatto condotto ad abbandonare la pratica di negoziare e manipolare continuamente nel discorso i significati dei termini al centro del confronto fra gli attori politici. Anzi, come ben colgono Gualdo e Dell’Anna (???), la fase attuale ha portato alla creazione di nuove forme dell’oscurità (l’uso dell’inglese ad esempio), le quali in ogni caso, seguendo la definizione poco sopra riportata - che qui faccio mia - saranno piuttosto da considerare espressione di una irriducibile complessità concettuale, niente affatto intaccata da quei processi di semplificazione, caratteristici del paradigma del rispecchiamento, che interessano soltanto la superficie linguistica del testo.
Da questo punto di vista, dunque, l’oscurità non dipende dalla incomprensibilità in sé del vocabolario tecnico, ma dal fatto che quest’ultimo non ha una definizione univoca. Come ha infatti osservato Tullio De Mauro, le manipolazioni e gli stravolgimenti fraudolenti delle parole da parte degli attori politici esistono e anzi costituiscono un tópos sin dall’evo antico. Per De Mauro, ovviamente questi misfatti esistono ed è un dovere civico individuarli e denunciarli. Tuttavia, prosegue “le relazioni tra linguaggio e politica sono ben altre, ben più ampie e complesse degli effetti discorsivi ravvisabili nell’uso linguistico di questo o quel soggetto della vita politica” (???). Queste relazioni invarianti rispetto all’uso possono essere colte attraverso l’analisi del processo che lega le parole al testo, o meglio che contestualizza le parole all’interno di un determinato testo. Attraverso l’analisi del discorso politico è possibile studiare anche, come suggerisce Cedroni (???), gli stessi processi decisionali politici e sociali di cui si occupa la scienza della politica, in quanto essi non sono semplicemente comunicati attraverso la lingua (parlata o scritta) ma ne sono parte integrante42.

10. Dotare la variazione sincronica di profondità diacronica

Nel paragrafo precedente abbiamo citato alcuni studi che pongono l’analisi linguistica al servizio di un giudizio di tipo etico sull’uso del linguaggio per distorcere, occultare o mascherare i fatti a fini propagandistici. Alcuni di essi si ispirano, indirettamente o, come quello di Zagrebelsky, esplicitamente al lavoro che meglio è riuscito a rappresentare questo “lato oscuro della luna”. Mi riferisco a quello straordinario documento a metà fra il diario, l’autobiografia e il saggio di sociolinguistica che è LTI. La lingua del Terzo Reich di Viktor Klemperer, che significativamente reca come sottotitolo Taccuino di un filologo. Il punto di vista di Klemperer è estremamente diverso da quello di altri lavori precedenti o successivi sulla lingua dei regimi totalitari. In primo luogo, banalmente, in quanto il filologo tedesco visse sulla propria pelle gli effetti prodotti dalla sistematica opera di disumanizzazione di intere categorie di persone (ebrei, omosessuali, disabili, oppositori politici) costruita attraverso l’uso fraudolento e distorto della lingua da parte del regime nazista. Ma ancora più significativo è il fatto che Klemperer mostri di avere molto chiaro che la lingua non esiste al di fuori delle condizioni storiche, sociali, culturali nelle quali essa è usata e che, soprattutto, risponde agli interessi e alle esigenze di chi la usa. Infatti, egli dedica un intero capitolo del suo lavoro ad argomentare contro l’equiparazione, che già dall’immediato dopoguerra circolava come tópos, fra ordine del discorso nazista e costume linguistico sovietico. La via attraverso la quale si sosteneva questa equiparazione muoveva dalla constatazione che tanto il lessico nazista quanto quello di matrice leninista fanno ricorso a metafore di tipo tecnologico e meccanicistico. Klemperer, a questo proposito, sostiene che “quando due si servono della medesima forma di espressione non è detto che siano mossi dalla medesima intenzione […] ora abbiamo un disperato bisogno di conoscere il vero spirito dei popoli da cui siamo stati tenuti lontani tanto a lungo, sui quali ci hanno raccontato tante menzogne. […] Niente ci avvicina di più all’anima di un popolo quanto la lingua… Però “gleichschalten” e “ingegnere dell’anima” sono entrambe espressioni tecniche, ma la metafora tedesca conduce alla schiavitù, quella russa indica la libertà” (???)43.

Al di là di tutto (e soprattutto al di là della scelta di campo ideologica operata dallo studioso tedesco dopo la fine della guerra)44, mi pare che il passo appena citato faccia capire piuttosto chiaramente che non è possibile indagare un tipo di discorso come quello politico appiattendosi sulla sincronia senza considerare la diacronia, o peggio, far riferimento a una sincronia alienata dai suoi assi di variazione.
In effetti, le modalità di manipolazione del discorso elaborate e messe in pratica dai regimi totalitari sono state considerate come parte sostanziale dei modelli linguistici e discorsivi impiegati anche nei regimi democratici. Tutto ciò ha senza dubbio contribuito alla costruzione di quell’aura negativa che oggi ammanta il linguaggio politico e che è ben sintetizzata dalla parola ‘politichese,’ con la quale di solito e ancor oggi si indica la lingua usata dai politici e alla quale, sin dalla sua coniazione, è stata attribuita un’accezione negativa.
Oggi questa immagine negativa si è ulteriormente accentuata, tanto che una buona parte degli studi più recenti, si concentra sugli aspetti che evidenziano lo stato di degrado nel quale versa il discorso pubblico nella fase attuale (e dunque, principalmente quello politico che del primo è il nucleo e la fonte). Specchio e al tempo stesso causa di questa crisi profonda è l’emergere e il rafforzarsi (in Europa e nelle Americhe) di movimenti populisti e sovranisti45.

11. Argomentazione e negoziazione dei significati

Alla base della confusione fra descrizione linguistica e giudizio etico vi è una sorta di empiria priva di teoria, è ciò ha impedito di giungere a una piena comprensione e soprattutto a una soddisfacente definizione di linguaggio politico. Sulla difficoltà di dare una caratterizzazione del discorso politico come ambito di impiego delle risorse linguistiche in situazioni riconoscibili, con ruoli e finalità ben individuabili, insiste anche Santulli (???). L’Autrice osserva che anche la nota classificazione del linguaggio politico di Edelman (???), pur basandosi su considerazioni relative al contesto situazionale, “include ambiti che sembrano collocarsi al di fuori dell’area della politica strettamente intesa, con un allargamento della prospettiva che da un lato riflette la difficoltà di tracciare dei confini e dall’altro ripropone il tema della trasversalità della politica” (???)46.
L'idea di partire, come fa Petrilli, dallo sfruttamento della vaghezza semantica appare, invece, allo stesso tempo robusta e malleabile. Robusta in quanto usa come criterio un principio universale delle lingue storico-naturali; malleabile, in quanto può applicarsi ai diversi contesti nei quali si attualizza il discorso politico. Ciò significa, prima di ogni altra cose, che piuttosto che dalle funzioni e gli scopi astratti, occorre partire da ciò che gli attori politici concretamente fanno nel discorso e attraverso il discorso in un determinato genere discorsivo.
Osserviamo, questo proposito, l’esempio seguente, tratto da uno degli ultimi interventi tenuti alla Camera dei Deputati da Aldo Moro, prima del suo sequestro per mano della Brigate Rosse47.

(1)
A chiunque voglia travolgere globalmente la nostra esperienza; a chiunque voglia fare un processo, morale e politico, da celebrare, come si è detto cinicamente, nelle piazze, noi rispondiamo con la più ferma reazione e con l’appello all’opinione pubblica che non ha riconosciuto in noi una colpa storica e non ha voluto che la nostra forza fosse diminuita … Se avete un minimo di saggezza, della quale, talvolta, si sarebbe indotti a dubitare, vi diciamo fermamente di non sottovalutare la grande forza dell’opinione pubblica che, da più di tre decenni, trova nella Democrazia Cristiana la sua espressione e la sua difesa.

Nel brano (una difesa dell’operato e del ruolo della DC come partito guida in Italia) Moro si appella a quella che chiama ‘opinione pubblica’, la cui definizione si può cogliere dall’implicatura contenuta nelle due relative che seguono il sintagma, da cui si inferisce che il leader democristiano considera ‘opinione pubblica’ come sinonimo di ‘elettorato’. Quello di ‘opinione pubblica’ è in effetti un concetto vago. Qui Moro sembra giocare sulla polisemia del concetto. Nelle società democratiche esso è inteso in almeno tre accezioni: l’opinione di massa, l’opinione dei gruppi e l’opinione popolare. La prima è quella che racchiude “l’insieme dei valori e dei significati stabili e condivisi che proviene dalla tradizione storica e culturale di un popolo e assolve a una fondamentale funzione integrativa a livello sociale, precede[ndo] e fonda[ndo] ogni successiva diversificazione in correnti di opinione” (???). La seconda è, invece, “l’opinione di élites e minoranze, ad esempio organizzazioni attive nella sfera pubblica o che agiscono come gruppi di pressione o portatori di interessi” (ibidem).
La terza è “la somma delle opinioni e degli orientamenti individuali su un dato tema [che] è quella che si esprime, ad esempio, nei risultati dei referendum o delle consultazioni elettorali” (ivi: 1137). Moro, ovviamente, non esplicita a quale dei tre significati di opinione pubblica egli si riferisca, anche se è probabile pensare che quello più contestualmente rilevante sia il terzo. In ogni caso, ciò che qui importa notare è che la vaghezza semantica appare qui come una risorsa argomentativa che consente all’oratore di dar forza al suo ragionamento.

11.1. Scelte lessicali e strutture argomentative

Lessico e strutture argomentative specifiche sono dunque i due elementi costitutivi del discorso politico, i quali vanno considerati contemporaneamente se si vuol dare una definizione generale del linguaggio politico. Infatti, l'obiettivo del linguaggio politico di persuadere rispetto a opinioni riguardanti temi di interesse collettivo si manifesta, sul piano dell’organizzazione dell’argomentazione, in una continua rinegoziazione e in un continuo tentativo di rimodellare i significati dei termini chiave del confronto e dell’attività politica.
Da questo punto di vista, il discorso politico avrebbe la sua ragion d’essere nel mantenimento (quasi una rivendicazione) della vaghezza semantica dei termini tecnici (intesi, si badi, come i termini riguardanti i temi politici, ossia tutti quelli di interesse collettivo). In tal modo, l’attore politico può, sulla base delle specifiche condizioni e convenienze politiche del momento, costantemente modificare, allargare, restringere, addirittura ribaltare, stravolgendolo, il valore semantico di un termine. Si tratta di un’operazione che si pone sul piano diametralmente opposto a quello su cui si basa l’interpretazione giuridica, la quale ha come obiettivo di giungere a trovare un significato quanto più possibile univoco di termini controversi.

11.2. Il lato oscuro della negoziazione

Lo sfruttamento della vaghezza semantica è funzionale anche alla creazione stessa dell’interesse collettivo attorno a un tema espresso da un significante il cui significato è disponibile a essere modificato (e anche stravolto in taluni casi) in forza di un’operazione di negoziazione che giunge a una fase in cui il significato si coagula e conquista una sorta di approvazione collettiva esplicita o, in certi casi, di accettazione implicita da parte degli attori che occupano lo spazio del discorso pubblico.
Questa creazione di interesse collettivo avviene principalmente attraverso processi di persuasione argomentativa basati sulla ridefinizione del valore semantico dei termini da associare al tema che si vuol portare al centro del dibattito. Un esempio assai chiaro è quello del tema della ‘legalità’. Quasi tutto il discorso pubblico su questo tema si snoda oggi sull’accettazione di una definizione del concetto che si collega direttamente alla definizione di un altro tema oggi al centro del dibattito, quello della ‘sicurezza’. Legalità oggi è, infatti, collegata quasi esclusivamente a sicurezza. La legalità si rispetta solo in quanto serve a garantire la sicurezza dei cittadini, una sorta di argine a difesa da un pericolo più percepito che comprovato dai fatti48. Una recente ricerca del Censis mostra che, a fronte del calo complessivo dei reati, è parallelamente cresciuta la sensazione di insicurezza dei cittadini49. Riferendosi a questi dati, il segretario della Lega e ministro degli interni Matteo Salvini, sceglie di puntare sul dato percettivo (emozionale) più che su quello fattuale (razionale), e così commenta su Twitter i risultati dell’indagine.

(2)
Una nuova legge che permetta la #LegittimaDifesa delle persone per bene nelle loro case è una nostra priorità.

Nel suo tweet, Salvini impiega la fallacia argomentativa nota come “la falsa pista”, che consiste nel presentare un argomento che non ha riscontro nella realtà fattuale (l’insicurezza, che è soltanto percepita) allo scopo di fuorviare l’attenzione sul tema principale (la riduzione dei reati).
Il ragionamento di Salvini richiama, a cascata, altre due fra le più diffuse fallacie argomentative usate nel discorso politico: quella del “ricorso a una credenza”, che consiste nel postulare come vera una certa affermazione sulla base del fatto che la maggior parte delle persone la ritiene vera (come ritenere che vi sia un aumento dei reati quando è vero il contrario); e quella del ricorso alla paura, che basa la correttezza di un ragionamento su un qualche fattore esterno che è rilevante rispetto a quello che una persona stima ma che non è rilevante rispetto alla verità o falsità di un’affermazione.
Legalità e sicurezza divengono così nel discorso pubblico contemporaneo un binomio indissolubile, tanto da poter affermare che fra i due termini pare essersi surrettiziamente istituito un rapporto di sinonimia, in ragione del fatto che esso non è messo in discussione da nessuna delle principali forze politiche. Si consideri il seguente esempio, relativo a un tweet del 6 ottobre 2018 del sindaco di Firenze Dario Nardella (PD).

(3)
Ringrazio la polizia municipale che oggi ha fermato due donne travestite da mimi che molestavano turisti e passanti. Sono state segnalate alla Questura per il decreto di espulsione. Avanti così #sicurezza #firenze
6/10/2018 16:11

Nel post si evidenzia assai bene lo slittamento semantico che il concetto di 'sicurezza' ha avuto nel repertorio lessicale della sinistra italiana, in cui tradizionalmente il significante ‘sicurezza’ era associato a campi semantici assai lontani da quello attorno ai quali orbita attualmente, che sono quelli di una legalità che a sua volta si è allontanata sempre più dal campo semantico del ‘diritto’ e dei diritti’ per approdare a quello dell’’ordine pubblico’. Dalla rivendicazione del diritto al lavoro e alla sua tutela, alla salute e alla sua tutela, insomma dalla sicurezza sociale, si è così passati al diritto a non essere ‘molestati’ da coloro che sono per principio esclusi da ogni diritto e da ogni tutela sociale. Nel momento in cui le parole si staccano dalle cose a cui dovrebbero essere associate, la deriva linguistica diviene inevitabilmente deriva politica. Lo slittamento in termini di semantica politica è confermato da un successivo post, pubblicato stavolta sulla propria pagina di Facebook, da Nardella, in cui la sicurezza (declinata sempre in termini di ordine pubblico) è definita “un diritto più che un bisogno” che lo Stato deve garantire aumentando il numero di agenti di pubblica sicurezza.

11.3. La deriva semantica

Lo slittamento semantico di un termine finisce spesso per coinvolgere anche le parole ad esso vicine. Consideriamo il seguente esempio, relativo a un tweet pubblicato il 25 aprile 2017:

(4)
#Salvini: un paese è libero se SICURO. I nostri nonni persero la vita perché non passasse "lo straniero".
#legittimadifesasempre

In questo caso l’uso eccessivamente disinvolto della vaghezza semantica finisce per giustificare la soppressione del contesto storico, che a sua volta consente di separare i referenti dalle parole, che assumono così significati del tutto opposti. Sul piano logico, qui Salvini ricorre a una variante della fallacia informale per ambiguità, in cui si usano parole e frasi ambigue. La differenza è che solitamente l’ambiguità consiste in un cambiamento di significato delle parole nel corso dell’argomentazione. In questo caso, l’anfibolia riguarda il cambiamento dei referenti storici delle parole impiegate nel testo. Le parole ‘libero’, ‘sicuro’, ‘straniero’ e soprattutto l’hashtag #legittimadifesasempre, creano una catena logica del tutto irrelata rispetto all’evento storico a cui il messaggio fa riferimento, che peraltro è esso stesso ambiguo, dal momento che, se non fosse per la data in cui esso è stato pubblicato (il 25 aprile, giorno in cui si celebra la liberazione dell’Italia dal nazifascismo), il tweet potrebbe anche, senza soverchio sforzo, essere associato non già alla seconda ma alla prima guerra mondiale.

12. Negoziare i significati fra implicitezza ed esplicitezza

Uno degli aspetti più interessanti della negoziazione dei significati delle parole del lessico politico è che essa avviene sul terreno argomentativo in forma sia esplicita sia implicita. In quest’ultima parte del contributo, discuterò due esempi, entrambi tratti dalle più recenti vicende della vita politica italiana, in cui questa continua messa in discussione dell’univocità dei significati in favore di una loro ridefinizione legata alla prospettiva assunta dal parlante è piuttosto evidente. Il primo riguarda un caso in cui la ridefinizione dei significati avviene in modo esplicito attraverso atti linguistici espositivi ed epilinguistici (???). Nel secondo, invece, questa ridefinizione avviene in modo più implicito, senza cioè che tale ridefinizione sia offerta all’attenzione del destinatario, attraverso il ricorso a metafore, implicature o attivatori di presupposizione (ibidem). In entrambi gli esempi, invece, si potrà notare che la ridefinizione passa anche attraverso commenti di qualificazione che permettono di modificare il termine oggetto di negoziazione.
Entrambi gli esempi si riferiscono a videomessaggi diffusi attraverso i social network, luoghi digitali di condivisione ampiamente sfruttati dai politici in quanto consentono quella che è stata definita “disintermediazione”, una dimensione nella quale “il soggetto politico parla direttamente con i cittadini, marginalizzando la tradizionale mediazione giornalistica” (Bentivegna in http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/politicamente/Bentivegna.html, pagina consultata il 12/04/2019).

12.1. La ridefinizione esplicita

Iniziamo, come anticipato, con un caso relativo a una ridefinizione esplicita, alla quale si ricorre di preferenza quando si intende giungere alla sostituzione di un significante che appare semanticamente saturo. Questo è quanto è avvenuto con l’introduzione del concetto di “contratto di governo”, con il quale si è cercato di dare una giustificazione politica alla formazione di un governo appoggiato da due forze politiche appartenenti a schieramenti diversi (MoVimento 5stelle e Lega). Il lavoro argomentativo, in questo caso, è consistito soprattutto nel giustificare la necessità di non utilizzare le espressioni solitamente impiegate per descrivere governi frutto di accordi fra forze politiche anche profondamente diverse, quali ‘alleanza’, ‘compromesso’, ‘accordo’, ‘coalizione’, ecc. Queste, ad esempio, le parole del capo politico dei 5stelle Luigi Di Maio (https://www.youtube.com/watch?v=Erocp0QZWBI, pagina consultata il 12/04/2019).

(5)
Come vi ho detto sempre non è un’alleanza, è un contratto da firmare. È un contratto che mette al centro i cittadini e i loro problemi. Non mette al centro i politici. Non stiamo parlando di nomi, stiamo parlando delle questioni irrisolte da trent’anni in Italia.

In questo breve passaggio, Di Maio chiarisce il senso nel quale va intesa la decisione di usare l’espressione ‘contratto’, che viene qui esplicitamente contrapposta ad ‘alleanza’. Quest’ultimo termine, secondo Di Maio, indica gli accordi stretti per tutelare gli interessi di cui sono portatori gli attori politici. Per ‘contratto’, invece, il capo politico dei 5stelle intende un accordo stretto direttamente con i cittadini. La presenza di un atto epilinguistico non comporta tuttavia la rinuncia al commento e all’uso dell’implicito, meccanismi che nel brano fungono da argomenti in appoggio all’affermazione esplicita, la quale, di fatto, costituisce la tesi del ragionamento. Più in particolare, la proposizione relativa del secondo enunciato costituisce un commento che qualifica ulteriormente il termine oggetto di negoziazione, precisandone le caratteristiche. Il terzo e il quarto enunciato, invece, istituiscono un implicito paragone fra ‘contratto’ e ‘alleanza’. Di Maio, infatti, nell’evidenziare i tratti che non caratterizzano il contratto, implicitamente li assegna alla sfera dell’alleanza.

12.2. La ridefinizione implicita

Quando la negoziazione dei significati avviene interamente attraverso il ricorso all’implicitezza, l’ascoltatore è indotto a ricostruire il significato attraverso inferenze. Il brano che segue è tratto da una lunga diretta video postata sulla propria pagina Facebook dal ministro dell’Interno Matteo Salvini il 7 settembre 2018. Nel video si vede Salvini che, dalla sua scrivania del ministero, legge l’avviso di garanzia per sequestro di persona notificatogli qualche ora prima dalla Procura della Repubblica di Palermo in relazione al caso della nave Diciotti50.

(6)
Ebbene adesso andiamo a leggere se sono un sequestratore e se voi ((punta il dito indice verso la videocamera) siete complici. Perché io ringrazio uno per uno i tre milioni di amici su Facebook e anche su Twitter e su Instagram che in questi giorni mi stanno dicendo «non mollare!» […] Io non ho mai visto un atto giudiziario nei miei confronti, quindi non so se voi siate usi ((ride)) ad essere indagati, assolti, archiviati, perquisiti… per me è una esperienza nuova e ci tengo a condividerla con voi. Perché quello che faccio nel bene e nel male lo faccio con voi. […] ((legge l’avviso di garanzia)) Penso che la stragrande maggioranza degli italiani per bene abbia qualche perplessità perché qui c’è sostanzialmente la certificazione che un organo dello Stato ((indica la carta intestata della Procura della Repubblica di Palermo)) indaga un altro organo dello Stato. Con la piccolissima differenza che questo organo dello Stato ((indica se stesso)) pieno di difetti per carità di Dio e di limiti è stato eletto da voi. ((punta l’indice verso la videocamera)) Voi avete chiesto di controllare i confini, di controllare i porti, di limitare gli sbarchi, di limitare le partenze, di espellere i clandestini, quindi me l’avete chiesto e vi ritengo miei amici, miei sostenitori, miei complici. Altri non sono eletti da nessuno e non rispondono a nessuno.

Lo stralcio che abbiamo proposto è assai complesso e tutto giocato su presupposti e su premesse non esplicitate, che mirano a dimostrare la tesi di fondo sulla quale Salvini ha basato la sua strategia difensiva nei confronti dell’accusa che gli era stata rivolta, strategia che alla fine si è rivelata vincente. Nel brano, Salvini ricorre a quello che Lakoff (a proposito della strategia social del presidente degli Stati Uniti Trump) chiama preventing framing “il framing preventivo, che consente […] di essere il primo a definire e inquadrare, a suo vantaggio, le questioni politiche” (Pregliasco 2019: 35).
Nel caso del brano riportato, la vaghezza semantica interessa interi enunciati, attraverso i quali Salvini ridefinisce implicitamente un concetto cardine della democrazia rappresentativa, che riguarda la fonte stessa della legittimazione dei poteri. L’opinione pubblica a cui faceva riferimento il discorso di Moro che abbiamo commentato poco sopra (vedi es. 1) si trasforma nel “popolo” dei followers di Facebook e degli altri social network. Il fulcro di questa operazione di ridefinizione è però nella seconda parte del brano, in cui l’enunciato più interessante ai fini del nostro ragionamento è “c’è sostanzialmente la certificazione che un organo dello Stato indaga un altro organo dello Stato”. Qui Salvini istituisce implicitamente una equivalenza fra l’istituzione e chi la rappresenta, in modo da poter usare uno degli argomenti tipici del discorso populista: la sola legittimazione è quella che proviene dall’investitura popolare, la quale, peraltro, crea un legame di complicità con colui il quale riceve quell’investitura. Di conseguenza chi non è eletto da nessuno (i magistrati) non può arrogarsi il diritto di ingerire sulle azioni di chi gode della legittimazione popolare. Nell’enunciato troviamo una sorta di modificatore della forza illocutiva, rappresentato dall’avverbio ‘sostanzialmente’, che di fatto conferisce vaghezza all’enunciato che introduce, in quanto implica che quanto segue non ha un reale significato sul piano del diritto costituzionale ma solo su quello dell’interpretazione politica.

13. Conclusioni

In questo contributo ho provato a offrire alcuni spunti per riflettere sull’utilità di studiare il linguaggio politico da una prospettiva in cui l’analisi linguistica non si riduca a una mera ed estemporanea elencazione di tratti (da quelli lessicali a quelli sintattici) che non riesca a collegarsi a una definizione che ne colga le caratteristiche peculiari. Da questo punto di vista, ho cercato di indicare due strade convergenti. La prima è quella che tiene assieme analisi sincronica e diacronica, o meglio quella che dà alla sincronia una profondità diacronica. La seconda è quella che collega le singole forme o strutture oggetto di analisi alla loro funzione all’interno del discorso. Quest’ultima è la via che è in grado anche di toccare un aspetto che qui ho solo sfiorato, che è quella della variabilità dei generi nei quali il discorso politico si articola, generi che, a seconda delle fasi storiche, si moltiplicano e si contraggono, fin quasi a ridursi a una nebulosa irriconoscibile, in cui i diversi piani si confondono annullando la variabilità diafasica (???).
Ciò che mi preme rimarcare in conclusione è che lo studio dei meccanismi che regolano il funzionamento del discorso politico ha un’utilità che va al di là del lavoro di ricerca, in quanto consente di proiettare l’analisi linguistica nel cuore delle questioni che interessano il corpo sociale e che al corpo sociale parlano. Tutto sta nel saperle cogliere e comprendere.

Bibliographie

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Fra chi parla mandinka in Gambia e nella regione di Casamance (nel sud del Senegal) kankurang è uno spirito incarnato da un danzatore mascherato, considerato il principale custode delle celebrazioni dell’etnia mandingo come il rito della circoncisione e della celebrazione del matrimonio. I mandingo ritengono che il kankurang può curare l’infertilità nelle donne.
Si tratta di due località poste agli estremi del Paese.
Per il termine cf. Krefeld (???).
Molto di quanto qui scritto nasce dal nostro lavoro al progetto Network of Knowledge (2012-2016, finanziamento FWF) e all’Hugo-Schuchardt-Archiv (???). Quest'ultimo presenta l'opera omnia schuchardtiana, le relative recensioni e diverse edizioni dal suo epistolario, costituito da oltre 13.000 lettere e cartoline a lui indirizzate e conservate presso la biblioteca universitaria di Graz (cf. (???)), cui si aggiungono numerose lettere e cartoline scritte da Schuchardt rinvenute in biblioteche e archivi europei e non. Alla fine del 2018 oltre 6000 lettere erano disponibili in edizione digitale.
Consultabile in forma digitalizzata al sito NavigAIS
Quando non diversamente indicato, il numero corrisponde a quello con cui sono archiviati i pezzi di corrispondenza ricevuti da Schuchardt presso la Biblioteca universitaria di Graz, Hugo Schuchardt Nachlass.
Questo si concretizzava da una parte in un fitto scambio epistolare tra scienziati di diverse discipline, dall'altra nei diversi circoli, società e associazioni accademici, come p. es. la società antropologica di Vienna (???).
Non è certo questa la sede per approfondire la storia di tale approccio, per cui rinviamo alle pubblicazioni già citate, ma anche alle collezioni, visitabili in via telematica, di oggetti di interesse etnografico di Hugo Schuchardt (Volkskundemuseum Wien) e di Rudolf Meringer (Institut für Kulturanthropologie und Europäische Ethnologie der Universität Graz) e al carteggio tra Schuchardt e Meringer (???).
Cf. l’edizione (non commentata) in Melchior (???).
Carteggio parzialmente edito in Heinimann ((???), (???)).
La corrispondenza è stata analizzata nell'ambito di una Seminararbeit presso l'Institut für Sprachwissenschaft, ma è tuttora inedita.
L’edizione critica del carteggio è di prossima stampa (???).
Nonostante la corrispondenza tra Schuchardt e Puşcariu continui con discreta costanza fino al 1926, non vi sono cenni al progetto dell'Atlasul lingvistic român, per il quale nel 1922 erano cominciate le inchieste.
È evidente che vi è una reciproca interdipendenza e non possono essere considerati come "passi di lavoro" (sempre) nettamente distinti l'uno dall'altro. Tale distinzione ci pare tuttavia funzionale per capire meglio gli spunti di riflessione teorica che ne nascono.
Weigand raccolse personalmente i dati per il suo atlante nel corso di otto viaggi in loco a partire dal 1895. La pubblicazione dell'atlante avvenne dapprima a fascicoli, dal 1898, e poi in volume nel 1909. Il paradigma neogrammaticale godeva allora ancora di un forte consenso, soprattutto a Lipsia, alma mater di Weigand. Le inchieste per l'AIS, pubblicato a partire dal 1928, furono invece effettuate da tre esploratori appena dopo la fine della Prima Guerra mondiale, a partire dal 1919, in una fase dunque in cui l'approccio di Wörter und Sachen era già stato pienamente recepito dai linguisti svizzeri e non solo.
Gli otto volumi dell'AIS abbracciano 1705 carte, ciascuna delle quali comprende 405 punti d'inchiesta; il Linguistischer Atlas des dacorumänischen Sprachgebiets, in un unico volume, comprende 67 carte che si basano su 752 punti (!) di inchiesta, in cui i materiali vennero raccolti in un tempo assai breve e quasi esclusivamente da Weigand stesso.
Quelli dell'AIS erano di stampo lessicologico-culturale, oltre che fonologico e morfosintattico, nell'atlante di Weigand prevale invece l'interesse fonologico-storico.
Base per le inchieste dell'AIS fu il Fragebuch, elaborato sul modello di quello concepito per l'ALF, mentre Weigand, che pur aveva grande esperienza di lavoro con questionari, si prepose di raccogliere "Normalwörter" che potessero venire utilizzati spontaneamente all'interno di discorsi con gli informanti (per maggiori dettagli sulla metodologia e gli obiettivi dell'atlante romeno cf. (???), per l'AIS cf. (???)).
Meno intensa è la coeva corrispondenza tra Schuchardt e Jaberg: ai diciotto pezzi di corrispondenza di mano di Jaberg conservati a Graz si aggiungono solo tre indirizzati da Schuchardt al collega bernese.
Non si trovano invece spunti metodologici legati alla concezione dell'impresa atlantistica - Weigand sembra piuttosto preoccupato di tenere al corrente Schuchardt dei progressi nel lavoro, annunciandogli la pubblicazione delle diverse sezioni; cf. per esempio la lettera del 2 dicembre 1899 (n° 12704) in cui gli chiede se abbia avuto occasione di scorrere la seconda sezione dell'atlante, appena pubblicata, invitandolo a farne una recensione sul Centralblatt - desiderio che Schuchardt non esaudirà.
Weigand dedicò molto spazio alla descrizione dei suoi viaggi, come nel seguente esempio: "Für die Pferde ist es eine harte Arbeit, auf dem in Schlangenlinien sich windenden Pfade die Berge zu erklettern. Doch mit bewundernswerter Ausdauer überwinden sie alle Anstrengungen. Auf der Höhe ist eine Quelle "Kodru mare = großer Berg“ genannt. Ein überraschender Anblick bietet sich dort dar. Gerade vor uns, scheinbar sehr nahe, liegt V.L. auf halber Bergeshöhe, wie an die Felsen angeklebt. [...] Ein schmaler, gefährlicher Saumpfad führt in einem Stündchen nach V.L. (???).
Nonostante Jud tragga ispirazione dalle idee schuchardtiane, egli fa cenno all''impresa dell'atlante solamente a inchieste iniziate, il 21 agosto 1919 (n° 05195), e appena un anno dopo ne svelerà alcuni parametri, riconoscendo come l'impresa sia debitrice, nella sua concezione, all'insegnamento di Schuchardt: "Das Questionnaire umfasst etwa 2500 Wörter und Sätze: wir hoffen nichts wesentliches ausgelassen zu haben. Neben diesem Normalquest. existiert ein erweitertes Questionn. mit etwa 5000 Wö. u. Fragen, die er auf seiner ganzen Reise an 20 Punkten abfragen soll. In Bünden ist dies im Münstertal und in Lenz (bei Thusis) geschehen. An jedem Ort soll er eine Anzahl Photos von Geräthen aufnehmen, die als Bilderatlas einst veröffentlicht werden sollen. Das ist die teilweise Verwirklichung Ihrer Idee: Sprach- und Bilderatlanten. (n° 05204, 14 aprile 1920)".
Schuchardt (???) scrive "Und in der That finden wir noch auf dieser Seite der Gebirgshöhe Ortschaften deren Sprechweise der französischen Schriftsprache entschieden näher steht als der italienischen. Aber wo sollen wir den Grenzpfahl in den Boden stossen? Etwa da wo wir den Schweinehirten seine Thiere nicht mehr i porci sondern lus cusciuns, les cochons nennen, oder da wo wir zuerst ein Kind von seinem Vater nicht mehr als mio padre, sondern als mon paire, mon père sprechen hören? Ich befürchte, es möchte dabei der besondere Geschmack eines jeden zu Tage kommen".
Jud ritorna su questo punto nella sua lettera del 25 dicembre dello stesso 1917, contrastando in parte la Sprachverwandtschaft schuchardtiana (???): [...] Der Widerspruch bewegt sich in der Richtung, dass ich gerne gesehen hätte, welches die Wahl der Merkmale sein muss, um von einer stetigen geographischen Abstufung reden zu können. [...] Ich gebe zu, dass bei „ungestörten“ Verhältnissen sich die geographische Abstufung mit der sprachlichen in correlatem Verhältnis befindet: aber hat die sprachliche Betrachtung je mit solch primitiver Lagerung zu untersuchen Gelegenheit? Und ist es nicht gerade eines der reizvollsten Probleme zu zeigen – was Sie am Schlusse so eindringlich betonen – dass Sprachgeschichte Volksgeschichte oder besser Geschichte der Sprechenden einer Volksgenossenschaft oder der Menschheit ist? Ist die Gruppierung der italischen Mundarten nicht auch ein Capitel der Geschichte der Italienisch Sprechenden?" (n° 05188)
A questo riguardo si vedano anche le interessanti osservazioni di Goebl (???) sul progetto del Glossaire des patois romands de Suisse sotto l'egida di Louis Gauchat.
Le carte di prova per "Sense und Sichel" che arrivarono a Graz più tardi sono conservate nel lascito di Schuchardt all'interno della sezione Werkmanuskripte al numero d'archivio 17.6.1.6.
In una lettera presumibilmente databile all'inizio del 1921 e sicuramente posteriore alla ricezione delle carte di prova, Schuchardt fa riferimento a possibili migliorie nella rappresentazione delle cose e delle parole sulla carta, che l'ormai quasi ottantenne dovette consultare con l'ausilio di una lente d'ingrandimento.
Ritorna poi sull'argomento oltre due anni dopo, : "Ich kann nur selten und nur wenig arbeiten. Ins Romanische darf ich eigentlich gar nicht mehr hineinreden; wie ich Ihnen schon sagte, bilden der Atlas ling. und andere 'Wälzer' für mich fast unüberwindliche Hindernisse" (Archivio dell'AIS, Berna, lettera non numerata del 18 agosto 1919).
Esemplari di ciò possono essere considerati i cenni che fanno Jaberg/Jud (???) riguardo alla ricerca dell'editore e alle spese dell'AIS.
Così scrive Wunderli (???): "Projekte für einen derartigen Sprachatlas – u.a. den Atlante linguistico mediterraneo, den Atlante linguistico europeo usw. – hat es inzwischen verschiedene gegeben; keines davon ist jedoch auch nur annähernd zur Publikationsreife gediehen. Die Vision Schuchardts eines „übereinzelsprachlichen“ Sprachatlasses dürfte damit nach über hundert Jahren dem Bereich der Utopien zuzuordnen sein".
Il problema dei finanziamenti, a prima vista alleviato dalla raccolta dati tramite web, dunque resta, ma cambia fisionomia: se i costi per le esplorazioni possono essere notevolmente ridotti, ve ne sono altri, di concettualizazione e programmazione delle piattaforme che ospitano gli atlanti, di salvaguardia dei dati, oltre che, naturalmente, di personale scientifico e tecnico che monitora, adegua, rielabora, aggiunge, ecc. nell'ambito di progetti che, per loro natura, non possono mai dirsi conclusi.
Non entriamo qui nelle questioni riguardanti la conservazione e l'archiviazione a lungo termine di grandi quantità di dati, che senz'altro è un quesito di centrale importanza per tutti i progetti delle digital humanities, ma per il quale esistono già esempi di buone pratiche.
Altri problemi sono legati, per esempio, all'interpretazione dei dati forniti in maniera scritta - si pensi alle diverse grafie scelte per la rappresentazione di fonemi dialettali, qualora di questi non siano forniti anche realizzazioni foniche. Ciò comporta, in diversi casi, che tali dati possano essere utilizzati solo per un'analisi di tipo lessicale, ma restino preclusi allo studio fonetico-fonologico. Posto poi il caso che tali dati venissero corredati da registrazioni audio, quale sarebbe lo status da attribuire a queste, che, senza una trascrizione e interpretazione da parte dello scienziato, resterebbero piuttosto dati "grezzi"?
Data la dinamicità e apertura dei nuovi progetti diviene ozioso chiedersi, come invece fecero Jaberg und Jud, se il materiale raccolto sia adeguato a rispondere a interessi scientifici diversi, in quanto esso può continuamente essere integrato e rimodellato.
Eterogeneità che caratterizza anche altri progetti atlantistici: si pensi per es. all'ASLEF (???) o all'ALI (???), che presenta anche dati raccolti in precedenza in altri atlanti. Nonostante le diverse fonti siano indicate, la rappresentazione cartografica appiattisce monodimensionalmente i diversi dati.
Come osservano (???), la natura sfumata dei confini del discorso politico implica che tali confini possano essere di volta in volta ridefiniti a seconda di che cosa si intenda per ‘politica’ e dunque di che cosa si voglia includere in tale dominio. In teoria, gramscianamente, potremmo dire che “tutto è politica” e dunque dovremmo/potremmo considerare proprio del discorso politico ogni testo che affronti tematiche che riguardino l’ambito della politica. Tuttavia, Nella concreta pratica analitica si tende a restringere il campo ai generi prototipici del discorso politico, distinguendo, ad esempio, fra discorsi attinenti l’attività politica istituzionale (parlamentare, governativa, delle figure ufficiali come i capi di stato ecc.), discorsi riguardanti l’attività dei partiti (campagna elettorale, dibattito interno, ecc.) e discorsi in cui la politica diviene oggetto di informazione (in tv, alla radio, sulla carta stampata, sul web).
Non intendo, in questa sede, addentrarmi nella discussione sulla differenza fra ‘testo’ e ‘discorso’. Benché non tutti gli studiosi siano d’accordo nel considerare i due termini come sinonimi, li userò qui, per una mera questione di praticità espositiva, in modo quasi intercambiabile, fermo restando che tenderò ad adoperare il primo quando vorrò riferirmi allo specifico prodotto dell’attività comunicativa, mentre ricorrerò al secondo quando farò specifico riferimento al processo che conduce alla costruzione del testo. Si veda su questo (???) e, per quanto riguarda più nello specifico l’ambito politico, (???). Al tempo stesso, seguendo la terminologia introdotta da Peter Koch (???), userò il termine ‘genere discorsivo’ in riferimento a quelle concrete attività discorsive che arricchiscono i tipi testuali astratti “di pratiche e di regole nate in un contesto storico particolare, ammettendo magari degli incroci tra le categorie astratte” (???).
Faccio qui riferimento al modello di analisi dell’argomentazione elaborato dalla cosiddetta ‘scuola olandese’ (???). Secondo questo modello, i discorsi argomentativi si dislocano lungo un continuum ai due estremi del quale si collocano rispettivamente i discorsi in cui prevale la componente dialettica e i discorsi in cui prevale la componente retorica. La prevalenza della prima si concretizza nei discorsi argomentativi improntati al confronto fra idee, il cui obiettivo è quello di convincere l’interlocutore della giustezza delle proprie posizioni. Questi discorsi sono caratterizzati dal fatto che i partecipanti si dispongono reciprocamente ad ascoltare ed eventualmente a riconoscere la ragionevolezza delle opinioni espresse dall’altro e, dunque a farsi convincere da quelle abbandonando le proprie. Sul piano della teoria politica, questo tipo di discorso argomentativo è quello più vicino al modello di democrazia deliberativa elaborato da Habermas. La prevalenza della seconda componente (quella retorica) si concretizza in discorsi tesi alla persuasione dell’uditorio, usando tutti i mezzi per screditare non solo le idee contrarie alle proprie, ma anche coloro che le professano. Sul piano più generale, si entra qui nel campo della propaganda.
A dire il vero, e per concedere le attenuanti alla categoria alla quale appartengo, gli studi di carattere più propriamente linguistico hanno adottato un modo di procedere più oggettivo, benché abbiano per lo più lavorato sulla descrizione sincronica o diacronica di peculiarità strutturali, che però restano sul piano dell’osservazione empirica, senza spingersi a tentare di giungere a una definizione generale dei caratteri del linguaggio politico.
Capostipite di questo filone di studi è considerato Lasswell (???).
Riporto una delle più note di queste invettive, quella che Pasolini rivolse ai leaders della Democrazia Cristiana: “[...] ogni volta che aprono bocca, essi, per insincerità, per colpevolezza, per paura, per furberia, non fanno altro che mentire. La loro lingua è la lingua della menzogna. E poiché la loro cultura è una putrefatta cultura forense e accademica, mostruosamente mescolata con la cultura tecnologica, in concreto la loro lingua è pura teratologia” (???).
Lorella Cedroni, filosofa della politica prematuramente scomparsa, ha il merito di aver introdotto in Italia la cosiddetta ‘politolingustica’, calco dal tedesco Politolinguistik, termine coniato nel 1996 da Armin Burkhardt per indicare un ambito di analisi interdisciplinare che si colloca al confine fra linguistica e scienze politiche. Essa può essere considerata da un lato come un’area di applicazione degli strumenti dell’analisi linguistica (in particolare della semantica e della linguistica testuale), dall’altro come un campo di interesse della scienza della politica applicato allo studio del linguaggio impiegato dagli attori politici.
Klemperer fa qui riferimento, sul versante della lingua del nazismo, a un verbo (gleichschalten, ‘sincronizzare’, livellare, ‘uniformare’), che secondo lo studioso è fortemente rappresentativa della mentalità nazista: “Par di vedere e di sentire il pulsante che fa assumere a persone, non a delle istituzioni, non a istanze impersonali, posizioni e movimenti automatici uniformi” (ivi: 188). Sul versante del modello linguistico sovietico, invece, l'Autore cita la metafora, attribuita a Lenin, secondo cui l’insegnante è una sorta di “ingegnere dell’anima”. Istituendo (in maniera un po’ forzata) un ragionamento sillogistico, se un ingegnere, che si occupa di solito di macchine, viene associato alla cura dell’anima, se ne dovrebbe concludere che l’anima è una macchina. In realtà, osserva Klemperer, l’uso di questo tipo di metafore nel contesto educativo sovietico si spiega con il fatto che la tecnica era, nell’URSS di quel tempo, considerata il mezzo che avrebbe garantito alle masse popolari la possibilità di liberarsi dalla schiavitù del bisogno e di raggiungere livelli di esistenza più degni della condizione umana.
Dopo la caduta del regime hitleriano, Klemperer riottenne la cattedra di filologia romanza al Politecnico di Dresda e, già alla fine del 1945, aderì al partito comunista. Dopo la sua fondazione ufficiale nel 1949, decise di rimanere nella DDR (Repubblica Democratica Tedesca), ricoprendo anche incarichi ufficiali in seno al mondo accademico di quel paese (traggo queste informazioni dalla postfazione alla quinta edizione italiana della LTI).
Un affresco a tinte fosche del circolo vizioso in cui la lingua della democrazia sarebbe caduta a causa dell’abuso (cioè dell’uso fine a se stessa) della retorica è in Thompson (???).
Edelman individua quattro stili distinti di linguaggio che strutturerebbero il processo politico: lo stile giuridico, lo stile amministrativo e lo stile della contrattazione.
Traggo questo stralcio dal più ampio brano riportato ne L’affaire Moro di Leonardo Sciascia (???).
Secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Interno (http://www.interno.gov.it/sites/default/files/dossier_viminale_ferragosto-dati_1_agosto_2017_31_luglio_2018.pdf) gli omicidi sono calati in un anno (luglio 2017-agosto 2018) del 15% (del 50% negli ultimi 10 anni), mentre i furti dell’8% (del 38% negli ultimi 10 anni).
http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=121167, ultima consultazione 28 ottobre 2018.
Il 20 agosto 2018 la nave della marina militare italiana Ubaldo Diciotti, che  quattro giorni prima aveva soccorso in mare 190 persone, giunge nel porto di Catania. Su ordine del ministero dell'Interno, i migranti sono stati trattenuti a bordo fino alla mezzanotte del 26 agosto. Da qui l'accusa di sequestro di persona rivolta al ministro Salvini. Nel marzo del 2019, il Senato della Repubblica ha negato l'autorizzazione a procedere nei suoi confronti.
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Per un approccio settoriale allo studio del mutamento lessicale nelle varietà italoalbanesi. Il campo semantico degli animali

0. Ho già avuto l’occasione di riflettere sui rapporti tra lessico comune e lessico settoriale51 nei processi del mutamento lessicale in ambito siculoalabanese tentando di mostrare come – diversamente da quanto avviene nelle dinamiche del contatto tra le varietà del repertorio italo-romanzo, dove le forme dialettali sembrano conservarsi meglio in alcuni campi esperienziali propri delle attività tradizionali52 – in un contesto plurilingue come quello di Piana degli Albanesi (PA) siano invece i significanti che designano concetti più comunemente esperibili a conservare lo strato più antico (quello albanese), mentre i concetti più specialistici, nell’ambito di mestieri tradizionali, risultano quasi sistematicamente gestiti da un lessico acquisito seriormente attraverso il contatto con il siciliano.

In questa prospettiva di analisi, mi ero servito del parametro «voce di maggiore vs. minore circolazione comunitaria» – corrispondente alle designazione di un «concetto comune vs. specialistico» – per esaminare, insieme ai dati quantitativi, i microsistemi lessicali pertinenti a due specifici campi semantici presi a esempio: la caseificazione e la mietitura del grano.

Proverò, in quest’occasione, a prendere in esame l’area semantica relativa agli animali nella parlata di Piana degli Albanesi, non soltanto per condividere una serie di informazioni lessicali 53, in parte soggette ormai a obsolescenza, ma anche per verificare ulteriormente il valore euristico di un approccio settoriale nell’analisi del mutamento lessicale in ambito italoalbanese.

1. Tra i 244 tipi lessicali complessivamente rilevati54 – pertinenti al campo semantico qui esaminato – la componente albanese è attestata per il 42,21 %. (v. tab. 1) e, limitatamente ai soli nomi di animali (a esclusione di quelli dei loro rispettivi cuccioli) i tipi albanesi si presentano in proporzione ancora minore (v. tab. 2) rispetto ai tipi romanzi, prestiti siciliani e/o italiani.

Tipi lessicali freq. %
albanesi 103 42,21
romanzi 141 57,79
Tot. 244 100,00

Tab. 1. Dati complessivi

 

Nomi di animali freq. %
albanesi 49 37,69
romanzi 81 62,31
Tot. 130 100,00

Tab. 2. Tipi lessicali relativi ai soli nomi di animali

 

Complessivamente, dunque, nel lessico relativo al campo semantico preso in considerazione, la componente originaria albanese risulta decisamente minoritaria rispetto ai prestiti acquisiti in terra siciliana.

 

2. Tuttavia, se si distribuiscono gli stessi tipi lessicali in ragione delle categorie concettuali ai quali essi più specificamente si riferiscono, le proporzioni relative alle componenti lessicali di quest’area semantica si presentano decisamente diverse.

Intanto, si osserva che tra gli iperonimi propri del repertorio lessicale della varietà arbëreshe considerata sono ben conosciuti e usati i tipi albanesi55 designanti concetti molto comuni quali:

uccello zogë-a
pesce pishk-u

mentre i tipi albanesi designanti

ovini e caprini berra (pl.) -t
bestiame, bestia, animale kafsh-a

occorrono ormai soltanto tra alcuni anziani in locuzioni cristallizzate quali (qielli) berra-berra ‘(il cielo) a pecorelle’56 e si kafsht ‘ [prop. ‘come k.] detto di persona che mostra un comportamento ‘animalesco, molto sgarbato e/o aggressivo’, essendo sostituiti comunemente dal romanzo

animale, bestiame animall-i (< ita / sic. animale/i)

 

Prestiti siciliani sono, poi, i tipi lessicali, propri dell’ambito agro-pastorale, designanti i più specifici concetti di

cavallo e/o mulo kavalin-a (< sic. cavaḍḍina)57
puledro lattante equino saghuaxh-i (< sic. saguàggiu)

Le altre categorie di animali sono generalmente designate da  iperonimi propri della varietà alta del repertorio – in una distribuzione tassonomica più o meno aderente alla “cultura scientifica” –, quali sono, per esempio, l’it. ‘rettile’, ‘insetto’, ecc., i quali occorrono, eventualmente, nelle condizioni più consone al code switching e al code mixting 58.

 

2.1 Significativa risulta, nella prospettiva di analisi qui adottata, la distribuzione dei nomi degli animali in ragione di alcune categorie alle quali essi appartengono. Si può osservare, infatti, immediatamente come gli animali da allevamento, da cortile e da soma – dunque, propriamente quelli il cui concetto è più facilmente esperibile dall’intera comunità di parlanti – siano quasi sempre designati da tipi lessicali albanesi:

asino ghajdhur-i
bue ka-u (qe-u)59
cane qen-i
capra dhi-a
caprone cujap-i ~ bek-u  (< sic. bbeccu)
cavalla pel-a
cavallo kal-i
gallina pul-a
gallo gjel -i
gatto maç-i
maiale derr-i
montone dash-i
mucca lop-a
mulo mushk-u
oca pat-a
pecora del/e-ja
scrofa dos-a
tacchino nie-ja (< sic. nia) ~ ghalinaç-i (< sic. gallinàcciu)
toro ter-i

Sono albanesi anche altri tipi lessicali che designano animali di diverse altre categorie, ma quasi sempre a condizione che i loro significati – se non propriamente i loro referenti60  – siano più comunemente esperibili, come:

  • tra gli animali selvatici
cinghiale derr (i egër / sarvaç) [prop.’maiale’ (servatico)] ~  (u) çingjali 61
coniglio kunill-i
lepre ljepur-i62
lupo ulk-u ~  (u) lupu63
volpe dhelpr/e-ja 64

oltre ai meno comuni, oggi conosciuti soltanto dai più anziani

donnola bugzë/-a
gatto selvatico maç i egër /  maç sarvaxh (< sic. sarvàggiu ‘selvatico’)
istrice derr [prop.’maiale] (porkuspin)  ~  porkuspin (< it. porcospino)

 

  • tra i roditori
topo mi-u

sulla cui base lessicale si forma anche, per calco sul siciliano, il nome di un roditore meno comune qual è il

ghiro mi xhahallun  (sic. surci ggiacaluni)65

così come dal più comune derr ‘porco/maiale’ viene formato il nome del meno comune

porcellino d’India derra-dhindjë

 

  • tra gli insetti
cavalletta xarrakan-i66
cicala / grillo karkalec-i
coccinella nuse-ja (feni) [prop. ‘sposa (del fieno’)]67
farfalla flutur-a
pidocchio morr-i
pulce plesht-i
scarabeo brumbull-i
tignola kopic-a
zecca rriqër-i
  • il generico nome di
verme krimb-i
  • tra gli aracnidi, il generico
ragno milimang/ë-a

 

  • tra gli anellidi, i meno comuni
lombrico kakazorr/ë-a
sanguisuga shëshëngje

i cui nomi albanesi sono noti soprattutto agli anziani;

 

  • tra i rettili il nome generico di

serpente gjalpr-i

oltre alla comunissima

lucertola hardhj/e-a

e al ameno comune

ramarro xhapì-u

 

  • tra gli anfibi

raganella / ranocchio brethk-u

 

  • tra i pesci (noto soprattutto agli anziani68)

anguilla ngjal-a

 

  • tra i volatili, i comuni
corvo kolb-i ~ korv-i  (< sic. e/o it. corv-u/o)
rondine / balestruccio kallandrish/e-ja / kallandriq/e-ja69

e i meno comuni (noti soprattutto ai cacciatori)

anatra / germano reale ros-a
barbagianni gjon-i  / kukugjon-i ~ varvaxhan  /  varvajan  (< sic. varvaianni)
coturnice fëllëz/ë-a
gallinella d’acqua pul uji [prop. gallina d’acqua] / pul e zezë [prop. gallina nera]
gru korril-a
gheppio krierin70
merlo mullini/e-a  / mullinj/e-a
pipistrello koloriq-i71
oca (selvatica) pat-a

 

La maggior parte dei 49 tipi lessicali albanesi (v. tab. 2) designa, dunque, animali ben noti anche a chi, indipendentemente dall’età,  non abbia molta esperienza del contesto e della cultura “rurale”.

Soprattutto gli animali da lavoro, da allevamento e da cortile conservano, come si è visto, una nomenclatura quasi esclusivamente albanese72. Significativamente, in queste categorie, un concetto più specialistico come è quello di ‘bardotto’ è designato da un prestito romanzo qual è bardhot-i. Così, ancora nell’ambito degli equini – benché non da lavoro –, il più specialistico ‘giannetto (cavallo da corsa)’ è designato da un sicilianismo qual è xhanet-i.

Non sono molti, di conseguenza, i prestiti romanzi (più spesso siciliani o di tramite siciliano) che designano animali che si potrebbero ritenere di esperienza più diffusa. Essi riguardano, particolarmente:

  • tra gli insetti
blatta furfuj-i (< sic. fuifui)
moscerino mushkujun-i (< sic. muschigliuni  / muschigghiuni)

capagjun-i (<sic. zzampagghjiuni)

pidocchio pollino pilixun-i  (sic < piḍḍizzuni)73
tarlo kambull-a (< sic. càmmula)
zanzara xanxar-a (< it. zanzara)

 

  • tra i rettili
vipera viper-a (< it. / sic. vipera)
geco skarpjun-i (< sic. scarpiuni)

e i meno comuni

biacco këllover-i (< sic. culorva, culovria)
biscia pasturavak-a (< sic. pasturavacca)

 

  • l’aracnide
scorpione sulluficj-i (< sic. surfìzziu)

 

  • gli anfibi
rana / rospo bofac-a (< sic. buffa)

 

  • tra gli uccelli
aquila akullac-a (< sic. àcula)
canarino kanarin-i (< it. canarino)
cardellino kardil-i (< sic. cardiḍḍu)
colombo pallumb-i (< sic. palummu)
cornacchia karraxhan-i (< sic. carraggià)
corvo korv-i (< sic. / it. corv-u/o) ~ kolb-i
gazza karkarac-i (sic. < carcarazza)
passero zbirrac-i [< sic. (pàssaru) sbirru] ~ pasar (< sic. pàssaru)
piccione piçun (< it./sic. piccione / picciuni)
taccola çàull-a (< sic. çiaula)

 

  • quasi tutti i pesci74
carpa karp-a75  (< it./sic. carpa)
menola  / zerro asinel-ii (< sic. asineḍḍu)
merluzzo murruc-i (< sic. mirruzzu)
pescespada piscispat-i (< sic. piscispata)
polpo purp-i (< sic. purpu)
sarda sard-a (< it./sic. sarda)
tonno tunin-a (< sic. tunnina)
triglia trigj-a (< sic. trìgghia)

 

  • tutti i gasteropodi76
lumache dalla conchiglia striata baballuç-i  (< sic. babbaluci)
lumaca dalla conchiglia marroncina (monacella) qaparrin-i 77
grossa lumaca dalla conchiglia grigiastra ghrastun (< sic. crastuni)

 

Gli altri prestiti romanzi riguardano animali meno comuni, come

  • tra i selvatici

furetto firet (< sic. firettu)
martora marturin-a (< sic. marturina)
riccio rric-i (< sic. rrizzu)

 

  • Particolarmente tra i volatili sono piuttosto estranei a chi non abbia esperienza di caccia i concetti e i nomi di
airone airun-i (< sic. airuni)
allocco kukuvì-u ( < sic. cuccuvìu / cuccufìu)
allodola lonar-a  (< sic. lònara)
alzavola papardèl/e-ja  (< sic. papardeḍḍa)
marzaiola serret-i (< sic. sirretta)
averla testaghros-a / testaros-a (< sic. testa(g)rossa)
avvoltoio vutur-a (< sic. vuturu)
ballerina gialla / culbianco pipz/ë-a / pispez/ë-a (< sic. pìspisa)
barbagianni varvaxhan-i / varvajan-i (< sic. varvaianni) ~ gjon-i  / kukughjon-i
beccaccia ghalac-i (< sic. gaḍḍazzu)
beccaccino arçirot-i / arçirot/e-ja (< sic. arcirotta)
calandra kallandrun-i (< sic. calanniruni)
cappellaccia kukuçùt/e-ja (< sic. cucucciuta)
cicogna çikonj-a (< ita / sic. cicogna)
cinciallegra qaviter-i (< sic. chiavitteri)
civetta kuk-u (< sic. cuccu  / cucca)
colombaccio tudhun-i (< sic. tuduni) ~ kolombaç-i  (< it. colombaccio)
cuculo kùkull-i  (< it. / sic. cuculo/u)
fagiano faxhan-i (< it. fagiano)
falco  (vari falconidi) falk-u / fark-u / falkun-i / farkun-i (< it./sic. falco/falcone; farku/farcuni)
fringuello fringuel-i (< it. fringuello)
germano reale (maschio) kuluvird-i (< sic. coḍḍu virdi)
gufo kuku me vesht (prop.  ‘k. con le orecchie’)
nibbio nìur-i78
pavoncella nivallor-i  (< sic. nivaloru)                                                                    
pettirosso bedirrus-i / petirrus-i (< sic. pettirrussu)79
picchio maggiore piq-i (< it / sic. picchio/u)
poiana piullac-i (< sic. pìula)80
quaglia kuaj-a (< ita / sic. quaglia / quagghia)
regolo rrijil-i (< sic. rriìḍḍu)
rigogolo ali/e-ja (< sic. àlia /àiula)
rondone   rrundun-i (< it rondone)
saltimpalo kakamarrùxh-i (< sic. cacamarrùggiu)
storno sturn-i / sturnel-i  (< sic. sturnu /sturneḍḍu)
tordo malluvic(j)-i (< sic. marvizzu) ~  turd-i  (< sic. turdu)
tortora turtur-a (< sic. tùrtura)
tuffetto tumbarel-i (< sic. tummareḍḍu)
upupa   pup-a (< it. upupa)
usignolo rrëzinj/uall-olli  (< sic. rrusignolu) ~  usinj/uall-olli (< it. usignolo)
verdone virdun-i (< sic. virduni)

 

La componente romanza, e particolarmente quella siciliana, copre dunque soprattutto nomi di animali meno comunemente noti o (particolarmente quella italiana) di quelli ‘esotici’ quali, per esempio

leone liun-i
pappagallo papaghal-i
orso urs-i
scimmia shimj/e-a

i quali sono prestiti non recentissimi, considerato che essi occorrono solitamente adattati al sistema flessivo dell’albanese. I nomi degli altri animali ‘esotici’ occorrono, invece, regolarmente con l’articolo determinativo preposto81. Così, per esempio

bisonte (u) bisonti
elefante (l’) elefanti
giraffa (a) xhirafa
tigre (a) tighri
ecc.

3. In conclusione, la distribuzione categorica applicata ai nomi degli animali nella parlata arbëreshe presa in esame conferma la sostanziale maggiore resistenza della componente albanese nella designazione di concetti maggiormente condivisi dall’intera comunità. Questi tipi lessicali hanno ancora una buona circolazione anche tra i parlanti giovanissimi, mentre man mano che i concetti si specializzano le rispettive denominazioni registrano variazioni – in ordine all’età e all’esperienza del parlante –, e soprattutto innovazioni che coinvolgono anche i parlanti più anziani.

Un’ulteriore prova di questo condizionamento settoriale nei processi del mutamento lessicale lo si ha qualora si consideri, oltre alla disposizione “orizzontale” delle denominazioni – ossia quella che mette a confronto nomi di diversi animali –, anche la distribuzione “verticale” della struttura concettuale pertinente all’area semantica presa in esame. Tale è, per esempio, rispetto alla denominazione dell’animale, quella dei rispettivi cuccioli, delle specifiche età e condizioni (ri)produttive, della tipologia dei manti-velli, ecc. Si potrà osservare, in questo modo, come in queste classi concettuali i sicilianismi occupino via via sempre più estesamente le entrate lessicali.

 

3.1 Relativamente alla classe dei cuccioli, sono ancora conosciute  – ma usate soprattutto da parlanti adulti o anziani – le forme albanesi designanti concetti piuttosto comuni quali:

agnello kaqic-i82
leprotto ljeparush-i83
maialino derriçel-i84
puledro di cavallo mëz/ë-i
puledro di asino polistr-i85
pulcino zog-u
vitello viç-i

 

In questa classe, tuttavia, anche i contadini anziani adottano sicilianismi per concetti piuttosto comuni quali sono

cagnolino ghuc-i (< sic. guzzu)86
capretto çaravel-i (< sic. ciarveḍḍu)
gattino ghatuf/e-ja (< sic. (g)attuf(f)u)
piccolo topo surçil-i (sic. < surciḍḍu)
puledro di mulo mullaçun-i (< sic. mulacciuni)

e, significativamente, per quelli di animali meno comuni, o per distinzioni più specifiche e specialistiche (quelle dei cacciatori) relative alla loro età, quali

coniglietto gharmushel-i (< sic. garmuç-eḍḍu)87
giovane coniglio me(n)c(u)kunill-i (< sic. menzucunigghiu)88

saitun-i (< sic. saittuni)

cucciolo del furetto farfar-i 89
furetto appena nato farfariq-i90
giovane lepre menculepur (< sic. menzulebbru)
piccolo della coturnice pirnikan-i / pirrikanel-i (< sic. pirnicanu)
volpacchiotto vurpijun-i  (< sic. vurpigghiuni)

 

3.2  La distinzione tra concetto «comune» vs «specialistico» nell’analisi lessicale qui affrontata mostra ancora più esemplarmente la sua valenza euristica nell’esame del sottosistema relativo al manto-vello degli animali da soma e da allevamento. Si consideri infatti che “genericamente”, tra parlanti che non hanno un’esperienza specialistica in questo settore, si fa ricorso a aggettivi designanti colori comunemente esperiti quali ‘nero’, ‘bianco’, ‘rosso’, e conseguentemente a sintagmi quali ‘cavallo nero’, ‘cavallo bianco, ‘cavallo rosso’, ‘pecora nera’, ecc. Ben conosciuti e usati da tutti i parlanti della comunità indagata sono, dunque, sintagmi albanesi quali kal i zi ‘cavallo nero’, kal i bardhë ‘cavallo bianco, kal i kuq ‘cavallo rosso’, dele e zezë ‘pecora nera’, dhi e kuqe ‘capra rossa’, ecc. Ma se si considera la denominazione specialistica relativa anche soltanto ai tipi cromatici e/o strutturali principali91 che configurano questi microsistemi concettuali si osserva come essa sia interamente romanza e particolarmente siciliana:

  • i principali manti dei cavalli
baio baj (< it / sic. baio / bbàiu)
leardo mirrin (< sic. mirrinu)92
morello marel (< sic mareḍḍu)
sauro saur (< it / sic. sauro / sàuru)

 

  • il vello degli ovini
interamente bianco pallumb (< sic. palummu)
bianco e nero ghaj (< sic. gàgghiu)
bianco con nero nella zona perioculare oqallin [< sic / it. prop. ‘occhialino’]
bianco con la faccia rossiccia pallin (< sic. palinu)
bianco con lentiggini nella faccia pincirit (< sic. pinziritu)93

 

  • il vello dei caprini
bianco e nero ghaj (< sic. gàgghiu)
bianco e rosso mëllat94
bianco con la testa nera monk95
grigio kanuzë (< sic. canusa)

 

3.3 Al di fuori del sottosistema relativo ai concetti del primo livello  (quello del nome degli animali), e in parte del secondo livello (quello del nome dei cuccioli), l’ulteriore e più specifico ampliamento del sistema lessicale relativo al campo semantico preso in considerazione è affidato a prestiti romanzi (e soprattutto siciliani), tanto più quanto esso è configurato da un’esperienza specialistica qual è, in questo caso, quella pastorale. Si considerino, ancora, i seguenti sottosistemi:

  •  età (e riproduzione) degli ovini
appena nato kaqicel (prop. ‘agnellino’)
gemello bucun / buxun (< sic. (v)uzzuni)
nato a gennaio jinarot (< sic. innarotu)
nato a febbraio flevarot (< sic. frivarotu)
a marzo marcilluar (< sic. *marziloru)96
nato a maggio llaçun (< sic. lacciuni)97
fino ai sei mesi kaqic (prop. ‘agnello’)
dai sei mesi a un anno kaqicac ~ anjelac (< sic. agniḍḍazzu)
dai sei mesi a un anno d’età krashtanjel (< sic. crastagneḍḍu)98
giovane femmina prossima a essere coperta per la prima volta rrinishkote (< sic. rrinisca)99
giovane maschio prossimo a iniziare la sua attività riproduttiva novilar (< sic. noviḍḍaru e nuviḍḍaru)
femmina di oltre due anni dele (e bur) [prop. ‘pecora (matura)]’
maschio di oltre due anni dash (i bur) [prop. ‘montone (maturo)’]
di oltre 5-6 anni furçilat100
femmina vecchia si circa 10 anni pekurace (< sic. picurazza)

 

  •  età (e riproduzione) dei caprini
appena nato çaraveliq (prop. ‘caprettino’)
gemello bucun / buxun (< sic. (v)uzzuni)
nato a gennaio jinarot (< sic. innarotu)
nato a febbraio flevarot (< sic. frivarotu)
a marzo marcilluar101
fino ai sei mesi çaravel-e (< sic. ciaraveddu/a)
dai sei mesi a un anno çaravelac-e (< sic. ciaraviḍḍazzu/a)
giovane femmina prossima a essere coperta per la prima volta dhastre (< sic. dastra)
giovane maschio prossimo a iniziare la sua attività riproduttiva novilar-i (< sic. noviḍḍaru e nuviḍḍaru)
femmina di oltre due anni dhi (e bur) [prop. ‘capra (matura)’]
maschio di oltre due anni cujap o bek (i bur) [prop. ‘caprone (maturo)’]
di oltre 5-6 anni furçilat102
femmina vecchia si circa 10 anni krapace  (< sic. crapazza)

 

  •  età (e riproduzione) dei bovini
appena nato viçarel-e [prop. ‘vitellino’]
fino ai sei mesi viç-e [prop. ‘vitello’]
dai sei mesi a un anno vitilac (< sic. vitiḍḍazzu)
giovane femmina prossima a essere coperta per la prima volta mushqerrë
femmina di oltre due anni lop (e bur) [prop. ‘vacca (matura)’]
maschio di oltre due anni ter (i bur) [propr. ‘toro (maturo)’]

 

  • riproduzione e lattazione
che ha figliato e allatta il proprio cucciolo  (e) pjellë103
il cui latte, dopo lo svezzamento del cucciolo, viene destinato tutto alla caseificazione llatare (< sic. lattara)
non ingravidata per una stagione, non produce provvisoriamente latte stripe (< sic. strippa)  ~  alb. shtelp/sherp
coperta per la prima volta e non ingravidata, non produce provvisoriamente latte stripote (< sic. strippotta)104
sterile llunare (<  sic. lunara)
castrato i dredhur ~ i shëruam ~ zguj / i zgujarm105
che produce molto latte lataruse 106
che allatta un cucciolo non suo kumpanjize 107
vacca che, avendo partorito da poco, produce latte abbondante frishkere (sic. < frischera)
vacca che, non coperta nella stagione, ha un vitello ormai adulto (della stagione precedente) e continua a dare latte (j)inuze (< sic. innusa)

 

  • caratteristiche fisiche
di ovino che ha molta lana llanut  (< sic. lanutu)
di ovino che ha poca lana zdillanut108
di bestia, spec. ovino o caprino, di grande mole kamput  (< sic. camputu)
di capra o caprone senza corna kroc (< sic. crozza)

 

  • carattere
docile, mansueto (anche di persona) but (i, e)
indocile, selvatico (anche di persona) egër (i, e) / sarvaç (< sic. sarvàggiu)
di pecora che tende a proteggere il gregge e a raggiungere l’erba di pascoli non concessi fruntarele 109
di equino che tende a (rompere la corda per) scappare fu(j)itic -e (< sic. fuitizzu)110
di equino indocile, irrequieto, ritroso al giogo vicer -e (< sic. vizzeri)
ammansito mansirm –e (i,e) (< it / sic. ammansito)

 

Come si può osservare, anche in queste categorie, i tipi lessicali albanesi occorrono quasi esclusivamente quando siano implicati concetti più comunemente condivisi come sono, kaqicel ‘agnellino’ e kaqicac ‘agnellone’ (rispettivamente, diminutivo e accrescitivo di kaqic ‘agnello’), così come viçarel ‘vitellino’ (dim. di viç ‘vitello’); dele ‘pecore’, dash ‘montone’, dhi ‘capra’, cujap ‘caprone’, lop ‘vacca’, ter ‘toro’ con il restrittivo agg. alb.  i/e bur prop. e generic.(anche di frutto) ‘maturo/a’, così come gli agg. i but e i egër generic. (anche di persona), rispettivamente, ‘indocile’ e indocile’.  Anche i concetti più specialistici di ‘animale che ha figliato e allatta il proprio cucciolo’ (e pjellë) e di ‘castrato col metodo della torsione endrocrinale’ (i dredhur) sono designati da agg. albanesi derivati da verbi d’uso comune quali, rispettivamente piellë ‘partorire111, figliare’ e dredh ‘torcere’.

Meno condivisi, e più tipicamente agro-pastorali, sono gli alb.  sherp / shelp ‘sterile’ (rif. a animale) e shëronj ‘castrare’. Decisamente specialistico è, infine, il concetto designato dall’alb. mushqerrë ‘giovenca, vacca giovane prossima a essere coperta per la prima volta’.

 

3.4 Questa condizione distributiva è ancora più chiara e significativa se si considerano i nomi relativi alle parti esteriori del corpo dell’animale. Sono, infatti, designati da tipi albanesi quasi tutte le parti condivise dal corpo umano112:

bocca goj-a
braccio / ala krah-u
capezzolo thith-i (spec. di donna) ~ kapiq-i (spec. di animale) (< sic. capìcchiu)
coscia kofsh-a
dente dhëmb-i
faccia fixh-a
fianco ij-a
fronte ball-ë
gamba këmb
ginocchio glu-ri
gola grik-a
labbra buz/ë-a
lingua gluh-a
mammella sis-a
mento / barba (anche della capra) mjekrr/ë-a
molare dhëmball-a
naso hund-a
natica bith-a
nuca qaf-a ~ koc-i (< sic. cozzu)
occhio si-u
orecchio vesh-i
pelle likur-a
pelo qim/e-ja
pupilla lule siu
sedere fund-i
tempia vetull-a
testa krie-t
testicolo loshk-a
ventre bark-u

oltre a quelle specifiche degli animali:

coda / osso sacro (umano) bisht-i
corno bri-u
lana (del vello) lesh-t
zoccolo thundr/e-ja

 

I sicilianismi designano soprattutto concetti decisamente specialistici quali

ciuffi di lana inzaccherato nelle parti posteriori degli ovini o dei caprini xuball-i (< sic. żżubbagghji / żżubbagli)
incisivi degli ovini cap-a (< sic. zzappa)
pelle ventrale degli ovini e dei caprini non ricoperta di lana vintrisk-a (< sic. vintisca)
tèttola della capra minel-i (< sic.  minneḍḍa)
vagina (degli animali) natur-a

 

È eccezionale, dunque, nella prospettiva di analisi qui adottata,  non tanto la presenza di sicilianismi per designare concetti non propriamente specialistici quali

collo / nuca (animale e umano) koc-i (< sic. cozzu)
criniera del cavallo ghrinj-a  (< sic. crigna)
petto (animale e umano) peturin-i  (< sic. petturina)113

quanto la permanenza di tipi albanesi114 per concetti decisamente meno comuni quali

bioccolo di lana tosata xambol-i
crine della coda degli equini o dei bovini kom-a
parte posteriore dei fianchi e natiche degli equini vithe  (partic. come avv. ‘(mettersi) nella parte posteriore e non sellata, dietro al cavaliere)

 

4. Benché consapevoli che una distribuzione binaria e polarizzata delle etichette «comune» vs. «specialistico», attribuita a ciascuno dei concetti qui contemplati, non possa essere operata sempre con rigore oggettivo115, proviamo – a conclusione di questa rassegna lessicale – a trarre almeno un’indicazione dal dato quantitativo che ne emerge (v. tabb. 3- 6).

Tipi lessicali freq. %
albanesi 76 65,52
romanzi 40 34,48
Tot. 116 100,00

Tab. 3. Concetti comuni: dati complessivi

 

Tipi lessicali freq. %
albanesi 27 21,09
romanzi 101 78,91
Tot. 128 100,00

Tab. 4. Concetti specialistici: dati complessivi

 

Tipi lessicali freq. %
albanesi 34 53,13
romanzi 30 46,88
Tot. 64 100,00

Tab. 5. Concetti comuni: nomi di animali

 

Tipi lessicali freq. %
albanesi 15 22,73
romanzi 51 77,27
Tot. 66 100,00

Tab. 6. Concetti specialistici: nomi di animali

 

Le tabb. 3-6 mostrerebbero come anche nell’area semantica qui presa in considerazione – così come in quelle considerate in (???) – i tipi lessicali albanesi coprono maggiormente quei concetti che in un ipotetico campione rappresentativo della comunità linguistica sarebbero conosciuti da una percentuale molto più alta rispetto a quei concetti conosciuti soltanto da chi ha esperienza, in questo caso, della cultura agro-pastorale e di quella venatoria. In altre parole, il lessico originario si conserva meglio nel contesto “urbano” e maggiormente condiviso rispetto a quello “rurale” e più isolato.

Bibliographie

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  • Mortillaro = Mortillaro, Vincenzo (31876): Nuovo dizionario siciliano italiano, 3a ed., Palermo.
  • Pitrè 1889 = Pitrè, Giuseppe (1889): Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, 4 voll., Palermo.
  • Rizzo 2011 = Rizzo, Giuliano (2011): Lumaca / Chiocciola: Voci di saggio del Vocabolario-atlante della cultura alimentare, in: M. Catiglione (a cura di), Tradizione, identità, tipicità nella cultura alimentare siciliana, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani – Dipartimento di Scienze filologiche e linguistiche, 375-440.
  • Ruffino 2000 = Ruffino, Giovanni (2000): La cultura dialettale nella Sicilia dei nostri giorni, in: Id., Parole e cosemilocchesi. Piccolo omaggio a una casa museo, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani - Dipartimento di Scienze Filologiche e Linguistiche, Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo, 11-24.
  • Ruffino 2009 = Ruffino, Giovanni (2009): Vocabolario-atlante delle pratiche venatorie. 2. Alloggiamento del furetto durante la caccia, in: Id. et alii, Vocabolario-atlante della cultura dialettale. Articoli di saggio, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani - Dipartimento di Scienze filologiche e linguistiche, 157-168.
  • Sottile 2002 = Sottile, Roberto (2002): Lessico dei pastori delle Madonie, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani.
  • Traina = Traina, Antonino (1868): Nuovo dizionario siciliano italiano, Palermo.
  • VS = VS (1977-2002): Vocabolario siciliano, 5 voll., Catania-Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani .
  • VSI = VSI, sec. XVIII: Vocabolario siciliano ed italiano. Ms inedito del sec. XVIII della Biblioteca Comunale di Palermo (2 Qq C 54).
Fra chi parla mandinka in Gambia e nella regione di Casamance (nel sud del Senegal) kankurang è uno spirito incarnato da un danzatore mascherato, considerato il principale custode delle celebrazioni dell’etnia mandingo come il rito della circoncisione e della celebrazione del matrimonio. I mandingo ritengono che il kankurang può curare l’infertilità nelle donne.
Si tratta di due località poste agli estremi del Paese.
Per il termine cf. Krefeld (???).
Molto di quanto qui scritto nasce dal nostro lavoro al progetto Network of Knowledge (2012-2016, finanziamento FWF) e all’Hugo-Schuchardt-Archiv (???). Quest'ultimo presenta l'opera omnia schuchardtiana, le relative recensioni e diverse edizioni dal suo epistolario, costituito da oltre 13.000 lettere e cartoline a lui indirizzate e conservate presso la biblioteca universitaria di Graz (cf. (???)), cui si aggiungono numerose lettere e cartoline scritte da Schuchardt rinvenute in biblioteche e archivi europei e non. Alla fine del 2018 oltre 6000 lettere erano disponibili in edizione digitale.
Consultabile in forma digitalizzata al sito NavigAIS
Quando non diversamente indicato, il numero corrisponde a quello con cui sono archiviati i pezzi di corrispondenza ricevuti da Schuchardt presso la Biblioteca universitaria di Graz, Hugo Schuchardt Nachlass.
Questo si concretizzava da una parte in un fitto scambio epistolare tra scienziati di diverse discipline, dall'altra nei diversi circoli, società e associazioni accademici, come p. es. la società antropologica di Vienna (???).
Non è certo questa la sede per approfondire la storia di tale approccio, per cui rinviamo alle pubblicazioni già citate, ma anche alle collezioni, visitabili in via telematica, di oggetti di interesse etnografico di Hugo Schuchardt (Volkskundemuseum Wien) e di Rudolf Meringer (Institut für Kulturanthropologie und Europäische Ethnologie der Universität Graz) e al carteggio tra Schuchardt e Meringer (???).
Cf. l’edizione (non commentata) in Melchior (???).
Carteggio parzialmente edito in Heinimann ((???), (???)).
La corrispondenza è stata analizzata nell'ambito di una Seminararbeit presso l'Institut für Sprachwissenschaft, ma è tuttora inedita.
L’edizione critica del carteggio è di prossima stampa (???).
Nonostante la corrispondenza tra Schuchardt e Puşcariu continui con discreta costanza fino al 1926, non vi sono cenni al progetto dell'Atlasul lingvistic român, per il quale nel 1922 erano cominciate le inchieste.
È evidente che vi è una reciproca interdipendenza e non possono essere considerati come "passi di lavoro" (sempre) nettamente distinti l'uno dall'altro. Tale distinzione ci pare tuttavia funzionale per capire meglio gli spunti di riflessione teorica che ne nascono.
Weigand raccolse personalmente i dati per il suo atlante nel corso di otto viaggi in loco a partire dal 1895. La pubblicazione dell'atlante avvenne dapprima a fascicoli, dal 1898, e poi in volume nel 1909. Il paradigma neogrammaticale godeva allora ancora di un forte consenso, soprattutto a Lipsia, alma mater di Weigand. Le inchieste per l'AIS, pubblicato a partire dal 1928, furono invece effettuate da tre esploratori appena dopo la fine della Prima Guerra mondiale, a partire dal 1919, in una fase dunque in cui l'approccio di Wörter und Sachen era già stato pienamente recepito dai linguisti svizzeri e non solo.
Gli otto volumi dell'AIS abbracciano 1705 carte, ciascuna delle quali comprende 405 punti d'inchiesta; il Linguistischer Atlas des dacorumänischen Sprachgebiets, in un unico volume, comprende 67 carte che si basano su 752 punti (!) di inchiesta, in cui i materiali vennero raccolti in un tempo assai breve e quasi esclusivamente da Weigand stesso.
Quelli dell'AIS erano di stampo lessicologico-culturale, oltre che fonologico e morfosintattico, nell'atlante di Weigand prevale invece l'interesse fonologico-storico.
Base per le inchieste dell'AIS fu il Fragebuch, elaborato sul modello di quello concepito per l'ALF, mentre Weigand, che pur aveva grande esperienza di lavoro con questionari, si prepose di raccogliere "Normalwörter" che potessero venire utilizzati spontaneamente all'interno di discorsi con gli informanti (per maggiori dettagli sulla metodologia e gli obiettivi dell'atlante romeno cf. (???), per l'AIS cf. (???)).
Meno intensa è la coeva corrispondenza tra Schuchardt e Jaberg: ai diciotto pezzi di corrispondenza di mano di Jaberg conservati a Graz si aggiungono solo tre indirizzati da Schuchardt al collega bernese.
Non si trovano invece spunti metodologici legati alla concezione dell'impresa atlantistica - Weigand sembra piuttosto preoccupato di tenere al corrente Schuchardt dei progressi nel lavoro, annunciandogli la pubblicazione delle diverse sezioni; cf. per esempio la lettera del 2 dicembre 1899 (n° 12704) in cui gli chiede se abbia avuto occasione di scorrere la seconda sezione dell'atlante, appena pubblicata, invitandolo a farne una recensione sul Centralblatt - desiderio che Schuchardt non esaudirà.
Weigand dedicò molto spazio alla descrizione dei suoi viaggi, come nel seguente esempio: "Für die Pferde ist es eine harte Arbeit, auf dem in Schlangenlinien sich windenden Pfade die Berge zu erklettern. Doch mit bewundernswerter Ausdauer überwinden sie alle Anstrengungen. Auf der Höhe ist eine Quelle "Kodru mare = großer Berg“ genannt. Ein überraschender Anblick bietet sich dort dar. Gerade vor uns, scheinbar sehr nahe, liegt V.L. auf halber Bergeshöhe, wie an die Felsen angeklebt. [...] Ein schmaler, gefährlicher Saumpfad führt in einem Stündchen nach V.L. (???).
Nonostante Jud tragga ispirazione dalle idee schuchardtiane, egli fa cenno all''impresa dell'atlante solamente a inchieste iniziate, il 21 agosto 1919 (n° 05195), e appena un anno dopo ne svelerà alcuni parametri, riconoscendo come l'impresa sia debitrice, nella sua concezione, all'insegnamento di Schuchardt: "Das Questionnaire umfasst etwa 2500 Wörter und Sätze: wir hoffen nichts wesentliches ausgelassen zu haben. Neben diesem Normalquest. existiert ein erweitertes Questionn. mit etwa 5000 Wö. u. Fragen, die er auf seiner ganzen Reise an 20 Punkten abfragen soll. In Bünden ist dies im Münstertal und in Lenz (bei Thusis) geschehen. An jedem Ort soll er eine Anzahl Photos von Geräthen aufnehmen, die als Bilderatlas einst veröffentlicht werden sollen. Das ist die teilweise Verwirklichung Ihrer Idee: Sprach- und Bilderatlanten. (n° 05204, 14 aprile 1920)".
Schuchardt (???) scrive "Und in der That finden wir noch auf dieser Seite der Gebirgshöhe Ortschaften deren Sprechweise der französischen Schriftsprache entschieden näher steht als der italienischen. Aber wo sollen wir den Grenzpfahl in den Boden stossen? Etwa da wo wir den Schweinehirten seine Thiere nicht mehr i porci sondern lus cusciuns, les cochons nennen, oder da wo wir zuerst ein Kind von seinem Vater nicht mehr als mio padre, sondern als mon paire, mon père sprechen hören? Ich befürchte, es möchte dabei der besondere Geschmack eines jeden zu Tage kommen".
Jud ritorna su questo punto nella sua lettera del 25 dicembre dello stesso 1917, contrastando in parte la Sprachverwandtschaft schuchardtiana (???): [...] Der Widerspruch bewegt sich in der Richtung, dass ich gerne gesehen hätte, welches die Wahl der Merkmale sein muss, um von einer stetigen geographischen Abstufung reden zu können. [...] Ich gebe zu, dass bei „ungestörten“ Verhältnissen sich die geographische Abstufung mit der sprachlichen in correlatem Verhältnis befindet: aber hat die sprachliche Betrachtung je mit solch primitiver Lagerung zu untersuchen Gelegenheit? Und ist es nicht gerade eines der reizvollsten Probleme zu zeigen – was Sie am Schlusse so eindringlich betonen – dass Sprachgeschichte Volksgeschichte oder besser Geschichte der Sprechenden einer Volksgenossenschaft oder der Menschheit ist? Ist die Gruppierung der italischen Mundarten nicht auch ein Capitel der Geschichte der Italienisch Sprechenden?" (n° 05188)
A questo riguardo si vedano anche le interessanti osservazioni di Goebl (???) sul progetto del Glossaire des patois romands de Suisse sotto l'egida di Louis Gauchat.
Le carte di prova per "Sense und Sichel" che arrivarono a Graz più tardi sono conservate nel lascito di Schuchardt all'interno della sezione Werkmanuskripte al numero d'archivio 17.6.1.6.
In una lettera presumibilmente databile all'inizio del 1921 e sicuramente posteriore alla ricezione delle carte di prova, Schuchardt fa riferimento a possibili migliorie nella rappresentazione delle cose e delle parole sulla carta, che l'ormai quasi ottantenne dovette consultare con l'ausilio di una lente d'ingrandimento.
Ritorna poi sull'argomento oltre due anni dopo, : "Ich kann nur selten und nur wenig arbeiten. Ins Romanische darf ich eigentlich gar nicht mehr hineinreden; wie ich Ihnen schon sagte, bilden der Atlas ling. und andere 'Wälzer' für mich fast unüberwindliche Hindernisse" (Archivio dell'AIS, Berna, lettera non numerata del 18 agosto 1919).
Esemplari di ciò possono essere considerati i cenni che fanno Jaberg/Jud (???) riguardo alla ricerca dell'editore e alle spese dell'AIS.
Così scrive Wunderli (???): "Projekte für einen derartigen Sprachatlas – u.a. den Atlante linguistico mediterraneo, den Atlante linguistico europeo usw. – hat es inzwischen verschiedene gegeben; keines davon ist jedoch auch nur annähernd zur Publikationsreife gediehen. Die Vision Schuchardts eines „übereinzelsprachlichen“ Sprachatlasses dürfte damit nach über hundert Jahren dem Bereich der Utopien zuzuordnen sein".
Il problema dei finanziamenti, a prima vista alleviato dalla raccolta dati tramite web, dunque resta, ma cambia fisionomia: se i costi per le esplorazioni possono essere notevolmente ridotti, ve ne sono altri, di concettualizazione e programmazione delle piattaforme che ospitano gli atlanti, di salvaguardia dei dati, oltre che, naturalmente, di personale scientifico e tecnico che monitora, adegua, rielabora, aggiunge, ecc. nell'ambito di progetti che, per loro natura, non possono mai dirsi conclusi.
Non entriamo qui nelle questioni riguardanti la conservazione e l'archiviazione a lungo termine di grandi quantità di dati, che senz'altro è un quesito di centrale importanza per tutti i progetti delle digital humanities, ma per il quale esistono già esempi di buone pratiche.
Altri problemi sono legati, per esempio, all'interpretazione dei dati forniti in maniera scritta - si pensi alle diverse grafie scelte per la rappresentazione di fonemi dialettali, qualora di questi non siano forniti anche realizzazioni foniche. Ciò comporta, in diversi casi, che tali dati possano essere utilizzati solo per un'analisi di tipo lessicale, ma restino preclusi allo studio fonetico-fonologico. Posto poi il caso che tali dati venissero corredati da registrazioni audio, quale sarebbe lo status da attribuire a queste, che, senza una trascrizione e interpretazione da parte dello scienziato, resterebbero piuttosto dati "grezzi"?
Data la dinamicità e apertura dei nuovi progetti diviene ozioso chiedersi, come invece fecero Jaberg und Jud, se il materiale raccolto sia adeguato a rispondere a interessi scientifici diversi, in quanto esso può continuamente essere integrato e rimodellato.
Eterogeneità che caratterizza anche altri progetti atlantistici: si pensi per es. all'ASLEF (???) o all'ALI (???), che presenta anche dati raccolti in precedenza in altri atlanti. Nonostante le diverse fonti siano indicate, la rappresentazione cartografica appiattisce monodimensionalmente i diversi dati.
Come osservano (???), la natura sfumata dei confini del discorso politico implica che tali confini possano essere di volta in volta ridefiniti a seconda di che cosa si intenda per ‘politica’ e dunque di che cosa si voglia includere in tale dominio. In teoria, gramscianamente, potremmo dire che “tutto è politica” e dunque dovremmo/potremmo considerare proprio del discorso politico ogni testo che affronti tematiche che riguardino l’ambito della politica. Tuttavia, Nella concreta pratica analitica si tende a restringere il campo ai generi prototipici del discorso politico, distinguendo, ad esempio, fra discorsi attinenti l’attività politica istituzionale (parlamentare, governativa, delle figure ufficiali come i capi di stato ecc.), discorsi riguardanti l’attività dei partiti (campagna elettorale, dibattito interno, ecc.) e discorsi in cui la politica diviene oggetto di informazione (in tv, alla radio, sulla carta stampata, sul web).
Non intendo, in questa sede, addentrarmi nella discussione sulla differenza fra ‘testo’ e ‘discorso’. Benché non tutti gli studiosi siano d’accordo nel considerare i due termini come sinonimi, li userò qui, per una mera questione di praticità espositiva, in modo quasi intercambiabile, fermo restando che tenderò ad adoperare il primo quando vorrò riferirmi allo specifico prodotto dell’attività comunicativa, mentre ricorrerò al secondo quando farò specifico riferimento al processo che conduce alla costruzione del testo. Si veda su questo (???) e, per quanto riguarda più nello specifico l’ambito politico, (???). Al tempo stesso, seguendo la terminologia introdotta da Peter Koch (???), userò il termine ‘genere discorsivo’ in riferimento a quelle concrete attività discorsive che arricchiscono i tipi testuali astratti “di pratiche e di regole nate in un contesto storico particolare, ammettendo magari degli incroci tra le categorie astratte” (???).
Faccio qui riferimento al modello di analisi dell’argomentazione elaborato dalla cosiddetta ‘scuola olandese’ (???). Secondo questo modello, i discorsi argomentativi si dislocano lungo un continuum ai due estremi del quale si collocano rispettivamente i discorsi in cui prevale la componente dialettica e i discorsi in cui prevale la componente retorica. La prevalenza della prima si concretizza nei discorsi argomentativi improntati al confronto fra idee, il cui obiettivo è quello di convincere l’interlocutore della giustezza delle proprie posizioni. Questi discorsi sono caratterizzati dal fatto che i partecipanti si dispongono reciprocamente ad ascoltare ed eventualmente a riconoscere la ragionevolezza delle opinioni espresse dall’altro e, dunque a farsi convincere da quelle abbandonando le proprie. Sul piano della teoria politica, questo tipo di discorso argomentativo è quello più vicino al modello di democrazia deliberativa elaborato da Habermas. La prevalenza della seconda componente (quella retorica) si concretizza in discorsi tesi alla persuasione dell’uditorio, usando tutti i mezzi per screditare non solo le idee contrarie alle proprie, ma anche coloro che le professano. Sul piano più generale, si entra qui nel campo della propaganda.
A dire il vero, e per concedere le attenuanti alla categoria alla quale appartengo, gli studi di carattere più propriamente linguistico hanno adottato un modo di procedere più oggettivo, benché abbiano per lo più lavorato sulla descrizione sincronica o diacronica di peculiarità strutturali, che però restano sul piano dell’osservazione empirica, senza spingersi a tentare di giungere a una definizione generale dei caratteri del linguaggio politico.
Capostipite di questo filone di studi è considerato Lasswell (???).
Riporto una delle più note di queste invettive, quella che Pasolini rivolse ai leaders della Democrazia Cristiana: “[...] ogni volta che aprono bocca, essi, per insincerità, per colpevolezza, per paura, per furberia, non fanno altro che mentire. La loro lingua è la lingua della menzogna. E poiché la loro cultura è una putrefatta cultura forense e accademica, mostruosamente mescolata con la cultura tecnologica, in concreto la loro lingua è pura teratologia” (???).
Lorella Cedroni, filosofa della politica prematuramente scomparsa, ha il merito di aver introdotto in Italia la cosiddetta ‘politolingustica’, calco dal tedesco Politolinguistik, termine coniato nel 1996 da Armin Burkhardt per indicare un ambito di analisi interdisciplinare che si colloca al confine fra linguistica e scienze politiche. Essa può essere considerata da un lato come un’area di applicazione degli strumenti dell’analisi linguistica (in particolare della semantica e della linguistica testuale), dall’altro come un campo di interesse della scienza della politica applicato allo studio del linguaggio impiegato dagli attori politici.
Klemperer fa qui riferimento, sul versante della lingua del nazismo, a un verbo (gleichschalten, ‘sincronizzare’, livellare, ‘uniformare’), che secondo lo studioso è fortemente rappresentativa della mentalità nazista: “Par di vedere e di sentire il pulsante che fa assumere a persone, non a delle istituzioni, non a istanze impersonali, posizioni e movimenti automatici uniformi” (ivi: 188). Sul versante del modello linguistico sovietico, invece, l'Autore cita la metafora, attribuita a Lenin, secondo cui l’insegnante è una sorta di “ingegnere dell’anima”. Istituendo (in maniera un po’ forzata) un ragionamento sillogistico, se un ingegnere, che si occupa di solito di macchine, viene associato alla cura dell’anima, se ne dovrebbe concludere che l’anima è una macchina. In realtà, osserva Klemperer, l’uso di questo tipo di metafore nel contesto educativo sovietico si spiega con il fatto che la tecnica era, nell’URSS di quel tempo, considerata il mezzo che avrebbe garantito alle masse popolari la possibilità di liberarsi dalla schiavitù del bisogno e di raggiungere livelli di esistenza più degni della condizione umana.
Dopo la caduta del regime hitleriano, Klemperer riottenne la cattedra di filologia romanza al Politecnico di Dresda e, già alla fine del 1945, aderì al partito comunista. Dopo la sua fondazione ufficiale nel 1949, decise di rimanere nella DDR (Repubblica Democratica Tedesca), ricoprendo anche incarichi ufficiali in seno al mondo accademico di quel paese (traggo queste informazioni dalla postfazione alla quinta edizione italiana della LTI).
Un affresco a tinte fosche del circolo vizioso in cui la lingua della democrazia sarebbe caduta a causa dell’abuso (cioè dell’uso fine a se stessa) della retorica è in Thompson (???).
Edelman individua quattro stili distinti di linguaggio che strutturerebbero il processo politico: lo stile giuridico, lo stile amministrativo e lo stile della contrattazione.
Traggo questo stralcio dal più ampio brano riportato ne L’affaire Moro di Leonardo Sciascia (???).
Secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Interno (http://www.interno.gov.it/sites/default/files/dossier_viminale_ferragosto-dati_1_agosto_2017_31_luglio_2018.pdf) gli omicidi sono calati in un anno (luglio 2017-agosto 2018) del 15% (del 50% negli ultimi 10 anni), mentre i furti dell’8% (del 38% negli ultimi 10 anni).
http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=121167, ultima consultazione 28 ottobre 2018.
Il 20 agosto 2018 la nave della marina militare italiana Ubaldo Diciotti, che  quattro giorni prima aveva soccorso in mare 190 persone, giunge nel porto di Catania. Su ordine del ministero dell'Interno, i migranti sono stati trattenuti a bordo fino alla mezzanotte del 26 agosto. Da qui l'accusa di sequestro di persona rivolta al ministro Salvini. Nel marzo del 2019, il Senato della Repubblica ha negato l'autorizzazione a procedere nei suoi confronti.
Cfr. (???).
Per un quadro generale della vitalità del lessico nella cultura dialettale siciliana, cfr.  (???), il quale – negli ambiti della cultura materiale – attribuiva alla pastorizia una «Buona vitalità/Permanenza della terminologia».
Le informazioni lessicali contemplate in questo studio sono state reperite attraverso indagini sul campo, da me effettuate tra il 1989 e 1991, che hanno coinvolto 5 pastori, 4 contadini, 6 cacciatori e 5 casalinghe (mogli di pastori e contadini) di età compresa tra i 55 e i 90 anni. 
I concetti di seguito considerati sono tuttavia in numero maggiore rispetto ai tipi lessicali qui computati, giacché alcuni di essi sono usati, con restrittori aggettivali o nominali, per designare più concetti: per es.  derr ‘maiale’, derr porkuspin ‘istrice’, derra-dhindjë ‘porcellino d’India’, ecc. ; pulë ‘gallina’, pul-uji ‘gallinella d’acqua’; kuk ‘civetta’, kuku me vesht ‘gufo comune’, ecc. Non sono state computate, altresì, le forme diminutive (quali, per esempio, ljeparush ‘leprotto’ dim. di ljepur ‘lepre’, ecc.; derriçel ‘maialino’ dim. di derr ‘maiale’) e accrescitive (quali, per esempio, kaqicac ‘agnellone’ accr. di kaqic ‘agnello’, ecc.).
Per la trascrizione delle forme arbëreshe si userà l’alfabeto albanese che presenta, per la maggior parte dei fonemi, puntuali corrispondenze con i grafemi dell’alfabeto italiano. Per i grafemi e i digrammi corrispondenti a pronunce diverse o non presenti nel sistema italiano, si considerino le seguenti relazioni: c [ʦ], ç [ʧ], dh [ð], ë [ə], g [g], gh [ɣ], gj [ɟ], h [x], j [j, ʝ], hj [ç], k [k], ll [ɣ], nj [ɲ], q [c], s [s], sh [ʃ], th [θ], x [ʣ], xh [ʤ], z [z]. La vocale finale, separata da un trattino, rappresentata l’articolo determinativo (nominativo singolare): -i e -u sono articoli si nomi maschili;-(j)a è sono articoli di nomi femminili; non occorrono, tra i tipi lessicali qui contemplati, nomi neutri (-t). Gli articoli (i/e) precedono aggettivi rispettivamente maschili (i) e femminili (e);  non occorrono, tra i tipi lessicali qui contemplati, aggettivi neutri (të).
Più spesso, anche tra gli anziani, questa locuzione è reinterpretata paretimologicamente con derra-derra data l’assonanza con l’alb. derra ‘maiali’, ben conosciuto e usato.
Il VS non registra per cavaḍḍina (s. f.) il significato assunto nella varietà arbëreshe qui considerata, ma  – sulla scorta di (???)  e di (???)(sec. XVII e XVIII) quello di ‘mandria di cavalli’. Il sic. cavaḍḍina ha, invece, più frequentemente un uso aggettivale. Tra questi musca c. ‘tafano’, da cui l’arb. mizë kavalinie, dove, tuttavia, il restrittore è nominale (prop. ‘mosca di equini’) e non aggettivale.
Tali potrebbero essere occorrenze del tipo: brumbulli isht un insetto çë fluturon ‘il calabrone è un insetto che vola’; i rettili ndrrojën likurën ‘i rettili cambiano la pelle; ecc. Si veda, tuttavia, la nota 11.
Oggi ricorre solitamente il singolare del tipo qe-u, formato sul plurale (qe < sing. ka), probabilmente in ragione dell’uso di accoppiare questi animali al giogo. L’originaria forma del singolare (ka) si mantiene, tuttavia, cristallizzata nel nome polirematico dell’‘orzaiolo’ siu-kau (prop. ‘occhio di bue’).
I concetti relativi a animali quali, per esempio, ‘aquila’, ‘vipera’, ‘lupo’, ‘volpe’, ecc., sono generalmente noti anche a chi non ne abbia mai visto un esemplare.
Il tipo albanese derr, che designa comunemente il ‘maiale’,  è usato – anche senza il restrittore agg. i egër ~ sarvaç ‘selvatico’ – con il significato di ‘cinghiale’ soprattutto dai cacciatori. Più comunemente occorre il tipo romanzo (u) çingjali, con l’articolo preposto e dunque senza adattamento al sistema flessivo nominale dell’albanese. Così anche il romanzo (u) lupu, che sostituisce l’albanese ulk-u, ancora conosciuto dai più anziani, ma poco usato. Si tratta, in questi casi, di fenomeni la cui valutazione (prestiti di recente acquisizione che denotano la fusione dei microsistemi della determinazione nominale? Fenomeni di code-mixting?) si presenta piuttosto complessa. Per un primo approccio alla questione, cfr. (???).
Tra i cacciatori la ‘lepre’ viene scherzosamente chiamata skarpar-i (< sic. scarparu), prop. ‘calzolaio’.
V. nota 11.
Tra i cacciatori la ‘volpe’ viene scherzosamente chiamata xhuan-a (< sic. Giuanna), prop. ‘Giovanna’.
Il (???) s.v. ggiacaluni registra surci gg. con il significato di ‘ghiro’ per Roccapalumba (PA) e per Isnello (PA), oltre che sulla scorta di (???).  Il nome di questo roditore occorre, benché sempre meno frequentemente e sempre più oscuramente, nell’espressione flë si mi xhahallun ‘dormire come un ghiro’.
Il tipo lessicale xarrakan, la cui origine rimane oscura, è conosciuto ormai soltanto da pochi anziani. 
Probabilmente, il nome di questo insetto è motivato dai colori (rosso e bianco) della sua livrea, che ricorda quelli del costume tradizionale della sposa.
Oggi il consumo di anguille  – pescate un tempo soprattutto nelle acque che confluiscono nel vicino lago di Piana degli Albanesi  – è quasi del tutto in disuso. V. nota 24.
Il tipo albanese è, in verità, dallandishe. Nelle varianti kallandriq/e-ja e, soprattutto, kallandrish/e-ja sembra avere influito il romanzo (sic. kallandrun) ‘calandra’.
Questo tipo lessicale, non riscontrato in altre varietà albanesi,  sembra formato sull’alb. krie ‘testa’ + suffisso -(r)in con probabile valore dim. in verità non riscontrabile in altre formazioni nominali della parlata qui considerata. Il tipo arb. krierin sembrerebbe, comunque, un calco dal sic. tistuliḍḍa (prop. ‘testina, testolina’) gheppio’.
Forma metatetica del più comune alb. lakuriq.
In queste categorie i prestiti siciliani si limitano, come si è visto, al nome del ‘tacchino’ (nie < sic. nia; ghalinaç < sic. gallinàcciu) e a quello del ‘caprone’ (bek < beccu) che compete con l’alb. cujap.
L’esperienza del ‘pidocchio pollino’ era piuttosto comune fino agli anni ’60, allorquando in molte famiglie si allevavano , anche in prossimità delle abitazioni, le galline.
Si consideri che la cultura alimentare tradizionale della comunità è legata all’esperienza montana. Ancora fino agli anni ’70 del secolo scorso, il consumo di pesce era limitato a poche varietà vendute in paese dagli ambulanti, tutti forestieri (e pertanto significativamente chiamati litinj  prop. ‘Latini’). L’unico pesce pescato (nelle foci che confluiscono nel vicino lago) era, come si è detto (v. nota 18), l’anguilla, che conserva il nome alb. ngjal-a.
La carpa, poco apprezzata nella cucina locale, è il pesce più comune nelle acque del lago di Piana degli Albanesi.
I gasteropodi sono ancora molto apprezzati nella cucina locale.
Questo tipo lessicale non è registrato dal (???) né sembra essere stato rilevato nelle indagini siciliane dell’Atlante Linguistico della Sicilia (cfr. (???)). Tuttavia, non è improbabile che l’arb. qaparrin possa originare da una formazione nominale ormai scomparsa nelle varietà siciliano, sulla base di un sic.*acchia(ppa)parrinu costituito da acchappari  ‘acchiappare, ghermire, colpire’ + parrinu ‘prete’, allo stesso modo del sic. strangugghja-parrinu (prop. ‘strozzaprete’) che ha dato origine all’arb. stranguj ‘gnocchi’.
L’arb. nìur non si spiega con il sic. nìgghiu ‘nibbio’. Potrebbe trattarsi di una formazione paretimologica sul sic. nìuru ‘nero’ (partic. per il ‘nibbio bruno’).
Il tipo bedirrus sembra forma paretimologica sul sic. beḍḍu ‘bello’.
Il tipo arb. è certamente formato dal sic. pìula, con un suff. accr. -ac (< sic. -azz/u-a). Il VS registra, tuttavia, soltanto il f. pìula come «den. di alcuni uccelli titonidi, strigidi e corvidi, dei quali  […] barbagianni […] civetta […] cornacchia» dunque non falconiformi qual è la ‘poiana’.
V. nota 11.
Kaqic è forma metatetica di kaciq, che nelle altre varietà albanesi designa, però, il ‘capretto’.
Dim. di ljepur ‘lepre’ con il suffisso alb. -ush, ormai del tutto improduttivo, giacché si ritrova cristallizzato in pochissime forme nominali.
Derriçel è dim. – con suffisso -çel < sic.-(c)eḍḍ(a) – di derr ‘maiale. Il tipo kancirr (< sic. canzirru) è conosciuto, oramai soltanto da parlanti anziani, con il solo significato scherzoso di ‘moccioso’).
Questo tipo lessicale è ormai quasi del tutto caduto in disuso.
Il comunissimo nome del ‘cucciolo di cane’ (ghuc-i) è sicuramente un sicilianismo, benché per l’agg. guzzu il (???) registri (soltanto sulla scorta dei vocabolari secenteschi e settecenteschi (???), (???) e (???)) i significati di cani g. ‘botolo, cane piccolo ma di indole litigiosa e rabbiosa, che ringhia contro tutti’, e (sulla scorta degli ottocenteschi (???) e (???)) il fig. ‘piccolo di statura, corto, basso’
Più comunemente, gharmushel occorre con il significato, anch’esso siciliano, di ‘marmocchio’.
Questo nome è formato dal sic. menzu ‘mezzo’ e l’alb. kunill, sul tipo sic. menzucunìgghiu.
Il (???) non registra per fàrfaru l’accezione che qui ci interessa. Cfr., tuttavia, (???): 159), il quale contempla, tra i diversi nomi del ‘furetto giovane’ anche fàrfaru.
Dim. di fàrfaru. V. nota precedente.
La tassonomia scientifica dei mantelli degli animali – e particolarmente di quella degli equini – è assai più complessa di quella qui considerata, che farà riferimento soltanto ai nomi riscontrati durante l’inchiesta sul campo e dunque, alla tassonomia adottata dai parlanti intervistati. 
Il sicilianismo mirrin designa alcuni mantelli composti binari riferibili a varie sfumature del ‘grigio’ (dal chiaro allo storno, dal pomellato al moscato). Ai nomi di questi manti principali si aggiunga il sicilianismo shkav  (< sic. scavu) con il quale gli anziani contadini designavano – oltre a una persona di carnagione scura – un cavallo dal muso nero.  A Geraci Siculo (PA), (???) registra l’agg f. scava ‘di capra dal manto nero’.   
Pinzirita designa, nel lessico specialistico italiano, una razza ovina autoctona siciliana.  Il (???) registra pinziritu (soltanto per Mistretta-ME e Bivona-AG) agg. ‘di ovini con macchie nere sulla faccia’. Tra i pastori di Piana degli Albanesi ricorre pincirite e kuqe (con lentiggini rosse) o pincirite e zezë (con lentiggini nere).
Molto probabilmente da un sic. *milatu ‘color del miele’ (non registrato dal (???)), giacché per la denominazione del ‘miele’ è comunemente usato l’alb. mjajt.
Prop. ‘monaca’.
L’arb. marcilluar sembra formato sul sic. *marziloru non attestato, però, dal (???) che registra le forme marzolu, marzulinu, marzuḍḍu per animali, formaggi, frutta, nati, prodotti o che maturano nel mese di marzo.
Il (???) s.v. lacciuni2 riporta soltanto quanto registrato nel dizionario inedito di (???), ossia ‘agnello che non ha ancora compiuto sei mesi’. Per i pastori di Piana degli Albanesi llaçun designa un agnello partorito tardivamente a maggio e che, dunque, in estate non ha ancora lana sufficiente per essere tosato. Gli agnelli nati a maggio, tuttavia, raramente rimangono in vita fino al periodo della tosatura, poiché sono solitamente destinati alla macellazione in ragione della difficoltà di trovare erba tenera al momento dell’eventuale svezzamento che avverrebbe tra giugno e luglio. 
Questi agnelloni sono generalmente destinati alla macellazione.
La prima fecondazione può avvenire già dal compimento del sesto mese di vita. Nel caso dell’allevamento brado o semibrado è tuttavia correlata alla disponibilità di erba fresca. Il (???) registra rrinisca ma non *rriniscotta. La forma arb. rrinishkote presenta, dunque, lo stesso suffisso -ot(e) [< -ott(o/a)] diminutivo-vezzeggiativo che ricorre anche con i nomi albanesi vajz(ote) ‘ragazz(otta)’, djal(ot) ‘ragazz(otto)’, kopil(ot/e) ‘giovin(ett-o/a)’. Cfr. anche stripote (< sic. strippotta) dim. di stripe ‘di animale lattifero che, non ingravidato per una stagione, non produce provvisoriamente latte’.
L’agg. furçilat(e) designa ovicaprini i cui picozzi presentano la cosiddetta ‘coda di rondine’, cioè un’incrinatura a forma di V, che è segno di vecchiaia e che compare in genere dopo i 5-6 anni d’età. Questo aggettivo – benché non registrato dal VS con l’accezione che ci interessa – è, dunque, certamente un derivato da sic. furceḍḍa ‘forcella’.
V. nota 46.
V. nota 50.
Agg. deverbale da alb. pièll ‘figliare’.
V. nota 49.
Deverbale da alb. dredhi ‘torcere’. L’aggettivo designa, infatti, animali – spec. giovani montoni –  castrati con il metodo della torsione endocrinale. Più generico è il significato dell’alb. shëronj ‘castrare’ (e dell’agg. i shëruam ‘castrato’) conosciuto e usato soltanto dai più anziani e generalmente sostituito dal sicilianismo zgujar (< sic. scugghiari) ‘castrare’ (con agg. zguj / i zgujarm ‘castrato’).
Questo aggettivo –  denominale da sic. latt-i con suff. -us(u/a)i ‘-oso’ –  non è registrato dal (???)Il mancato adattamento della laterale alveolare iniziale (l  [l]) alla fricativa velare (ll [ɣ], cfr., per es., llatare < sic. lattara; llunare < sic. lunara, ecc.) indica una formazione recente di questo aggettivo.
Questo tipo lessicale non è registrato dal (???). Tuttavia, (???) fa riferimento a cumpagnissu o cumpagnissa, a seconda del sesso del «vitello che prende latte da due madri» nella tecnica di lattazione del “falso vitello”.
L’arb. zdillanut è chiaramente formato su llanut (< sic. lanutu ‘che ha molta lana’), benché il (???) non registri la forma  *sdilanutu.
Questo aggettivo non è registrato dal (???). L’arb. fruntarele sembra, tuttavia, formato sul sic. frunti ‘fronte’, con la stessa motivazione dell’it. sfrontato.
Il (???) registra s.v. fuiutizzu, con diverse varianti, sulla scorta di vocabolari settecenteschi e ottocenteschi ((???), (???), (???), (???), (???)), con il solo significato di ‘fuggiasco, latitante’.
Riguardo alla donna il concetto di ‘partorire’ è comunemente espresso con l’eufemismo ble, prop. ‘comprare’, usato come assoluto, così come nel corrispettivo sic. accattari ‘compare’.
Per completezza, si riportano qui anche i nomi di altre parti del corpo umano non condivise dagli animali e pertanto non computate nelle valutazioni quantitative (v. tabb.). Sono tipi albanesi: krip-t ‘capelli’, dor-a ‘mano’, glisht-i ‘dito’, th/ua-oi ‘unghia’, burrul-i ‘gomito’, faq/e-ja ‘guancia’, ciner-i ‘ciglio’; sono sicilianismi: shpalun-i ‘spalla’, gharres-i / karin-a ‘schiena’ 
L’arb. peturin-i  (maschile, prob. per influenza dell’it. petto) ha assunto il significato generico di ‘petto’ (umano e animale) dal sic. pitturina / petturina ‘scherz. seno prosperoso’ e, primariamente, ‘pettino, pettorina’.
È sicuramente albanese il tipo vithe. Rimangono, in verità, oscuri i tipi kom e xambol che non sembrano, tuttavia,  riconducibili a varietà siciliane.
Si è ben consapevoli, infatti, che una tale distribuzione risulta più agevole nei casi estremi quali, per es. ‘gallina’ (concetto comune) vs. ‘maschio del germano reale’ (concetto specialistico); ‘vacca’ vs. ‘vacca che allatta un cucciolo non suo’; ‘pulcino’ vs. ‘pulcino di coturnice’; ecc.
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Pecore e capre nell’antroponomastica popolare siciliana

14. Premessa

In due significative raccolte di soprannomi – di Gerhard Rohlfs (???) per la Sicilia e di Tullio Telmon (???) per la comunità piemontese di Solero – viene proposta una classificazione semantica. Si tratta di una tipologia classificatoria sicuramente obiettiva e perciò utile, in quanto preliminare ad altre tipologie più problematiche, come quella motivazionale, con la quale si penetra nella sfera psico-percettiva della soprannominazione (cfr. (???)).
Se restringiamo la nostra attenzione all’ambito animale, G. Rohlfs distingue animali domestici; animali selvatici, vermi e insetti; rettili; uccelli; pesci, molluschi e crostacei. Tullio Telmon classifica in animali terrestri; pesci e anfibi; uccelli; insetti.
Volendo indugiare sui due repertori siciliano e piemontese, rilevando i diversi riferimenti a ovini e caprini, riscontriamo in Rohlfs i soprannomi Agnedda, Crapa, Muntuni, Piècura; in Telmon Cravò, La Becia, Muntò.
Provo ora ad attingere al mio ampio e ancora inedito repertorio di soprannomi siciliani (al quale lavoro da parecchi anni) e ne ricavo serie soprannominali ovino-caprine dalle quali possono ricavarsi informazioni anche di carattere areale (lessicale, fonetico) oltre che motivazionale. Il microrepertorio ovino-caprino viene qui ordinato sulla base dei diversi tipi lessicali, con una progressione elencativa in ordine alfabetico, che muove dal lessotipo, seguito da derivati, composti e sintagmi. Accanto a ciascun soprannome è indicata la località nella quale è stato raccolto e la provincia. Seguono eventuali brevi entotesti e note di commento.

15. Repertorio onomastico ovino-caprino

Agneḍḍu (Chiusa Sclàfani, Roccapalumba PA; Sambuca di Sicilia AG; Ucria ME), Agnieḍḍu (Alia PA; Grammichele CT), Agniḍḍu (Gangi PA), Agneḍḍa (San Cataldo CL; Assoro EN) // Agniḍḍuzzi (Cianciana AG), Agniḍḍaru (Avola SR).

● Le varianti di Alia e Grammichele presentano il dittongo metafonetico, che si chiude (ie > i) nel tipo gangitano.
Assai diffuso come cognome: Agnello e Aniello (di origine napoletana), Agnellaro, Agnilleri (mestiere). Ant.: Salvus Agnellus (sec. XIII).
L’origine può essere metonimica (‘agnello’ → mestiere del pastore) oppure – meno probabilmente – metaforica, per la somiglianza fisica o di indole (mansuetudine).

Beccu (Giarre CT; Francavilla, Fùrnari ME; Canicattini Bagni SR; Acate RG), Biccarieḍḍu (Pòllina PA), Biccarruni (Caprizzi ME).

Al sign. di ‘becco, caprone’ si sovrappone quello di ‘marito tradito’ (→ Crastu). Biccarruni può anche significare ‘persona magra, alta e sciocca’ (VS). Ant.: Nicolaus Bechus (sec. XIV).

Ciareḍḍu (Rometta, Tortorici ME), Ciarieḍḍu (Cerami EN), Ciavarieḍḍu (Palazzolo Acreide SR), Ciareḍḍa (Francavilla, Naso, Ucria ME; Floridia SR), Ciaraveḍḍa (Montevago AG), Ciavareḍḍa (Nicosia EN).

● Propr. ‘capretto’. Antico francesismo (chevrel < CAPREOLUS). Assai diffuso come cognome: Ciavarello, Ciaravello, Ciarello, Ciavorello, Giovrello, Sciavarello (e assai prob. Cervello). Ant.: Orlandus Chaurellus (1333).

Crapa (Caltavuturo, Croceverde PA; Bivona, Licata AG; Cesarò ME; Biancavilla CT; Avola, Canicattini Bagni SR), Crapu116 (Catenanuova EN) // Crapuzza (Bivona, Licata AG; Cerami EN) Crapazza (Càccamo PA), Crapettu (Leonforte EN), Crapittu (Sortino SR), Crapitta (Randazzo CT), Crapèttina117 (Montalbano Elicona ME), Craparu (Calatafimi TP; Alia, Gratteri PA; S. Caterina V. CL; Randazzo CT), Crapara (Grotte, Licata AG; Mussomeli CL), Craparieḍḍu (Montemaggiore PA), Caprariḍḍu (Pietraperzia EN), Crapalesa118 (Canicattini Bagni, Floridia SR), Capralicca119 (Francofonte SR), Capra morta (Resuttano CL), Capra rugnusa (Capaci PA), Capra russa (Campofranco CL) // Facci i crapa (Pòllina PA).

Capra e derivati è ben presente nell’antroponomastica ufficiale, anche nella forma metatetica Crapa, Craparo, Crapazza, Crapitti (cfr. Caracausi 1993). Attestazioni ant. in Caracausi: Jafar filius Capre (1136), Nicolaus Caprarius (1324), Barbara la Capruna (sec. XIV).

● Etnotesti: (Croceverde PA) Picchì era comu un crapuni chi gghiava acchianannu e scinniennu siempri àibbuli [Perché era come un caprone che andava salendo e scendendo sempre (dagli) alberi].
(Grotte AG) Sta fìmmina si chiamava Maria Crapara pirchì aviva lu maritu li crapi e cci aviva lu bàgliu vicinu la casa. Tutti li cristini ca passàvanu, vidìvanu li crapi e lu bàgliu, cci ammintaru Maria Crapara [Questa donna si chiamava Maria Crapara perché il marito aveva le capre e aveva il baglio vicino la casa. Tutte le persone che passavano, che vedevano le capre e il baglio, le inventarono Maria Caprara].
(Montemaggiore Belsito PA) A zza Piḍḍa Crapara picchì u maritu faceva u guardianu di crapi, e logicamenti cchiù mpurtanti d’u maritu c’era a zza Piḍḍa a Crapara, per cui i figghi: Craparieḍḍu [La zza Piḍḍa (Giuseppa) a Crapara perché il marito faceva il guardiano di capre, e logicamente più importante del marito era a zza Piḍḍa a Crapara, per cui i figli: Craparieḍḍu].
(Campofranco CL) Cci dicìvanu di sta manera, Crapa rrussa. Pirchì aveva una figlia ca quannu era picciotta era amanti di mittìrisi cosi rrussi. Sempri qualsiasi cosa s’accattava, sempri cosi rrussi [Le dicevano così, Crapa rrussa, perché aveva una figlia che, quando era giovane, amava indossare abiti rossi. Qualsiasi cosa comprasse, sempre abiti rossi].

Crastu (Partinico, Terrasini PA; Burgio AG; Bompensiere CL; Cerami EN; Cesarò ME; Biancavilla CT); Crastuni (Leonforte EN; S. Cono CT), Crastuneḍḍu (Bisacquino, Palazzo Adriano PA), Crastatu (Resuttano CL; Nicosia EN), Crastataru (Resuttano CL) // Crastagneḍḍu120 (Ficarazzi PA; S. Cono CT), Crastalluciatu121 (Ucria ME), Crastu tignusu122 (Resuttano CL), Occhi di crastu123 (Terrasini PA).

● Al di là del sign. proprio di ‘maschio della pecora, montone’, con Crastu ci si riferisce al marito tradito. Oltre a tale allusione, in ambito soprannominale si può presupporre un riferimento somatico o al mestiere. Ant.: Nicola di lu Crastuni (sec. XIV).
● Entotesto: Poi cc’è n’atru Crastu, sti Crasti sunnu ca i muglieri un s’hannu fattu l’affari soi, dicemu â siciliana, e iḍḍi càlan’a testa, cci pàssanu di ncapu [Poi c’è un altro Crastu, questi Crasti sono che le mogli non si sono fatte gli affari propri, diciamo alla siciliana, e loro abbassano la testa, ci passano sopra].

Muntuni (Palazzo Adriano PA; Resuttano CL; S. Cono CT), Muntuna (Marsala TP), Muntuneḍḍu (Limina ME), Muntunèḍḍina124 (Bafìa ME).

Pècura (Marineo PA; Aragona AG; Sortino SR; Mòdica RG), Piècura (Cerami EN) // Picureḍḍu125 (Naro AG), Picurieḍḍu (Catenanuova EN; Lìmina ME, Canicattini Bagni, Noto SR), Picureḍḍa126 (Alia PA; Sciacca AG; Agira, Cerami EN; Ucria ME; Piedimonte Etneo, S. Alfio CT; Chiaramonte Gulfi RG), Picurieḍḍa (Misilmeri, Terrasini, Torretta PA), Picureḍḍi (Sommatino CL; Lìmina ME), Picuriḍḍi (Villarosa EN), Picuruni (Resuttano CL; Tusa ME), Picuraro (Terrasini PA; Calamonaci AG; Centùripe EN; Biancavilla CT; Noto, Palazzolo Acreide SR; Ispica RG), Pricuraru (Scicli RG), Picurareḍḍu (Altofonte PA), Picurarieḍḍu (Grotte AG), Picurariḍḍu (Pietraperzia EN), Picurarazzu127 (Scicli RG) // Pècura frusciata128 (Palazzo Adriano PA), Pècura janca129 (Longi ME; Giarre, Misterbianco, Nicolosi CT; Avola SR), Piècura janca (Butera CL; Leonfonte EN; Chiaramonte Gulfi CT), Pècuru jancu (Bafìa ME; Francofonte, Sortino SR), Pècura vranca (Bisacquino PA), Pècuri bbiunni (Porto Empedocle AG), Pècura motta (Avola SR), Pìcura prena130 (Pietraperzia EN), Pècura ṣṭṛippa131 (Montevago AG), Pier’i piècura (Acate RG).

● Etnotesti: (Aragona AG) A Rraona cci nn’è assà nciurii, per esempiu cc’è chissu ca cci dìcinu Affònziu Pècura ca chissu avìanu li pècuri e fforsi cci àppiru a ddiri ssa nciùria, e cci rristà Pècura [Ad Aragona ce ne sono molti soprannomi, per esempio c’è questo al quale dicono Alfonzo Pècura, perché questi avevano le pecore e forse gli dovettero dare questo soprannome. E gli rimase Pècura]. (Àlia PA) Può essiri ca facìanu li picureḍḍi di chiḍḍi di l’uratorio, anticamenti facìanu pi lu vèneri e ssantu, fannu la cena. E cchiḍḍi facìanu li pècuri sempri e cci mpiccicaru li Picurieḍḍi [È possibile che facessero le pecorelle, quelle dell’oratorio, anticamente le facevano per il venerdì santo, fanno la cena. E quelli preparavano sempre le pecore e gli affibbiarono li Picurieḍḍi]. (Tusa ME) Picuruni picchì era comu un picuruni, caminava c’a testa nterra e non si ggirava mai e a ggenti u chiamavànu: “e chi ssì Picuruni?” Era un picuruni pi davveru, èrunu comi i piècuri [Picuruni perché era come un pecorone, comminava con la testa per terra e non si girava mai, e la gente lo chiamava: “e che sei, pecorone?” Era davvero un pecorone, erano come le pecore]. (Castelvetrano TP) Picchì facìa la rricotta e cci appizzaru la Picurareḍḍa [Perché faceva la ricotta e le affibbiarono la Picurareḍḍa ]. (Grotte AG) Picuriarieḍḍu dderiva da una famiglia ca ai tempi antichi aviva sempri li piècuri. E questi sunnu ereditari, ca ancora, tuttora hannu li piècuri. E cci misiru Picuriarieḍḍu picchì iḍḍi avìvanu tanti tipi di pècore [Picuriarieḍḍu si riferisce a una famiglia che nei tempi antichi possedeva sempre le pecore. E sono ereditari, perché ancora possiedono le pecore. E gli affibbiarono Picuriarieḍḍu, perché loro avevano tanti tipi di pecore]. (Partinico PA) Chissa era ggiòvani e avìa li capiḍḍi ca parìa na scuma bbianca e a sintìanu accussì [Questa era giovane e aveva i capelli che sembrava una schiuma bianca, e la soprannominavano così]. (Porto Empedocle AG) Ca sunnu tutti bbiunni e cci dìcinu Pecuribbiunni, hannu puru i sopraccigli bbiunni [Perché sono tutti biondi e gli dicono Pecuribbiunni, hanno pure le sopracciglia bionde].

Zìmburo (Castroreale ME), Zìmmaru (Antillo, Fiumedinisi ME).

● Propr. ‘caprone, becco’. Fig. ‘zoticone’.
Diffuso anche come cognome: Zimmaro, Zimmari (cfr. (???)). Grecismo di area siciliana orientale.

Bibliographie

  • Rohlfs 1984 = Rohlfs, Gerhard (1984): Soprannomi siciliani, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani.
  • Caracausi 1993 = Caracausi, Girilamo (1993): Dizionario onomastico della Sicilia. Repertorio storico-etimologico dei nomi di famiglia e di luogo, 2. volumi,, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani.
  • Ruffino 1988 = Ruffino, Giovanni (1988): Soprannomi della Sicilia occidentale. Tipi idiomatici, fonosimbolici e triviali,, in: “Onomata” Revue onomastique, 12, 480-486.
  • Ruffino 2009 = Ruffino, Giovanni (2009): Mestieri e lavoro nei soprannomi siciliani. Un saggio di geoantroponomastica, Palermo , Centro di studi filologici e linguistici siciliani.
  • Telmon 2014 = Telmon, Tullio ( 2014): Stradinòm ad Sulìare, , in: Studi linguistici in onore di Lorenzo Massobrio, a cura di F. Cugno, L. Mantovani, M. Rivoira, S. Specchia, Torino, Istituto dell’Atlante Linguistico Italiano, 971-996.
Fra chi parla mandinka in Gambia e nella regione di Casamance (nel sud del Senegal) kankurang è uno spirito incarnato da un danzatore mascherato, considerato il principale custode delle celebrazioni dell’etnia mandingo come il rito della circoncisione e della celebrazione del matrimonio. I mandingo ritengono che il kankurang può curare l’infertilità nelle donne.
Si tratta di due località poste agli estremi del Paese.
Per il termine cf. Krefeld (???).
Molto di quanto qui scritto nasce dal nostro lavoro al progetto Network of Knowledge (2012-2016, finanziamento FWF) e all’Hugo-Schuchardt-Archiv (???). Quest'ultimo presenta l'opera omnia schuchardtiana, le relative recensioni e diverse edizioni dal suo epistolario, costituito da oltre 13.000 lettere e cartoline a lui indirizzate e conservate presso la biblioteca universitaria di Graz (cf. (???)), cui si aggiungono numerose lettere e cartoline scritte da Schuchardt rinvenute in biblioteche e archivi europei e non. Alla fine del 2018 oltre 6000 lettere erano disponibili in edizione digitale.
Consultabile in forma digitalizzata al sito NavigAIS
Quando non diversamente indicato, il numero corrisponde a quello con cui sono archiviati i pezzi di corrispondenza ricevuti da Schuchardt presso la Biblioteca universitaria di Graz, Hugo Schuchardt Nachlass.
Questo si concretizzava da una parte in un fitto scambio epistolare tra scienziati di diverse discipline, dall'altra nei diversi circoli, società e associazioni accademici, come p. es. la società antropologica di Vienna (???).
Non è certo questa la sede per approfondire la storia di tale approccio, per cui rinviamo alle pubblicazioni già citate, ma anche alle collezioni, visitabili in via telematica, di oggetti di interesse etnografico di Hugo Schuchardt (Volkskundemuseum Wien) e di Rudolf Meringer (Institut für Kulturanthropologie und Europäische Ethnologie der Universität Graz) e al carteggio tra Schuchardt e Meringer (???).
Cf. l’edizione (non commentata) in Melchior (???).
Carteggio parzialmente edito in Heinimann ((???), (???)).
La corrispondenza è stata analizzata nell'ambito di una Seminararbeit presso l'Institut für Sprachwissenschaft, ma è tuttora inedita.
L’edizione critica del carteggio è di prossima stampa (???).
Nonostante la corrispondenza tra Schuchardt e Puşcariu continui con discreta costanza fino al 1926, non vi sono cenni al progetto dell'Atlasul lingvistic român, per il quale nel 1922 erano cominciate le inchieste.
È evidente che vi è una reciproca interdipendenza e non possono essere considerati come "passi di lavoro" (sempre) nettamente distinti l'uno dall'altro. Tale distinzione ci pare tuttavia funzionale per capire meglio gli spunti di riflessione teorica che ne nascono.
Weigand raccolse personalmente i dati per il suo atlante nel corso di otto viaggi in loco a partire dal 1895. La pubblicazione dell'atlante avvenne dapprima a fascicoli, dal 1898, e poi in volume nel 1909. Il paradigma neogrammaticale godeva allora ancora di un forte consenso, soprattutto a Lipsia, alma mater di Weigand. Le inchieste per l'AIS, pubblicato a partire dal 1928, furono invece effettuate da tre esploratori appena dopo la fine della Prima Guerra mondiale, a partire dal 1919, in una fase dunque in cui l'approccio di Wörter und Sachen era già stato pienamente recepito dai linguisti svizzeri e non solo.
Gli otto volumi dell'AIS abbracciano 1705 carte, ciascuna delle quali comprende 405 punti d'inchiesta; il Linguistischer Atlas des dacorumänischen Sprachgebiets, in un unico volume, comprende 67 carte che si basano su 752 punti (!) di inchiesta, in cui i materiali vennero raccolti in un tempo assai breve e quasi esclusivamente da Weigand stesso.
Quelli dell'AIS erano di stampo lessicologico-culturale, oltre che fonologico e morfosintattico, nell'atlante di Weigand prevale invece l'interesse fonologico-storico.
Base per le inchieste dell'AIS fu il Fragebuch, elaborato sul modello di quello concepito per l'ALF, mentre Weigand, che pur aveva grande esperienza di lavoro con questionari, si prepose di raccogliere "Normalwörter" che potessero venire utilizzati spontaneamente all'interno di discorsi con gli informanti (per maggiori dettagli sulla metodologia e gli obiettivi dell'atlante romeno cf. (???), per l'AIS cf. (???)).
Meno intensa è la coeva corrispondenza tra Schuchardt e Jaberg: ai diciotto pezzi di corrispondenza di mano di Jaberg conservati a Graz si aggiungono solo tre indirizzati da Schuchardt al collega bernese.
Non si trovano invece spunti metodologici legati alla concezione dell'impresa atlantistica - Weigand sembra piuttosto preoccupato di tenere al corrente Schuchardt dei progressi nel lavoro, annunciandogli la pubblicazione delle diverse sezioni; cf. per esempio la lettera del 2 dicembre 1899 (n° 12704) in cui gli chiede se abbia avuto occasione di scorrere la seconda sezione dell'atlante, appena pubblicata, invitandolo a farne una recensione sul Centralblatt - desiderio che Schuchardt non esaudirà.
Weigand dedicò molto spazio alla descrizione dei suoi viaggi, come nel seguente esempio: "Für die Pferde ist es eine harte Arbeit, auf dem in Schlangenlinien sich windenden Pfade die Berge zu erklettern. Doch mit bewundernswerter Ausdauer überwinden sie alle Anstrengungen. Auf der Höhe ist eine Quelle "Kodru mare = großer Berg“ genannt. Ein überraschender Anblick bietet sich dort dar. Gerade vor uns, scheinbar sehr nahe, liegt V.L. auf halber Bergeshöhe, wie an die Felsen angeklebt. [...] Ein schmaler, gefährlicher Saumpfad führt in einem Stündchen nach V.L. (???).
Nonostante Jud tragga ispirazione dalle idee schuchardtiane, egli fa cenno all''impresa dell'atlante solamente a inchieste iniziate, il 21 agosto 1919 (n° 05195), e appena un anno dopo ne svelerà alcuni parametri, riconoscendo come l'impresa sia debitrice, nella sua concezione, all'insegnamento di Schuchardt: "Das Questionnaire umfasst etwa 2500 Wörter und Sätze: wir hoffen nichts wesentliches ausgelassen zu haben. Neben diesem Normalquest. existiert ein erweitertes Questionn. mit etwa 5000 Wö. u. Fragen, die er auf seiner ganzen Reise an 20 Punkten abfragen soll. In Bünden ist dies im Münstertal und in Lenz (bei Thusis) geschehen. An jedem Ort soll er eine Anzahl Photos von Geräthen aufnehmen, die als Bilderatlas einst veröffentlicht werden sollen. Das ist die teilweise Verwirklichung Ihrer Idee: Sprach- und Bilderatlanten. (n° 05204, 14 aprile 1920)".
Schuchardt (???) scrive "Und in der That finden wir noch auf dieser Seite der Gebirgshöhe Ortschaften deren Sprechweise der französischen Schriftsprache entschieden näher steht als der italienischen. Aber wo sollen wir den Grenzpfahl in den Boden stossen? Etwa da wo wir den Schweinehirten seine Thiere nicht mehr i porci sondern lus cusciuns, les cochons nennen, oder da wo wir zuerst ein Kind von seinem Vater nicht mehr als mio padre, sondern als mon paire, mon père sprechen hören? Ich befürchte, es möchte dabei der besondere Geschmack eines jeden zu Tage kommen".
Jud ritorna su questo punto nella sua lettera del 25 dicembre dello stesso 1917, contrastando in parte la Sprachverwandtschaft schuchardtiana (???): [...] Der Widerspruch bewegt sich in der Richtung, dass ich gerne gesehen hätte, welches die Wahl der Merkmale sein muss, um von einer stetigen geographischen Abstufung reden zu können. [...] Ich gebe zu, dass bei „ungestörten“ Verhältnissen sich die geographische Abstufung mit der sprachlichen in correlatem Verhältnis befindet: aber hat die sprachliche Betrachtung je mit solch primitiver Lagerung zu untersuchen Gelegenheit? Und ist es nicht gerade eines der reizvollsten Probleme zu zeigen – was Sie am Schlusse so eindringlich betonen – dass Sprachgeschichte Volksgeschichte oder besser Geschichte der Sprechenden einer Volksgenossenschaft oder der Menschheit ist? Ist die Gruppierung der italischen Mundarten nicht auch ein Capitel der Geschichte der Italienisch Sprechenden?" (n° 05188)
A questo riguardo si vedano anche le interessanti osservazioni di Goebl (???) sul progetto del Glossaire des patois romands de Suisse sotto l'egida di Louis Gauchat.
Le carte di prova per "Sense und Sichel" che arrivarono a Graz più tardi sono conservate nel lascito di Schuchardt all'interno della sezione Werkmanuskripte al numero d'archivio 17.6.1.6.
In una lettera presumibilmente databile all'inizio del 1921 e sicuramente posteriore alla ricezione delle carte di prova, Schuchardt fa riferimento a possibili migliorie nella rappresentazione delle cose e delle parole sulla carta, che l'ormai quasi ottantenne dovette consultare con l'ausilio di una lente d'ingrandimento.
Ritorna poi sull'argomento oltre due anni dopo, : "Ich kann nur selten und nur wenig arbeiten. Ins Romanische darf ich eigentlich gar nicht mehr hineinreden; wie ich Ihnen schon sagte, bilden der Atlas ling. und andere 'Wälzer' für mich fast unüberwindliche Hindernisse" (Archivio dell'AIS, Berna, lettera non numerata del 18 agosto 1919).
Esemplari di ciò possono essere considerati i cenni che fanno Jaberg/Jud (???) riguardo alla ricerca dell'editore e alle spese dell'AIS.
Così scrive Wunderli (???): "Projekte für einen derartigen Sprachatlas – u.a. den Atlante linguistico mediterraneo, den Atlante linguistico europeo usw. – hat es inzwischen verschiedene gegeben; keines davon ist jedoch auch nur annähernd zur Publikationsreife gediehen. Die Vision Schuchardts eines „übereinzelsprachlichen“ Sprachatlasses dürfte damit nach über hundert Jahren dem Bereich der Utopien zuzuordnen sein".
Il problema dei finanziamenti, a prima vista alleviato dalla raccolta dati tramite web, dunque resta, ma cambia fisionomia: se i costi per le esplorazioni possono essere notevolmente ridotti, ve ne sono altri, di concettualizazione e programmazione delle piattaforme che ospitano gli atlanti, di salvaguardia dei dati, oltre che, naturalmente, di personale scientifico e tecnico che monitora, adegua, rielabora, aggiunge, ecc. nell'ambito di progetti che, per loro natura, non possono mai dirsi conclusi.
Non entriamo qui nelle questioni riguardanti la conservazione e l'archiviazione a lungo termine di grandi quantità di dati, che senz'altro è un quesito di centrale importanza per tutti i progetti delle digital humanities, ma per il quale esistono già esempi di buone pratiche.
Altri problemi sono legati, per esempio, all'interpretazione dei dati forniti in maniera scritta - si pensi alle diverse grafie scelte per la rappresentazione di fonemi dialettali, qualora di questi non siano forniti anche realizzazioni foniche. Ciò comporta, in diversi casi, che tali dati possano essere utilizzati solo per un'analisi di tipo lessicale, ma restino preclusi allo studio fonetico-fonologico. Posto poi il caso che tali dati venissero corredati da registrazioni audio, quale sarebbe lo status da attribuire a queste, che, senza una trascrizione e interpretazione da parte dello scienziato, resterebbero piuttosto dati "grezzi"?
Data la dinamicità e apertura dei nuovi progetti diviene ozioso chiedersi, come invece fecero Jaberg und Jud, se il materiale raccolto sia adeguato a rispondere a interessi scientifici diversi, in quanto esso può continuamente essere integrato e rimodellato.
Eterogeneità che caratterizza anche altri progetti atlantistici: si pensi per es. all'ASLEF (???) o all'ALI (???), che presenta anche dati raccolti in precedenza in altri atlanti. Nonostante le diverse fonti siano indicate, la rappresentazione cartografica appiattisce monodimensionalmente i diversi dati.
Come osservano (???), la natura sfumata dei confini del discorso politico implica che tali confini possano essere di volta in volta ridefiniti a seconda di che cosa si intenda per ‘politica’ e dunque di che cosa si voglia includere in tale dominio. In teoria, gramscianamente, potremmo dire che “tutto è politica” e dunque dovremmo/potremmo considerare proprio del discorso politico ogni testo che affronti tematiche che riguardino l’ambito della politica. Tuttavia, Nella concreta pratica analitica si tende a restringere il campo ai generi prototipici del discorso politico, distinguendo, ad esempio, fra discorsi attinenti l’attività politica istituzionale (parlamentare, governativa, delle figure ufficiali come i capi di stato ecc.), discorsi riguardanti l’attività dei partiti (campagna elettorale, dibattito interno, ecc.) e discorsi in cui la politica diviene oggetto di informazione (in tv, alla radio, sulla carta stampata, sul web).
Non intendo, in questa sede, addentrarmi nella discussione sulla differenza fra ‘testo’ e ‘discorso’. Benché non tutti gli studiosi siano d’accordo nel considerare i due termini come sinonimi, li userò qui, per una mera questione di praticità espositiva, in modo quasi intercambiabile, fermo restando che tenderò ad adoperare il primo quando vorrò riferirmi allo specifico prodotto dell’attività comunicativa, mentre ricorrerò al secondo quando farò specifico riferimento al processo che conduce alla costruzione del testo. Si veda su questo (???) e, per quanto riguarda più nello specifico l’ambito politico, (???). Al tempo stesso, seguendo la terminologia introdotta da Peter Koch (???), userò il termine ‘genere discorsivo’ in riferimento a quelle concrete attività discorsive che arricchiscono i tipi testuali astratti “di pratiche e di regole nate in un contesto storico particolare, ammettendo magari degli incroci tra le categorie astratte” (???).
Faccio qui riferimento al modello di analisi dell’argomentazione elaborato dalla cosiddetta ‘scuola olandese’ (???). Secondo questo modello, i discorsi argomentativi si dislocano lungo un continuum ai due estremi del quale si collocano rispettivamente i discorsi in cui prevale la componente dialettica e i discorsi in cui prevale la componente retorica. La prevalenza della prima si concretizza nei discorsi argomentativi improntati al confronto fra idee, il cui obiettivo è quello di convincere l’interlocutore della giustezza delle proprie posizioni. Questi discorsi sono caratterizzati dal fatto che i partecipanti si dispongono reciprocamente ad ascoltare ed eventualmente a riconoscere la ragionevolezza delle opinioni espresse dall’altro e, dunque a farsi convincere da quelle abbandonando le proprie. Sul piano della teoria politica, questo tipo di discorso argomentativo è quello più vicino al modello di democrazia deliberativa elaborato da Habermas. La prevalenza della seconda componente (quella retorica) si concretizza in discorsi tesi alla persuasione dell’uditorio, usando tutti i mezzi per screditare non solo le idee contrarie alle proprie, ma anche coloro che le professano. Sul piano più generale, si entra qui nel campo della propaganda.
A dire il vero, e per concedere le attenuanti alla categoria alla quale appartengo, gli studi di carattere più propriamente linguistico hanno adottato un modo di procedere più oggettivo, benché abbiano per lo più lavorato sulla descrizione sincronica o diacronica di peculiarità strutturali, che però restano sul piano dell’osservazione empirica, senza spingersi a tentare di giungere a una definizione generale dei caratteri del linguaggio politico.
Capostipite di questo filone di studi è considerato Lasswell (???).
Riporto una delle più note di queste invettive, quella che Pasolini rivolse ai leaders della Democrazia Cristiana: “[...] ogni volta che aprono bocca, essi, per insincerità, per colpevolezza, per paura, per furberia, non fanno altro che mentire. La loro lingua è la lingua della menzogna. E poiché la loro cultura è una putrefatta cultura forense e accademica, mostruosamente mescolata con la cultura tecnologica, in concreto la loro lingua è pura teratologia” (???).
Lorella Cedroni, filosofa della politica prematuramente scomparsa, ha il merito di aver introdotto in Italia la cosiddetta ‘politolingustica’, calco dal tedesco Politolinguistik, termine coniato nel 1996 da Armin Burkhardt per indicare un ambito di analisi interdisciplinare che si colloca al confine fra linguistica e scienze politiche. Essa può essere considerata da un lato come un’area di applicazione degli strumenti dell’analisi linguistica (in particolare della semantica e della linguistica testuale), dall’altro come un campo di interesse della scienza della politica applicato allo studio del linguaggio impiegato dagli attori politici.
Klemperer fa qui riferimento, sul versante della lingua del nazismo, a un verbo (gleichschalten, ‘sincronizzare’, livellare, ‘uniformare’), che secondo lo studioso è fortemente rappresentativa della mentalità nazista: “Par di vedere e di sentire il pulsante che fa assumere a persone, non a delle istituzioni, non a istanze impersonali, posizioni e movimenti automatici uniformi” (ivi: 188). Sul versante del modello linguistico sovietico, invece, l'Autore cita la metafora, attribuita a Lenin, secondo cui l’insegnante è una sorta di “ingegnere dell’anima”. Istituendo (in maniera un po’ forzata) un ragionamento sillogistico, se un ingegnere, che si occupa di solito di macchine, viene associato alla cura dell’anima, se ne dovrebbe concludere che l’anima è una macchina. In realtà, osserva Klemperer, l’uso di questo tipo di metafore nel contesto educativo sovietico si spiega con il fatto che la tecnica era, nell’URSS di quel tempo, considerata il mezzo che avrebbe garantito alle masse popolari la possibilità di liberarsi dalla schiavitù del bisogno e di raggiungere livelli di esistenza più degni della condizione umana.
Dopo la caduta del regime hitleriano, Klemperer riottenne la cattedra di filologia romanza al Politecnico di Dresda e, già alla fine del 1945, aderì al partito comunista. Dopo la sua fondazione ufficiale nel 1949, decise di rimanere nella DDR (Repubblica Democratica Tedesca), ricoprendo anche incarichi ufficiali in seno al mondo accademico di quel paese (traggo queste informazioni dalla postfazione alla quinta edizione italiana della LTI).
Un affresco a tinte fosche del circolo vizioso in cui la lingua della democrazia sarebbe caduta a causa dell’abuso (cioè dell’uso fine a se stessa) della retorica è in Thompson (???).
Edelman individua quattro stili distinti di linguaggio che strutturerebbero il processo politico: lo stile giuridico, lo stile amministrativo e lo stile della contrattazione.
Traggo questo stralcio dal più ampio brano riportato ne L’affaire Moro di Leonardo Sciascia (???).
Secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Interno (http://www.interno.gov.it/sites/default/files/dossier_viminale_ferragosto-dati_1_agosto_2017_31_luglio_2018.pdf) gli omicidi sono calati in un anno (luglio 2017-agosto 2018) del 15% (del 50% negli ultimi 10 anni), mentre i furti dell’8% (del 38% negli ultimi 10 anni).
http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=121167, ultima consultazione 28 ottobre 2018.
Il 20 agosto 2018 la nave della marina militare italiana Ubaldo Diciotti, che  quattro giorni prima aveva soccorso in mare 190 persone, giunge nel porto di Catania. Su ordine del ministero dell'Interno, i migranti sono stati trattenuti a bordo fino alla mezzanotte del 26 agosto. Da qui l'accusa di sequestro di persona rivolta al ministro Salvini. Nel marzo del 2019, il Senato della Repubblica ha negato l'autorizzazione a procedere nei suoi confronti.
Cfr. (???).
Per un quadro generale della vitalità del lessico nella cultura dialettale siciliana, cfr.  (???), il quale – negli ambiti della cultura materiale – attribuiva alla pastorizia una «Buona vitalità/Permanenza della terminologia».
Le informazioni lessicali contemplate in questo studio sono state reperite attraverso indagini sul campo, da me effettuate tra il 1989 e 1991, che hanno coinvolto 5 pastori, 4 contadini, 6 cacciatori e 5 casalinghe (mogli di pastori e contadini) di età compresa tra i 55 e i 90 anni. 
I concetti di seguito considerati sono tuttavia in numero maggiore rispetto ai tipi lessicali qui computati, giacché alcuni di essi sono usati, con restrittori aggettivali o nominali, per designare più concetti: per es.  derr ‘maiale’, derr porkuspin ‘istrice’, derra-dhindjë ‘porcellino d’India’, ecc. ; pulë ‘gallina’, pul-uji ‘gallinella d’acqua’; kuk ‘civetta’, kuku me vesht ‘gufo comune’, ecc. Non sono state computate, altresì, le forme diminutive (quali, per esempio, ljeparush ‘leprotto’ dim. di ljepur ‘lepre’, ecc.; derriçel ‘maialino’ dim. di derr ‘maiale’) e accrescitive (quali, per esempio, kaqicac ‘agnellone’ accr. di kaqic ‘agnello’, ecc.).
Per la trascrizione delle forme arbëreshe si userà l’alfabeto albanese che presenta, per la maggior parte dei fonemi, puntuali corrispondenze con i grafemi dell’alfabeto italiano. Per i grafemi e i digrammi corrispondenti a pronunce diverse o non presenti nel sistema italiano, si considerino le seguenti relazioni: c [ʦ], ç [ʧ], dh [ð], ë [ə], g [g], gh [ɣ], gj [ɟ], h [x], j [j, ʝ], hj [ç], k [k], ll [ɣ], nj [ɲ], q [c], s [s], sh [ʃ], th [θ], x [ʣ], xh [ʤ], z [z]. La vocale finale, separata da un trattino, rappresentata l’articolo determinativo (nominativo singolare): -i e -u sono articoli si nomi maschili;-(j)a è sono articoli di nomi femminili; non occorrono, tra i tipi lessicali qui contemplati, nomi neutri (-t). Gli articoli (i/e) precedono aggettivi rispettivamente maschili (i) e femminili (e);  non occorrono, tra i tipi lessicali qui contemplati, aggettivi neutri (të).
Più spesso, anche tra gli anziani, questa locuzione è reinterpretata paretimologicamente con derra-derra data l’assonanza con l’alb. derra ‘maiali’, ben conosciuto e usato.
Il VS non registra per cavaḍḍina (s. f.) il significato assunto nella varietà arbëreshe qui considerata, ma  – sulla scorta di (???)  e di (???)(sec. XVII e XVIII) quello di ‘mandria di cavalli’. Il sic. cavaḍḍina ha, invece, più frequentemente un uso aggettivale. Tra questi musca c. ‘tafano’, da cui l’arb. mizë kavalinie, dove, tuttavia, il restrittore è nominale (prop. ‘mosca di equini’) e non aggettivale.
Tali potrebbero essere occorrenze del tipo: brumbulli isht un insetto çë fluturon ‘il calabrone è un insetto che vola’; i rettili ndrrojën likurën ‘i rettili cambiano la pelle; ecc. Si veda, tuttavia, la nota 11.
Oggi ricorre solitamente il singolare del tipo qe-u, formato sul plurale (qe < sing. ka), probabilmente in ragione dell’uso di accoppiare questi animali al giogo. L’originaria forma del singolare (ka) si mantiene, tuttavia, cristallizzata nel nome polirematico dell’‘orzaiolo’ siu-kau (prop. ‘occhio di bue’).
I concetti relativi a animali quali, per esempio, ‘aquila’, ‘vipera’, ‘lupo’, ‘volpe’, ecc., sono generalmente noti anche a chi non ne abbia mai visto un esemplare.
Il tipo albanese derr, che designa comunemente il ‘maiale’,  è usato – anche senza il restrittore agg. i egër ~ sarvaç ‘selvatico’ – con il significato di ‘cinghiale’ soprattutto dai cacciatori. Più comunemente occorre il tipo romanzo (u) çingjali, con l’articolo preposto e dunque senza adattamento al sistema flessivo nominale dell’albanese. Così anche il romanzo (u) lupu, che sostituisce l’albanese ulk-u, ancora conosciuto dai più anziani, ma poco usato. Si tratta, in questi casi, di fenomeni la cui valutazione (prestiti di recente acquisizione che denotano la fusione dei microsistemi della determinazione nominale? Fenomeni di code-mixting?) si presenta piuttosto complessa. Per un primo approccio alla questione, cfr. (???).
Tra i cacciatori la ‘lepre’ viene scherzosamente chiamata skarpar-i (< sic. scarparu), prop. ‘calzolaio’.
V. nota 11.
Tra i cacciatori la ‘volpe’ viene scherzosamente chiamata xhuan-a (< sic. Giuanna), prop. ‘Giovanna’.
Il (???) s.v. ggiacaluni registra surci gg. con il significato di ‘ghiro’ per Roccapalumba (PA) e per Isnello (PA), oltre che sulla scorta di (???).  Il nome di questo roditore occorre, benché sempre meno frequentemente e sempre più oscuramente, nell’espressione flë si mi xhahallun ‘dormire come un ghiro’.
Il tipo lessicale xarrakan, la cui origine rimane oscura, è conosciuto ormai soltanto da pochi anziani. 
Probabilmente, il nome di questo insetto è motivato dai colori (rosso e bianco) della sua livrea, che ricorda quelli del costume tradizionale della sposa.
Oggi il consumo di anguille  – pescate un tempo soprattutto nelle acque che confluiscono nel vicino lago di Piana degli Albanesi  – è quasi del tutto in disuso. V. nota 24.
Il tipo albanese è, in verità, dallandishe. Nelle varianti kallandriq/e-ja e, soprattutto, kallandrish/e-ja sembra avere influito il romanzo (sic. kallandrun) ‘calandra’.
Questo tipo lessicale, non riscontrato in altre varietà albanesi,  sembra formato sull’alb. krie ‘testa’ + suffisso -(r)in con probabile valore dim. in verità non riscontrabile in altre formazioni nominali della parlata qui considerata. Il tipo arb. krierin sembrerebbe, comunque, un calco dal sic. tistuliḍḍa (prop. ‘testina, testolina’) gheppio’.
Forma metatetica del più comune alb. lakuriq.
In queste categorie i prestiti siciliani si limitano, come si è visto, al nome del ‘tacchino’ (nie < sic. nia; ghalinaç < sic. gallinàcciu) e a quello del ‘caprone’ (bek < beccu) che compete con l’alb. cujap.
L’esperienza del ‘pidocchio pollino’ era piuttosto comune fino agli anni ’60, allorquando in molte famiglie si allevavano , anche in prossimità delle abitazioni, le galline.
Si consideri che la cultura alimentare tradizionale della comunità è legata all’esperienza montana. Ancora fino agli anni ’70 del secolo scorso, il consumo di pesce era limitato a poche varietà vendute in paese dagli ambulanti, tutti forestieri (e pertanto significativamente chiamati litinj  prop. ‘Latini’). L’unico pesce pescato (nelle foci che confluiscono nel vicino lago) era, come si è detto (v. nota 18), l’anguilla, che conserva il nome alb. ngjal-a.
La carpa, poco apprezzata nella cucina locale, è il pesce più comune nelle acque del lago di Piana degli Albanesi.
I gasteropodi sono ancora molto apprezzati nella cucina locale.
Questo tipo lessicale non è registrato dal (???) né sembra essere stato rilevato nelle indagini siciliane dell’Atlante Linguistico della Sicilia (cfr. (???)). Tuttavia, non è improbabile che l’arb. qaparrin possa originare da una formazione nominale ormai scomparsa nelle varietà siciliano, sulla base di un sic.*acchia(ppa)parrinu costituito da acchappari  ‘acchiappare, ghermire, colpire’ + parrinu ‘prete’, allo stesso modo del sic. strangugghja-parrinu (prop. ‘strozzaprete’) che ha dato origine all’arb. stranguj ‘gnocchi’.
L’arb. nìur non si spiega con il sic. nìgghiu ‘nibbio’. Potrebbe trattarsi di una formazione paretimologica sul sic. nìuru ‘nero’ (partic. per il ‘nibbio bruno’).
Il tipo bedirrus sembra forma paretimologica sul sic. beḍḍu ‘bello’.
Il tipo arb. è certamente formato dal sic. pìula, con un suff. accr. -ac (< sic. -azz/u-a). Il VS registra, tuttavia, soltanto il f. pìula come «den. di alcuni uccelli titonidi, strigidi e corvidi, dei quali  […] barbagianni […] civetta […] cornacchia» dunque non falconiformi qual è la ‘poiana’.
V. nota 11.
Kaqic è forma metatetica di kaciq, che nelle altre varietà albanesi designa, però, il ‘capretto’.
Dim. di ljepur ‘lepre’ con il suffisso alb. -ush, ormai del tutto improduttivo, giacché si ritrova cristallizzato in pochissime forme nominali.
Derriçel è dim. – con suffisso -çel < sic.-(c)eḍḍ(a) – di derr ‘maiale. Il tipo kancirr (< sic. canzirru) è conosciuto, oramai soltanto da parlanti anziani, con il solo significato scherzoso di ‘moccioso’).
Questo tipo lessicale è ormai quasi del tutto caduto in disuso.
Il comunissimo nome del ‘cucciolo di cane’ (ghuc-i) è sicuramente un sicilianismo, benché per l’agg. guzzu il (???) registri (soltanto sulla scorta dei vocabolari secenteschi e settecenteschi (???), (???) e (???)) i significati di cani g. ‘botolo, cane piccolo ma di indole litigiosa e rabbiosa, che ringhia contro tutti’, e (sulla scorta degli ottocenteschi (???) e (???)) il fig. ‘piccolo di statura, corto, basso’
Più comunemente, gharmushel occorre con il significato, anch’esso siciliano, di ‘marmocchio’.
Questo nome è formato dal sic. menzu ‘mezzo’ e l’alb. kunill, sul tipo sic. menzucunìgghiu.
Il (???) non registra per fàrfaru l’accezione che qui ci interessa. Cfr., tuttavia, (???): 159), il quale contempla, tra i diversi nomi del ‘furetto giovane’ anche fàrfaru.
Dim. di fàrfaru. V. nota precedente.
La tassonomia scientifica dei mantelli degli animali – e particolarmente di quella degli equini – è assai più complessa di quella qui considerata, che farà riferimento soltanto ai nomi riscontrati durante l’inchiesta sul campo e dunque, alla tassonomia adottata dai parlanti intervistati. 
Il sicilianismo mirrin designa alcuni mantelli composti binari riferibili a varie sfumature del ‘grigio’ (dal chiaro allo storno, dal pomellato al moscato). Ai nomi di questi manti principali si aggiunga il sicilianismo shkav  (< sic. scavu) con il quale gli anziani contadini designavano – oltre a una persona di carnagione scura – un cavallo dal muso nero.  A Geraci Siculo (PA), (???) registra l’agg f. scava ‘di capra dal manto nero’.   
Pinzirita designa, nel lessico specialistico italiano, una razza ovina autoctona siciliana.  Il (???) registra pinziritu (soltanto per Mistretta-ME e Bivona-AG) agg. ‘di ovini con macchie nere sulla faccia’. Tra i pastori di Piana degli Albanesi ricorre pincirite e kuqe (con lentiggini rosse) o pincirite e zezë (con lentiggini nere).
Molto probabilmente da un sic. *milatu ‘color del miele’ (non registrato dal (???)), giacché per la denominazione del ‘miele’ è comunemente usato l’alb. mjajt.
Prop. ‘monaca’.
L’arb. marcilluar sembra formato sul sic. *marziloru non attestato, però, dal (???) che registra le forme marzolu, marzulinu, marzuḍḍu per animali, formaggi, frutta, nati, prodotti o che maturano nel mese di marzo.
Il (???) s.v. lacciuni2 riporta soltanto quanto registrato nel dizionario inedito di (???), ossia ‘agnello che non ha ancora compiuto sei mesi’. Per i pastori di Piana degli Albanesi llaçun designa un agnello partorito tardivamente a maggio e che, dunque, in estate non ha ancora lana sufficiente per essere tosato. Gli agnelli nati a maggio, tuttavia, raramente rimangono in vita fino al periodo della tosatura, poiché sono solitamente destinati alla macellazione in ragione della difficoltà di trovare erba tenera al momento dell’eventuale svezzamento che avverrebbe tra giugno e luglio. 
Questi agnelloni sono generalmente destinati alla macellazione.
La prima fecondazione può avvenire già dal compimento del sesto mese di vita. Nel caso dell’allevamento brado o semibrado è tuttavia correlata alla disponibilità di erba fresca. Il (???) registra rrinisca ma non *rriniscotta. La forma arb. rrinishkote presenta, dunque, lo stesso suffisso -ot(e) [< -ott(o/a)] diminutivo-vezzeggiativo che ricorre anche con i nomi albanesi vajz(ote) ‘ragazz(otta)’, djal(ot) ‘ragazz(otto)’, kopil(ot/e) ‘giovin(ett-o/a)’. Cfr. anche stripote (< sic. strippotta) dim. di stripe ‘di animale lattifero che, non ingravidato per una stagione, non produce provvisoriamente latte’.
L’agg. furçilat(e) designa ovicaprini i cui picozzi presentano la cosiddetta ‘coda di rondine’, cioè un’incrinatura a forma di V, che è segno di vecchiaia e che compare in genere dopo i 5-6 anni d’età. Questo aggettivo – benché non registrato dal VS con l’accezione che ci interessa – è, dunque, certamente un derivato da sic. furceḍḍa ‘forcella’.
V. nota 46.
V. nota 50.
Agg. deverbale da alb. pièll ‘figliare’.
V. nota 49.
Deverbale da alb. dredhi ‘torcere’. L’aggettivo designa, infatti, animali – spec. giovani montoni –  castrati con il metodo della torsione endocrinale. Più generico è il significato dell’alb. shëronj ‘castrare’ (e dell’agg. i shëruam ‘castrato’) conosciuto e usato soltanto dai più anziani e generalmente sostituito dal sicilianismo zgujar (< sic. scugghiari) ‘castrare’ (con agg. zguj / i zgujarm ‘castrato’).
Questo aggettivo –  denominale da sic. latt-i con suff. -us(u/a)i ‘-oso’ –  non è registrato dal (???)Il mancato adattamento della laterale alveolare iniziale (l  [l]) alla fricativa velare (ll [ɣ], cfr., per es., llatare < sic. lattara; llunare < sic. lunara, ecc.) indica una formazione recente di questo aggettivo.
Questo tipo lessicale non è registrato dal (???). Tuttavia, (???) fa riferimento a cumpagnissu o cumpagnissa, a seconda del sesso del «vitello che prende latte da due madri» nella tecnica di lattazione del “falso vitello”.
L’arb. zdillanut è chiaramente formato su llanut (< sic. lanutu ‘che ha molta lana’), benché il (???) non registri la forma  *sdilanutu.
Questo aggettivo non è registrato dal (???). L’arb. fruntarele sembra, tuttavia, formato sul sic. frunti ‘fronte’, con la stessa motivazione dell’it. sfrontato.
Il (???) registra s.v. fuiutizzu, con diverse varianti, sulla scorta di vocabolari settecenteschi e ottocenteschi ((???), (???), (???), (???), (???)), con il solo significato di ‘fuggiasco, latitante’.
Riguardo alla donna il concetto di ‘partorire’ è comunemente espresso con l’eufemismo ble, prop. ‘comprare’, usato come assoluto, così come nel corrispettivo sic. accattari ‘compare’.
Per completezza, si riportano qui anche i nomi di altre parti del corpo umano non condivise dagli animali e pertanto non computate nelle valutazioni quantitative (v. tabb.). Sono tipi albanesi: krip-t ‘capelli’, dor-a ‘mano’, glisht-i ‘dito’, th/ua-oi ‘unghia’, burrul-i ‘gomito’, faq/e-ja ‘guancia’, ciner-i ‘ciglio’; sono sicilianismi: shpalun-i ‘spalla’, gharres-i / karin-a ‘schiena’ 
L’arb. peturin-i  (maschile, prob. per influenza dell’it. petto) ha assunto il significato generico di ‘petto’ (umano e animale) dal sic. pitturina / petturina ‘scherz. seno prosperoso’ e, primariamente, ‘pettino, pettorina’.
È sicuramente albanese il tipo vithe. Rimangono, in verità, oscuri i tipi kom e xambol che non sembrano, tuttavia,  riconducibili a varietà siciliane.
Si è ben consapevoli, infatti, che una tale distribuzione risulta più agevole nei casi estremi quali, per es. ‘gallina’ (concetto comune) vs. ‘maschio del germano reale’ (concetto specialistico); ‘vacca’ vs. ‘vacca che allatta un cucciolo non suo’; ‘pulcino’ vs. ‘pulcino di coturnice’; ecc.
Becco, caprone.
Con la particolare desinenza -ina (di matrice greca, tipica dell’area siciliana nord-orientale) con cui si designa la donna di una determinata famiglia.
Capra pazza.
Capra ghiotta.
Giovane montone.
Montone dimagrito, allampanato.
Montone spelacchiato, calvo.
Dagli occhi prominenti.
Donna della famiglia dei Muntuni (desinenza ina, di origine greca).
Agnello, ma può anche riferirsi a persona mansueta.
Con riferimento al mestiere, ma anche alla pratica di preparare pecorelle di marzapane nel periodo pasquale.
Pastore.
Con frusciari ci si può riferire a un forte flusso diarroico.
Pecora bianca.
Pecora gravida.
Riferito a pecora non fecondata, e perciò priva di latte (*EXSTIRPUS, Farè 3072).
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Insediamenti pastorali nel contesto urbano. Il caso dei „Mànnari“ di Caltavuturo, sulle Madonie

16. Gli insediamenti pastorali sulle Madonie

 

Gli ovili in pietra di Caltavuturo

Per secoli la pastorizia ha rappresentato una delle principali attività economiche delle Madonie132. Qui le particolari caratteristiche ambientali hanno consentito lo sfruttamento delle risorse della terra secondo precisi cicli annuali, scanditi dagli spostamenti verticali della transumanza. L'attività pastorale ha lasciato tracce importanti sul paesaggio, ma oggi, purtroppo, rimane ben poco, per diverse ragioni, la principale delle quali è da individuare nella "modernità", che ha determinato l'obliterazione della cultura e delle pratiche tradizionali.

Rimangono solo i resti di un’attività una volta fiorente: chi voglia fruirne (per ragioni "turistiche" o  "etnografiche") non può che operare come l’archeologo, attraverso, cioè, una attenta e intelligente lettura stratigrafica.

Fin dal tempo degli Aragonesi, che intorno al XV secolo operarono una profonda riorganizzazione delle attività pastorali nel Meridione d’Italia, i rilievi della Sicilia sono stati testimoni di periodici spostamenti di greggi e pastori dalla montagna alla marina e viceversa. «Le Madonie si possono considerare i rilievi maggiormente interessati alla transumanza: prati pianeggianti o in lieve pendio, ricchi sin dalla tarda primavera di erba fresca e abbondante, si alternano a balze scoscese e rocciose dove il pascolo, quando c’è, è costituito da arbusti residui della macchia mediterranea, piante di sottobosco» ((???)).

Tradizionalmente, nel corso dell’anno, i pastori praticavano quella che con termine dialettale è detta muta (--> Glossario), lo spostamento, cioè, delle greggi dalle aree di montagna alle aree di marina nel periodo tardo-autunnale e ritorno in montagna nel mese di aprile o nel mese di maggio:

[Trascrizione etnotesto raccolto a Petralia Soprana: sì, a muta si facìa, per diri, ora ri| si partiva nô misi di novìembri, primu, camora anu statu nâ muntagna. Sì. dicìemu, a sSavucheḍḍa, nê Madoniji, â Madonna ô l'atu, ora si nni scìnninu nâ marina; nâ marina dunni si scìnninë? si nni ponu scìnniri per e| secunnu dunni unu evìa, eviva u turrenë; comu si ni putìssiru scìnniri ô Munti di Cartavuturu, ch'era| comu si ni ponë scìnniri a gGranza (contrada nei pressi di Cerda), si nni ponu scìnniri â Petra, si ni ponë scìnniri, per diri, ê Vrignoli (= contrade nei pressi di Caltavuturo). Ho capito. E ssi dici::: mutari, quindi? ê ffari a muta.]

Tale condizione è ben testimoniata anche in un componimento di un poeta locale, Zefiro viene a maggio (1989), che descrive in versi il ritorno, il 24 maggio, di mandriani e mandrie nelle campagne di Geraci Sìculo:

Questa notte senti passare mucche, / campane mosse da passi. / Musica antica, penetra, prende. / C'è pure l'abbaio del cane / d'appresso. / Si sgavita la montagna il 24 maggio / non si sa da quanti secoli. / Transumanano mandrie / dalla marina, / vanno ad usare il civico pascolo / del monte, dopo quello invernale / del bosco basso. /Erba nuova. (Pietro Attinasi).

Gli spostamenti ciclici, tipici della piccola transumanza, hanno finito per determinare una specifica gestione dello spazio pastorale che, a sua volta, ha determinato la presenza in tutto il territorio delle Madonie di costruzioni provvisorie che rappresentano la testimonianza della presenza-permanenza dei pastori in certi luoghi in un dato periodo dell’anno.

I luoghi di ricovero e di caseificazione costituiscono l’unico segno della presenza dei pastori al di là del limitato periodo del loro sfruttamento. «Lo spostamento continuo di uomini e animali, alla ricerca a volte drammatica di erba fresca (tale essendo anche il nomadismo addomesticato in cui si identifica la transumanza meridionale), non rende conveniente approntare ovili in muratura in tutte le aree in cui si fa tappa durante i trasferimenti, anche perché questi avvengono per lo più su terreni presi in affitto. Allora si utilizzano locali e ricoveri preesistenti (come nel caso delle masserie di collina), oppure ci si limita a risistemare capanne di paglia e altri ripari effimeri: essi vengono annualmente riadattati al sopraggiungere degli animali, ed è raro che si costruiscano ripari ex novo. [...] I luoghi di ricovero degli animali che si incontrano in prevalenza nell’area sommitale delle Madonie sono articolati in due parti: il complesso dei recinti entro cui stanno rinchiusi gli animali nelle ore notturne [...]; una capanna di paglia [...] che, quasi addossata ai recinti, funge da riparo per i pastori e presenta una zona attigua dove si caseifica; una tettoia sopraelevata di frasche o lamiera, usata come deposito delle forme di cacio appena lavorate» ((???)).

Il complesso delle strutture comprendenti il luogo di abitazione dei pastori, i recinti di ricovero per le greggi e gli ambienti nei quali avvengono le operazioni di caseificazione è detto màrcatu (--> Glossario):

[Trascrizione etnotesto raccolto a Petralia Soprana: u màrcatu jenu a casa dunnu abbitàvanu, o puru u pagghiarë, ca tannu casi cci nn'èranu piccareḍḍa, allura cc'èranu i pagghiara; allura, nô pagghiarë u::: l'ovili, a mànnera; si dici màrcatu. Ho capito. Quindi è u mar| u màrcatu comprendi, unni stanu i pastori... dunni stannu i pìecuri, dunni stanu i pucurara e ddunni si fa u formàggiu.]

[Trascrizione etnotesto raccolto a Isnello: Quindi, u màrcatu, in generale, chi ccomprende u màrcatu? u màrcatu comprendi tutti cosi; eni u postu, u postu di rradunu i tutti cosi, a pprimu sa| aunni s'arrùnchiunu ârmali, aunni veni a muncitura e ddopu a ffiancu cci sunnu casi, pagliari, quello che| chiḍḍu chi cc'eni, le varie comodità dâ źźona chi cci sunnu [...] normali, i màrcati di stu tempu passatu, prima chi cc'èrunnu sti casi, picchì ora i màrcati quasi ca| quasi ca sunnu tutti moderni; [...] i màrcati antichi cc'era u pagliaru cu i jazza aunni si durmeva, e nn'àvuṭṛu pagliaru fora, n'àvuṭṛa speci di pagliaru che era fatto in forma quaḍṛatu soprattutto chi cc'era a  źźammatarìa di sotto, aunni| e a  źźammatarìa è aunni cc'èrunnu tutti i tini, quadari, tutto: tutto l'occorrente pi ffari a ṭṛasformazione dô latti, che cc'èrannu i tini, tauleri, fasceḍḍi, tutti cosi, e ddopu fora cc'èrannu i quadari pi ffari a rricotta, chi vvinèvunu murati:::]

I recinti di ricovero delle greggi (mànnari, --> Glossario) rappresentano, dunque, una delle “parti” in cui si articola il luogo delle attività pastorali diverse da quelle della custodia delle greggi, come la mungitura e la caseificazione, e il luogo di riposo notturno di uomini e animali. Ma il màrcatu in quanto tale, rappresentando una “costruzione” rurale, riconducibile alla campagna, o a quelle aree di sosta o tappa momentanea, prerogativa della pastorizia transumante, non ha ragione di esistere quando la pastorizia non è connessa a spostamenti ciclici entro distanze di diverse decine di chilometri.

I consistenti spostamenti di uomini e animali di cui, soprattutto in passato, sono stati testimoni i territori madoniti, valevano per la pastorizia che utilizzava pascoli di montagna situati tra i 1.200 e i 1.700 metri e che venivano sfruttati nei mesi più caldi dell’anno. In questo periodo, infatti, la disponibilità di foraggio fresco nelle zone più alte determinava il trasferimento delle greggi dalla marina verso la montagna. «In poche parole, gli animali avevano erba fresca disponibile (necessaria per produrre latte in abbondanza) da dicembre a luglio, inseguendola, è il caso di dire, alle varie altitudini» ((???)).

I pascoli di collina, invece, situati a un’altitudine che si aggira intorno ai 600 metri consentivano brevi trasferimenti, trovandosi i pascoli estivi e quelli autunno-primaverili a poca distanza gli uni dagli altri.

17. Le attività pastorali nel territorio di Caltavuturo

Se non coltivate, le campagne di Caltavuturo133, centro situato a un’altitudine di poco più di 600 metri sul livello del mare, presentano le caratteristiche di pascoli di collina. La posizione altimetrica di Caltavuturo ha finito, dunque, per determinare uno sviluppo particolare dell’attività pastorale: essa non ha richiesto la necessità di lunghi spostamenti in direzione della marina e viceversa.

A Caltavuturo è esistita (e continua residualmente a esistere) un’attività pastorale dalle proporzioni modeste e con rare soluzioni associative le cui piccole imprese, in genere, non contano più di un paio di centinaia di capi. Gli animali di alcune di queste imprese pastorali trovavano ricovero, fino a una ventina d'anni fa, negli ovili in pietra a secco, costruiti alla periferia nord del paese in Contrada Portella. Da qui i pastori di Caltavuturo partivano ogni mattina verso nord (marina) nei mesi freddi, fino ad aprile, e verso sud (montagna) nei mesi caldi (maggio, giugno). Essi pascolavano, cioè a un’altitudine compresa tra i 700 e i 900 metri, nel periodo tardo-­primaverile, mentre nel periodo invernale si spostavano verso Cerda o Scillato (a un’altitudine che varia tra i 300 e i 500 metri) ma “rientrando”, a sera, sempre nei recinti di Contrada Portella. Da metà luglio sino alla fine di ottobre, invece, i pastori erano soliti pascolare in terreni di proprietà situati nelle zone di maggiore altitudine.

A ben vedere, a differenza di quanto avveniva o avviene in altre aree delle Madonie, il trasferimento da Portella alla volta della montagna si verificava solo in piena estate, in coincidenza, per altro, col periodo dei ristucci (--> Glossario), i terreni di stoppie dove, nel periodo estivo, dopo il raccolto, vengono condotte le greggi per il pascolo. Gli animali rimanevano in montagna sino alla fine del mese di ottobre, quando venivano trasferiti nuovamente nei recinti di Portella.

Poiché tali recinti erano abbastanza vicini al centro abitato, non troviamo qui, quale segno dell’attività dei pastori, il màrcatu (--> Glossario) tradizionalmente inteso. Manca, infatti, il pagghiaru (--> Glossario)134 o comunque l’ambiente adibito a ricovero notturno del pastore, sostituito dalla propria dimora urbana, e il luogo di caseificazione, la zzammatarìa (--> Glossario), ambiente altrimenti ricavato all’interno della stessa dimora del pastore o in un’altra casa poco distante.

Per la complessa terminologia inerente ai processi di caseificazione e riguardante diversi punti delle Madonie, ivi compreso Caltavuturo, è possibile confrontare la Carta raggiungibile tramite il link riportato sotto. In essa le parole della caseificazione sono restituite secondo un modello cartografico che riprende quello elaborato e utilizzato nell'ambito del Progetto VerbaAlpina:

https://www.als-online.gwi.uni-muenchen.de/carta/

I recinti di Caltavuturo, che erano utilizzati per quasi tutto l’anno, appaiono singolari per almeno tre ragioni:

  1. si presentano inseriti nel contesto urbano;
  2. il loro uso non era limitato al tradizionale “periodo di marina”;
  3. presentano modalità costruttive uguali a quelle della pastorizia transumante, pur non essendo "figli" della pastorizia transumante135.

Se riandiamo alla collocazione spaziale dei recinti e allo sviluppo urbanistico del centro abitato, si comprende come l’intero quartiere denominato Mandrie, sviluppatosi a partire dall’inizio del 1800, dovesse rappresentare il “prolungamento” delle strutture di ricovero degli animali; si potrebbe dire tale quartiere e i recinti di ricovero costituissero un vero e proprio “màrcatu urbano”. Gli ovili in pietra, che qui sono effettivamente addossati alle case, dovevano assicurare ai pastori la possibilità di “controllare” gli animali rinchiusi, nonostante essi passassero la notte nella dimora di famiglia. Del resto, la necessità che gli ovili fossero posti al riparo dai venti di tramontana non poteva non far ricadere la scelta del luogo in cui costruirli proprio dove oggi li vediamo: verso levante, al riparo del terrazzo roccioso di Terravecchia.

Non è un caso che tutte le famiglie di pastori abbiano abitato il quartiere Mandrie. Evidenti ragioni funzionali ne offrono la spiegazione: se la caseificazione avveniva nella casa del pastore, la collocazione ideale era quella vicina ai recinti. È qui, infatti, che avveniva la mungitura ed è da qui che il latte veniva trasportato verso il luogo di lavorazione dei prodotti caseari. Il tragitto da compiere non poteva che essere breve e agevole. La triplice componente del màrcatu rurale (mànnari, pagghiaru, zzammatarìa) qui appare "ristrutturata" nel binomio ‘recinti di ricovero di Contrada Portella - case del quartiere Mandrie’ .

All'interno degli ovili "addossati" alle case del paese, il pastore, oltre a radunarvi le pecore per la mungitura e il ricovero notturno, vi svolgeva alcune attività stagionali come la tosatura. Tale attività dentro i mànnari è documentata nel video proposto di seguito e che è stato realizzato nella seconda metà degli anni Novanta con l'intento di documentare una pratica che già a quella altezza cronologica cominciava ad apparire come un'attività marginale e piuttosto residuale (attendere 10 secondi dopo l'avvio):


L’utilizzo dei recinti di pietre a secco per nove mesi l’anno appare spiegabile sia attraverso la già accennata posizione di collina del territorio caltavuturese, sia tenendo presente la caratteristica di punto strategico del luogo in cui si trovano le costruzioni. Proprio dal luogo denominato Portella si poteva, a seconda delle stagioni, “scendere” verso Scillato e Cerda (in direzione di Contrada Gurgo o percorrendo via Mandrie) ovvero “salire” verso le campagne di Pagliuzza, GangitaniCirasa. L’osservazione della distribuzione degli abbeveratoi nel territorio periurbano permette di individuare i tragitti di andata e ritorno compiuti quotidianamente dai pastori.

18. Struttura e articolazione degli ovili

Quanto alle modalità e alle tecniche costruttive impiegate dai pastori caltavuturesi per la realizzazione di queste strutture, i recinti di Portella hanno le stesse caratteristiche di quelli sparsi sul territorio rurale delle Madonie: sono costruiti con pietre a secco, quasi fossero strutture provvisorie, nonostante, come abbiamo già notato, venissero utilizzati per un arco di tempo che abbracciava gran parte dell’anno pastorale.

Vediamo ora da vicino le caratteristiche dei recinti dell'intero territorio delle Madonie. Ci accorgeremo ben presto come queste siano rilevabili anche nelle costruzioni poste alla periferia di Caltavuturo.

[Trascrizione etnotesto raccolto a Geraci Sìculo: ai tempi si facinu sti mànnari, i mura, dicìemu nuaṭṛi, i mura. quasi in forma rotonda, va, tunna, dicìemu nuaṭṛi, u zzàccanu (= recinto), u zzàccanu tunnu, no a lluna! a lluna:::: china però, a lluna china, chisti jè; e ssi facìa di petri cchiossà, picchì ai tempi i ggenti cci cummattìanu a ffari sti mànnari. e ssi facìanu di peṭṛi gati e ddi ncrapu si cci mittìanu âlastri ppi ffari stravìentə; nâ mànnera, ggiustamenti, picchì l'armali si mittìanu darrè u muru e ss'arriparàvanu dû friddu].

[Trascrizione etnotesto raccolto a Petralia Soprana: a mànnera sempri di circari u stravìentu, e ccircari u::: u pìezzi di terra dunn'è cchiù fforti (= stabile); di mmìernë circari a pinnenza, circari a cunzarra, circà| puji, secunnu il punto conni c'è| dunni cc'era a cur| a cunzarra, cc'era u stravìentu, e allura, lesta lesta, palacciuna, na cosa provisòriu, ruvuetta, un filu di cordaspina, si cci mittìanu e ssi cci mittìanu i macchiteḍḍi di| di cosi âppuiari âppuiari: alastri, trignola, lamanni, quello ca cc'era, abbasta ca avìan'i: i spintuna].

I recinti di Caltavuturo, dunque, rispondono perfettamente alle caratteristiche descritte tanto in (???) quanto nei testi orali dei pastori madoniti intervistati. Ma le loro modalità costruttive si adattano naturalmente alle specificità del territorio: di forma circolare o ellissoidale, sono costruiti al riparo dei venti tramontana, costituendo la roccia di Terravecchia, per la sua particolare morfologia, un’efficace protezione naturale; guardano verso levante; sono posti in pendenza, partendo dalla parte più alta della roccia e digradando fino al limite delle costruzioni urbane. Come è stato osservato, sono realizzati in pietra a secco, la cui ampia disponibilità ha consentito di pavimentarne l’interno per ridurre la formazione di liquami dovuti alle deiezioni delle bestie e all’acqua piovana (i massi si presentano appena sbozzati e spesso di dimensioni inferiori a quelli rilevabili in altri recinti del comprensorio).

Ogni mànnara presenta al suo interno una serie di sottoambienti (cfr. Glossario) destinati ad ospitare particolari categorie di animali (l’appinnata, ovile coperto per gli agnelli; la stripparìa, ambiente destinato a ospitare le pecore improduttive; la para, ambiente dove  le bestie “salivano” dopo essere state munte), oppure erano utilizzati per particolari operazioni come la mungitura. Tra tali sottoambienti, di particolare interesse è il mungitoio - vadili - posto all’interno della piccola mànnara dove veniva effettuata la mungitura:

[Trascrizione etnotesto raccolto a Gangi: E allura, st| st| st’ovili, - dicìemu - cùomu è ssistimatu, cuom’è ffattu? L'ovili sunu i vadili d'unni si mùncinu, poni èssiri, addipenni a guàrdia quant'è, quann' a vuàrdia è ggrossa, cci ni sunu cincu pùstura, cincu vadila cci sunu, o puramenti tri; maggior parti sempri dui cci nn'è, o di picca o d'assài, perlomè| ni funziònanu duji. però ai tìempi quannu cc'èranu na mànnera di setticintu crapi, o puri seicintu pìcuri, cc'èranu cinc| cincu vadila, cincu, si| sia vadili].

[Trascrizione etnotesto raccolto a Isnello: i vadila su ffatti tutti a ppeṭṛa, chi cc'è ffattu âssittaturi, i.. i cusciala, nghe i cusciala, i cusciala sèrvono per riparari tanti pidati macari dê piècuri, picchì quannu s'ammunzèḍḍanu (= si affollano) vicinu u vadili, sàtunu supra u chistianu. ddopu cc'è u ṭṛischiaturi che è aunni posa i pedi a pècura, e ppuè cc'è u sataturi ca eni na peṭṛa mittuta davanti, di parapettu â pècura, pi ffi| bbloccari a pècura, e ddopu sata e ssi nni va in|, ddopo chi vveni munciuta, sata e vveni| e ssi nni va inṭṛa:: a para].

Il vadili, dunque, è «una stretta apertura che la pecora è stimolata ad attraversare per guadagnare la libertà, oltre che per sottrarsi al bastone del pastore che ve la spinge appositamente. Il modo in cui esso è conformato consente all’addetto alla mungitura di tenerla immobile posteriormente, mentre la parte anteriore del corpo è già incastrata nella stretta apertura, dal momento che l’animale stava già guadagnando l’uscita» ((???)).

Il vadili è composto da varie parti: l’assittaturi, la pietra  sulla quale il pastore sedeva per la mungitura (--> Glossario); il trischiaturi, la pietra su cui la pecora poggiava le zampe durante la mungitura (--> Glossario); il sataturi, lo "scalino" in pietra che bloccava la parte anteriore del corpo della pecora la quale, una volta munta, lo scavalcava guadagnando l’esterno o il recinto di ricovero notturno (--> Glossario); i cusciala, le due pietre con cui il pastore riparava le proprie gambe durante la mungitura (--> Glossario); il çiscali, la pietra  dove poggiava la base del recipiente, che il pastore teneva tra le gambe, per la rac­colta del latte munto (--> Glossario); il parapìettu, il rialzo che reggeva la parte anteriore del recipiente in cui si munge, tenuto lateralmente tra le gambe del mungitore (--> Glossario).

Il vadili, sul lato destro del muro a secco

Il vadili dell'immagine precedente fotografato da Ugo Pellis nel 1940 (Archivio dell'ALI)

Le parti del vadili

Il luogo di mungitura mette in comunicazione il recinto dove si raccoglievano le bestie per essere munte con quello di ricovero notturno (para). Il vadili è sistemato sul lato opposto all’accesso di un piccolo recinto (mànnera i mùnciri, muncituri) - in alcuni casi ricavato all’interno del recinto di ricovero, in prossimità dell’ingresso (passu) - dove le pecore si raccoglievano prima di essere munte.

19. Dall’uso quotidiano alla fruizione culturale. Appunti per un Museo del pastore (e della parola) in situ

I mànnari rappresentano una testimonianza storica delle attività umane delle Madonie. Se è vero che la pastorizia reca la singolarità di essersi ben poco o per nulla trasformata fin dall’epoca preistorica, e di avere da sempre costituito una delle attività basilari dell’economia del Mediterraneo (cfr. (???)), è facile comprendere come gli ovili di Caltavuturo siano oggi, ancor prima che un bene antropologico, un bene archeologico, la cui valorizzazione può contribuire a ricostruire un pezzo di storia della civiltà mediterranea.

Ora, è vero che a determinare, nel corso dei secoli, la conservazione di questi monumenti è stato il loro uso. Oggi che la pastorizia si orienta verso altre forme di gestione, essi corrono il rischio della decadenza e dell’oblio, a meno che il superamento del loro “valore uso” non si converta in “valore segno”.

La presenza a Caltavuturo degli ovili in pietra (oggi “restaurati”136), e di altri manufatti che sono il segno delle peculiarità culturali di quella comunità, sollecita la costituzione di una realtà museale per la fruizione dei “reperti” contestuali all’universo pastorale. Sulla complessiva organizzazione museografica delle Madonie non ci soffermiamo, rimandando alla proposta in (???). Riteniamo, però, opportuno proporre un criterio complessivo di “guida alla visita” degli ovili di Caltavuturo che tenti di coniugare la fruizione museale con la visita all’ambiente, al luogo, cioè, dove i recinti sono costruiti.

La visita ai recinti di Portella potrebbe cominciare dal Museo del pastore, struttura auspicabile e non più procrastinabile, da allocare in una delle case adiacenti al complesso degli ovili. Qui il visitatore dovrebbe poter trovare una serie di reperti e documenti fruibili secondo una progressione tematica connessa ai diversi aspetti e alle diverse fasi della vita e delle attività pastorali. La documentazione del museo dovrebbe inoltre risultare dall'integrazione di dati relativi all'intera area madonita, in considerazione della significativa omegeneità culturale del territorio in questione.

Uno "schema" di tale fruizione può essere ricavato dalle Sezioni del questionario sulla pastorizia, redatto e utilizzato per le inchieste etnodialettali dell'Atlante Linguistico della Sicilia (cfr. (???)). Ciascuna delle sue sezioni, coincidente con gli aspetti principali della cultura pastorale, si configurerebbe quindi come una "teca" tematica, contenente manufatti e documenti (reali e/o virtuali) puntualmente "agganciati" alle parole della terminologia tecnica. Ogni "teca" sarebbe, dunque, riempita con i seguenti contenuti:

  1. Manufatti (attrezzi).
  2. Foto.
  3. Video.
  4. Schede (geo)linguistiche e etnografiche integrate o arricchite con stralci di etnotesti (file audio):  terminologia dell'universo pastorale resa in forma di schede lessicali - altra cosa dalle didascalie, queste ultime limitate alla semplice denominazione dei reperti; descrizioni di tecniche, pratiche e strumenti; curiosità.
  5. Carte geolinguistiche interattive concernenti le attività connesse allo spazio dei recinti: mungitura, caseificazione, tosatura (cfr. l'esempio presentato sopra, in § 2).

Di seguito si riporta, dunque, lo schema completo delle tappe di fruizione dei reperti del museo.

Sezione/Teca Sottosezione/Teca Reperti e documenti
1. Nomi degli animali in base all'età Foto: Esemplari di animali 

Schede lessicali: Pecora/capra di 1 anno; Pecora/capra di 2 anni; Pecora/capra di 3 anni; Pecora/capra di 4 anni; Pecora/capra di molti anni; Maschio della pecora, montone; Montone giovane da monta di 1-2 anni; Montone di 2-3 anni; Montone di 3-4 anni; Maschio della capra, becco; Becco giovane di 1-2 anni; Becco di 2-3 anni; Becco di 3-4 anni; Agnello, agnella, agnelli; Agnello appena nato; Agnello sino a un anno; Agnelli nati tra agosto e ottobre; Agnelli nati tra febbraio e aprile; Capretto; Capretto appena nato; Capretto sino a un anno

2. Il gregge  

 

 

 

 

 

 

Foto: Animali al pascolo

Schede lessicali: Gregge; Piccolo gregge; Maschio in pieno vigore; Gregge di un centinaio di capi; Gregge di 150-200 capi; Pecora/capra tranquilla; Pecora/capra irrequieta; Montone/becco tranquillo; Montone/becco irrequieto, rissoso; Agnelli/capretti destinati all'allevamento; Agnelli/capretti destinati alla macellazione; Montone/becco capofila del gregge; Cozzare l'uno contro l'altro, dei montoni o dei becchi; Capra senza corna; Becco senza corna; Montone con un solo testicolo; Montone privo di testicoli dalla nascita; Montone/becco ormai impotente per l'età avanzata; Il pelo delle pecore/capre; Barba del becco; Pendenti del becco; La pelle con la lana; Un ciuffo di lana; Gli zoccoli; Lo sterco delle pecore/capre; Sterco attaccato alla lana; Le bestioline che si attaccano alle pecore/capre

2a. Il cane e il suo ruolo nel gregge Foto: Cani nel gregge

Schede lessicali: Razze di cani

2b. Razze (pecore/capre) Schede lessicali: I nomi delle razze

Scheda etnografica: Rapporto tra nome delle razze e colore del vello

2c. Incitamenti e richiami File sonori
2d. I campani (tipi e funzioni) Manufatti: Collari; Campani; Campanacci

Foto: Tipi di campani

Schede lessicali: Nomi dei campani in base alle funzioni

Schede etnografiche: Tipi e funzioni dei campani; I motivi iconografici nelle incisioni dei collari; Tecniche di realizzazione dei collari

3. Malattie e rimedi ManufattoAttrezzo per praticare il salasso

Foto: Vedi manufatti e schede lessicali e etnografiche

Schede lessicaliAfta; Tetano; Pedàina; Diarrea; Malattie delle mammelle che fa scomparire il latte

Schede etnografiche: La cura della polmonite dei bovini con la Cicoria vessicaria; I Frati di Gibilmanna e la fornitura di erbe medicinali

4. L'accoppia-mento e gli impedimenti contraccettivi - La fecondazione Manufatto: Il "grembiule contraccettivo"

Foto: Vedi schede

Scheda etnograficaMetodi contraccettivi 

Schede lessicali: Pecora che non ha ancora figliato; Capra che non ha ancora figliato; Pecora/capra già pronta per essere montata; Pecora in calore; Montare; Ingravidare, fecondare; Pecora/capra gravida

5. Il parto e l'allattamento Reperto: Pelle dell'animale scuoiato

FotoVedi schede lessicografiche

Schede lessicali: Figliare/partorire; Pecora/capra che ha figliato in ritardo; Pecora/capra che ha già figliato; Pecora/capra che partorisce un solo agnello/capretto; Pecora/capra che partorisce due agnelli/capretti; Pecora/capra che partorisce due volte nel corso dell'anno; Aborto di pecora/capra; Pecora/capra sterile; Agnelli/capretti gemelli; Agnellino/capretto senza madre; Allattare; Poppare; Mammella della pecora/capra; Capezzolo; Pecora/capra lattifera; Pecora/capra non lattifera; Pecora/capra che allatta l'agnello/capretto di un altro animale; Il primo latte dopo il parto; Pecora/capra che allatta per un solo mese, il cui latte è destinato alla  preparazione del formaggio; Pecora/capra che allatta sino a 4-6 mesi; Pecora/capra che, prossima a figliare, non dà più latte: Svezzare; Agnellino svezzato

Schede etnografiche: Le pratiche di allattamento "forzato"; Pelle e vello dell'animale morto che si usa per allattare il cucciolo di una altro animale

6, La giornata del pastore Manufatti: Tipi di zufolo di canna; Tipi di bastone.

Etnotesti: Racconti e descrizioni

7. Gerarchie dell'azienda pastorale Schede lessicali: Gerarchie dei pastori; Pastore delle pecore lattifere; Pastore delle pecore improduttive; Pastore delle capre; Pastore degli agnelli; Pastore di molti animali; Pastore di pochi animali; Ragazzo aiutante
7.a Forme di mezzadria Manufatti: Esemplari di contratti agrari

Foto: Vedi Manufatti

Schede lessicali: Inventari; Affitti; Contratti; Divisione delle quote; Tipi di società pastorali; Turni di riposo

8. L'abbiglia-mento del pastore Manufatti: Scapolare di olbagio; Pantalone di pelle di capra; Rovescio della pelle dell'animale scuoiato; Mantello di tela cerata; Copricapo de pelle di capra; Scarpe di cuoio non conciato; Laccetti di cuoio ruvido; Gambali di olona; Vestito di velluto

Foto: Vedi manufatti

Schede lessicali: Vedi manufatti

Schede etnografiche: L'uso dell'olio di lino per impermeabilizzare i tessuti; La gualchiera

9. L'alimen-tazione del pastore Manufatti: Tascapane; Piatto per il pasto; coltello

Foto: Vedi manufatti; momenti di convivialità

 Scheda lessicale-etnografica: pasto caldo a base di ricotta, scotta latte e pano secco sminuzzato, consumato dai pastori a colazione

10. Il pascolo Foto: Terreni da pascolo alle diverse altitudini; "Paesaggi" del pascolo

Schede lessicali: Chi alleva le pecore/capre e le conduce al pascolo; Allevare (le pecore/le capre); Pascolo; Prima erba fresca dell'anno; Erba intatta; Erba calpestata; Far uscire le pecore/capre per il pascolo; Radunare le pecore/capre per il rientro dopo il pascolo; Le pecore/capre stanno pascolando; Brucare; Ruminare; Sorvegliare le pecore mentre pascolano; Pecora/capra è sazia; Il riposo degli animali all’ombra verso mezzogiorno; Abbeveratoi e altri luoghi dove si conducono a bere gli animali; Prendere in affitto un terreno a pascolo; Canone d'affitto

Schede etnografiche: Il pascolo: qualità, esposizione, accorgimenti e tecniche del pascolo, erbe buone ed erbe nocive

10a. La transumanza

Foto: Il "paesaggio" della transumanza

Scheda etnografica: Gli itinerari della transumanza sulle Madonie

10 b. L'ovile e l'addiaccio

Foto: Ovili sparsi sul territorio delle Madonie; gli ovili di Caltavuturo prima e dopo il restauro

Schede lessicali e etnografiche: Struttura, articolazione e parti degli ovili; Strutturazione e materiali usati: recinto di riposo, recinto di mungitura, ovile coperto, recinto per gli agnelli, recinto per i capretti, ovile per le pecore improduttive; Ricovero dei pastori; Luogo in cui si prepara il formaggio; Esposizione: Liquami e loro smaltimento

10c. La mungitura Manufatti: Recipienti per la mungitura; Forcella di legno con cui si blocca l'animale durante la mungitura;

Foto e disegni: Vedi manufatti; Fasi e tecniche

Video:  Fasi e tecniche

Schede lessicali e/o etnografiche: Mungere; Latte; Recipienti per la mungitura: tipi e funzioni; Lo zampillo del latte munto nel recipiente; La parte superiore del latte appena munto; Movimenti della mungitura: tirare, strizzare; Pecora/capra da mungere; Pecora/capra già munta; Mungitoio; Sedile del mungitoio; Parti del mungitoio; Forcella per bloccare la testa della pecora/capra durante la mungitura

Carte geolinguistiche: Rappresentazione cartografica della terminologia della mungitura sull'intera area madonita

 11. La tosatura ManufattiForbici; Quantità di lana tosata a una sola pecora; Gli attrezzi del "ciclo della lana", dalla tosatura alla filatura

Foto: Fasi, tecniche e luoghi della tosatura

Video: Fasi e tecniche della tosatura

Schede lessicali: Vedi manufatti; Tosare; Tosare soltanto la coda; Attrezzo usato per tosare; Affilare le forbici; Lana; Lana corta; Pecora ricca di lana; Lana sudicia; Quantità di lana tosata a una sola pecora; Tosare a fior di pelle

Schede etnografiche: Il "ciclo della lana"; Le feste durante e dopo la tosatura

Etnotesti: Racconti e descrizioni di tecniche e "ritualità" della tosatura

Carte geolinguistiche: Rappresentazione cartografica della terminologia della tosatura sull'intera area madonita

12. La marchia-tura

Manufatti: Esemplari di marchi patronali impressi a caldo

Foto: Tipi di marchi e tecniche di marchiatura

Schede lessicali e etnografiche: Marchiare; Marchio d'appartenenza; Marchio d'appartenenza che si fa tagliando o incidendo l'orecchio dell'animale; Marchio d'appartenenza che si effettua imprimendo con un ferro caldo le lettere iniziali del proprietario sulla carne viva delle bestie; Marchio che rende biforcata la punta dell'orecchio; Marchio che si effettua piegando l'orecchio dell'ovino e praticando un piccolo taglio sulla parte inarcata; Marchio che si effettua praticando un taglio in linea retta sulla parte curva vicina alla punta dell'orecchio: Marchio che si effettua praticando un taglio in linea retta sulle due parti curve vicine alla punta dell'orecchio; Marchio  che si effettua mozzando l'orecchio nella parte superiore; Marchio che si fa praticando un taglio a forma di angolo acuto a partire dal vertice dell orecchio; Marchio che si effettua mozzando la parte superiore dell orecchio; Marchio che si fa mozzando la parte superiore di un orecchio ed effettuando sull'altro orecchio un taglio che ne rende biforcata la punta

13. La castrazione

Manufatti: Attrezzi per la castrazione; Bastone ricurvo; Anello di corda; Canapa

Foto: Vedi manufatti

Etnotesti: Tecniche di castrazione

14. La macel-lazione

Manufatti: Strumenti per la macellazione

Foto: Vedi manufatti; fasi della macellazione

Schede lessicali: Macellare; Sgozzare; Sventrare; Le interiora (l'insieme; le varie parti); Scorticare, spellare

Schede etnografiche: tecniche e strumenti

15. La produ-zione del formaggio Manufatti: Contenitore del latte che serve per preparare il formaggio; Colatoio, strumento per filtrare il latte; Pezzo di stoffa fine per colare il latte; Caldaia grande; Caldaia piccola; Supporto della caldaia sul fuoco; Attrezzo usato per spostare la caldaia; Attrezzo usato per rimestare il latte; Recipiente per la lavorazione del formaggio. Roncola, attrezzo col cui dorso si sminuzza il presame; Contenitore per il caglio; Recipiente dove si riscalda l'acqua da versare nella cagliata. Strumento con cui si frantuma la cagliata; Attrezzo usato per estrarre il siero dal recipiente di lavorazione. Panno nel quale viene avvolta la cagliata; Piano di scolo sul quale viene riposta la cagliata; Falcetti e coltelli usati per tagliare in cubetti la cagliata; Fiscelle dentro le quali viene pressata la cagliata; Contenitori per il formaggio; Pietra levigata o pezzo di legno posto sul fondo delle fiscelle dove viene inserita la cagliata che, rendendo concava la base del formaggio, facilita la fuoriuscita della scotta

Foto: Vedi manufatti; Fasi del processo di caseificazione; Forme di formaggio fresco; Forme di Formaggio stagionato; Struttura e articolazione del luogo di stagionatura

Video: Fasi del processo di caseificazione

Schede lessicali: Vedi manufatti; Il luogo dove si fa il formaggio; Fare il formaggio. Presame; Triturare, sminuzzare il caglio; Sciogliere il caglio in acqua calda; Liquido residuo della cagliata; Travasare il siero nella caldaia; Estrarre il formaggio; Il liquido che continua a uscire dalla cagliata; Forma del formaggio; Formaggio fresco; Forma di formaggio; Piccola forma di formaggio; Crosta del formaggio; Formaggio stagionato; Formaggio andato a male (cause e denominazioni); Soluzione di sale in cui si immergono i formaggi; Formaggio sottoposto alla prima salatura; Formaggio salato per la seconda volta

Carte geolinguistiche: Rappresentazione cartografica della terminologia della caseificazione sull'intera area madonita

16. La produ-zione della ricotta Manufatti: Caldaio dove si produce la ricotta; Strumenti per rimestare e raccogliere la ricotta; Schiumarola; Recipiente a doghe con base ovale utilizzato per conservare la scotta inacidita; Secchi e contenitori; Recipiente che serve per staccare la ricotta dai bordi; Mestolo di rame; Fiscelle di giunco; Fiscelle di legno; Cilindro costituito di listelli di legno, apribile longitudinalmente, dentro cui si sistemano le ricotte nella prima fase della stagionatura; Ripiani in legno con sponde su cui viene trattata col sale la ricotta da stagionare; Piccola scopa utilizzata per pulire i recipienti per la caseificazione; Tela di canapa usata per coprire il recipiente con la cagliata o col formaggio da sterilizzare

Foto: Vedi manufatti; Fasi del processo di caseificazione; Forme di ricotta fresca; Forme di ricotta stagionata; struttura e articolazione del luogo di stagionatura

Video: Fasi del processo di caseificazione

Schede lessicali: Vedi manufatti; Coagularsi, della ricotta; Staccare la ricotta dai bordi della caldaia; Attaccarsi alla caldaia, della ricotta; Raccogliere la ricotta; Ricotta con la scotta; Il liquido residuo della ricotta (scotta); Versare il siero; Ricotta cotta al forno

4) carte geolinguistiche: Rappresentazione cartografica della terminologia della caseificazione sull'intera area madonita

19.1. Fruizione delle "teche" e visita agli ovili

Come si nota dallo schema proposto, molti dei documenti si sostanziano in schede linguistiche e testi orali. Riteniamo, infatti, che un così importante ambito della cultura materiale - come parte della più generale cultura dialettale - non possa essere documentato e fruito, prescindendo dall'universo etnodialettale all'interno del quale esso si inscrive (si confrontino gli esempi di integrazione tra informazioni linguistico-etnografiche e documenti orali riportati sopra, in § 1, § 2, § 3 a proposito di "concetti" come transumanza, complesso delle strutture di ricovero delle greggi e dei pastori e ambienti per la produzione dei formaggimungitoio, ovile). Oltretutto, si consideri, per esempio, che le complesse classificazioni tassonomiche, riguardanti i nomi degli ovini e dei caprini in base all'età, come pure i nomi e le classificazioni delle malattie, dei campanacci, degli attrezzi, delle tecniche, non potrebbero in nessun modo essere adeguatamente ricostruite e comprese qualora non venisse posto nel giusto rilievo l'elemento strettamente linguistico.  In aggiunta, si consideri che i numerosi etnotesti prodotti dagli stessi pastori e resi fruibili all'interno del percorso museale, permetterebbero al visitatore di accostarsi alla documentazione delle attività pastorali cogliendone le caratteristiche e le sfumature mediante la fruizione di una lunga  narrazione "dall'interno", offerta dai suoi (ex) addetti: la cultura pastorale raccontata dai suoi stessi rappresentanti. In tal modo, il Museo (etnografico) del pastore si costituirebbe al tempo stesso come  Museo (etnodialettale) della parola.

È stato osservato che le 16 teche, con le rispettive sottoteche, vanno considerate come il risultato dell'integrazione tra reperti reali e reperti virtuali. Immaginando che lo spazio museale consista in una sola ampia stanza dotata di quattro pareti, i reperti reali andrebbero distribuiti in modo tale che ciascuna parete contenga quelli di quattro teche per volta. Così in prossimità della prima parete andrebbero esposti i seguenti manufatti: collari, campani, campanacci (Sottoteca 2d.); attrezzo/i per praticare il salasso (Teca 3); "grembiule/i" contraccettivo/i (Teca 4). La parete potrebbe inoltre essere "arricchita" da una selezione di fotografie sempre relative alle prime 4 teche. I rispettivi documenti virtuali (foto digitali, schede linguistiche e/o etnografiche integrate di materiale audio) sarebbero invece allocati in un Totem di forma cubica (Totem 1), dotato di 4 Tablet (Tablet 1, Tablet 2, Tablet 3, Tablet 4, uno per lato, e relativo rispettivamente a Teca 1, Teca e Sottoteche 2, Teca 3, Teca 4). Sfogliando il Tablet 1, il visitatore fruirebbe dei documenti virtuali relativi alla prima teca; sfogliando il Tablet 2, egli fruirebbe di quelli della seconda, e così via. Analogamente per la seconda parete:  Manufatti e Foto: pelle dell’animale scuoiato (Teca 5); tipi di zufolo di canna, tipi di bastone (Teca 6); esemplari di contratti agrari (Sottoteca 7a); scapolare di olbagio, pantalone di pelle di capra, rovescio della pelle dell’animale scuoiato, mantello di tela cerata, copricapo di pelle di capra, scarpe di cuoio non conciato, laccetti di cuoio ruvido, gambali di olona, vestito di velluto (Teca 8). Documenti virtuali: foto digitali, schede lessicali e schede etnografiche integrate di materiale audio su "Parto e allattamento" (Totem 2: Tablet 1-Teca 5). E così via di seguito.

Conclusa, dunque, la visita museale (4 pareti, 4 totem - uno per parete -, 16 Tablet - quattro per Totem), seguirebbe la seconda tappa dell'itinerario: il visitatore farebbe ingresso nei recinti di pietre a secco per potere "riconoscere" e verificare in situ le varie parti e le relative funzioni degli ovili già documentate nel museo. Presso gli ovili alcune schede potrebbero indicare la denominazione delle diverse componenti (si pensi ai nomi delle pietre che compongono il vadili o ai nomi degli ambienti della mànnara).

All’interno degli spazi coperti e degli stessi recinti andrebbero esposti ulteriori reperti dell’universo pastorale in modo da integrare o completare la fruizione.

Fasi dell’attività pastorale come la mungitura, la tosatura, o anche soltanto la produzione in loco dei formaggi, potrebbero essere previste dentro l’itinerario. Anzi, forse, praticare l’attività pastorale a scopi didattici e turistico-culturali, e non più (soltanto) economico-produttivi, potrebbe costituire una delle sue possibili forme di evoluzione.

Dall’uso al segno e, per converso, dal segno al riuso.

20. Glossario

Di seguito sono riportati i termini dialettali riguardanti il complesso e le diverse parti degli ovili in pietra. Sotto ciascuna entrata sono presentate le varianti, lessicali e semantiche, raccolte anche negli altri centri delle Madonie. I punti di inchiesta (cfr. (???)) sono citati mediante un numero a tre cifre (che riprende la numerazione dell'Atlante Linguistico della Sicilia), seguito dall'abbreviazione del nome del luogo, secondo il seguente schema di corrispondenze:

261 Scla = Sclàfani Bagni, 262 Calt = Caltavuturo, 263 Scill = Scillato, 264  Coll =  Collesano, 265 Camp. R. = Campofelice di Roccella, 266 Làscari = Làscari, 267 Cef = Cefalù, 268 Gra = Gratteri, 269 Isn = Isnello, 270 Poli = Polizzi Generosa, 271 Csll = Castellana Sicula, 273 Alim = Alimena, 274 Bomp = Bompietro, 272 Blu = Blufi, 275 Sop = Petralia Soprana, 275a Raf = Raffo, 276 Sott = Petralia Sottana, 277 Gan = Gangi, 278 Ger = Geraci, 279 Cast = Castelbuno, 280 Smau = San Mauro Castelverde, 281 Poll = Pòllina

appinnata f. (262 Calt), pënnata (281 Poll), pinnata (264 Coll, 277 Gan, 278 Ger, 279 Cast) ◙ (262 Calt, 264 Coll) stalla a loggiato delle mucche. 2. (262 Calt, 264 Coll, 277 Gan, 278 Ger, 281 Poll) tettoia sostenuta da legni a forcella e approntata con rami, arbusti e ramaglie, adibita a riparo delle bestie o (279 Cast) a luogo di caseificazione.

assittaturë m. (279 Cast), assittaturi (261 Scla, 262 Calt, 263 Scill, 264 Coll, 268 Gra, 269 Isn, 270 Poli, 271 Csll, Alim, 274 Bomp, 275 Sop, 277 Gan, 278 Ger), ssittaturë (281 Poll), ssittaturi (276 Sott) ◙ sedile in pietra su cui il pastore sta seduto durante la mungitura.

çiscalë m. (279 Cast, 281 Poll), çiscali (263 Scill), hiscali (271 Csll, 273 Alim, 274 Bomp, 275 Sop, 276 Sott, 277 Gan, 278 Ger), hiscaturi (275 Sop), jiscali (277 Gan, 278 Ger) ◙  pietra piatta dove poggia il recipiente per la mungitura che il pastore tiene tra le gambe.

cuscialë m. (279 Cast, 281 Poll), cusciali (261 Scla, 263 Scill, 268 Gra, 269 Isn, 270 Poli, 271 Csll, 273 Alim, 274 Bomp, 275 Sop, 276 Sott, 278 Ger) ◙ ciascuno dei due appoggi laterali in pietra di cui è provvisto il sedile del mungitoio.

mànnara f. (264 Coll, 274 Bomp, 279 Cast,), mànnëra (281 Poll), mànnera (264 Coll, 267 Cef, 269 Isn, 275 Sop), mànnira (262 Calt, 264 Coll, 267 Cef, 269 Isn, 279 Cast, 281 Poll) ◙  (262 Calt, 264 Coll, 267 Cef, 274 Bomp, 281 Poll) addiaccio, recinto privo di ripari dove si rinchiude il bestiame di notte. 2. (264 Coll) recinto per gli agnelli o i capretti. 3. (268 Gra, 279 Cast, 281 Poll) luogo all’aperto non recintato, situato nei pressi del ricovero dei pastori, dove le mucche passano la notte e dove vengono munte. Anche (264 Coll, 279 Cast) u chian’â mànnira. 4. ovile in pietra, di forma circolare o ellittica, spesso sovrastato da rovi, dove si mungono e si rinchiudono pecore e capre. ● mànnera d’âgnìeḍḍi (275 Sop) settore dell’ovile di ridotte dimensioni, talvolta provvisto di tettoia, dove si rinchiudono gli agnelli. ● mànnera di mùnciri (269 Isn) piccolo recinto, talvolta ricavato all’interno del ricovero, dove si raccolgono le bestie per avviarle alla mungitura. ● mànnir’ê mùnciri (279 Cast) la parte del recinto in pietra, separata dal resto, dove vengono munte pecore e capre.

màrcatë m. (275 Sop, 279 Cast, 281 Poll), màrcatu (262 Calt, 263 Scill, 269 Isn, 270 Poli, 271 Csll, 273 Alim, 274 Bomp, 272 Blu, 275 Sop, 275a Raf, 276 Sott, 277 Gan, 278 Ger), màrchitu (264 Coll), màrcutu (261 Scla, 264 Coll, 268 Gra, 269 Isn, 277 Gan, 280 Smau) ◙ ovile, complesso delle strutture comprendenti le abitazioni dei pastori, il luogo di ricovero delle greggi e quello di caseificazione. ● furriarë màrcat’e mmulina (279 Cast), furriari setti màrcat’e un mulinu (262 Calt) stare sempre in giro. ● màrcati e mmulina vacci di matina (276 Sott, 272 Blu) per certi lavori è necessario iniziare di buon mattino. ● màrcatu e mmulinu cori ranni (276 Sott) negli allevamenti e nei mulini bisogna essere magnanimi. 2. (261 Scla, 262 Calt, 264 Coll, 270 Poli, 273 Alim, 274 Bomp, 276 Sott, 277 Gan, 278 Ger) luogo di caseificazione. ● cu va a mmàrcatu mància rricotta (262 Calt) chi si reca in un caseificio è naturale che mangerà ricotta; chi ha le mani in pasta ricava sempre qualcosa. 3. (270 Poli, 273 Alim, 274 Bomp, 276 Sott) allevamento, azienda pastorale. 4. (273 Alim) grande estensione di terreno incolto. 5. (273 Alim) capanna dei pastori.

muncituri (262 Calt, 263 Scill, 264 Coll, 275 Sop), mungituri (273 Alim) ◙ recinto di mungitura.

pagghiaru m. (261 Scla, 262 Calt, 263 Scill, 270 Poli, 271 Csll, 275 Sop, 276 Sott, 278 Ger), pagliarë (281 Poll), pagliaru (264 Coll, 269 Isn, 277 Gan, 280 Smau), pajjarë (279 Cast), pallaru (273 Alim, 274 Bomp) ◙ capanna, abituro di campagna o di montagna, costituito da una base in muratura a secco e da una intelaiatura laterale di pali ricoperti con uno spesso strato di ginestre e frasche, utilizzato dai contadini o dai pastori per ripararsi, per trascorrervi la notte o come luogo di deposito e caseificazione. 2. (262 Calt, 264 Coll, 269 Isn, 271 Csll, 273 Alim, 275 Sop, 277 Gan, 279 Cast) capanna di rami e fogliame dove vengono lavorati i latticini.

para f. (262 Calt, 268 Gra, 269 Isn, 275 Sop, 277 Gan, 279 Cast) ovile costituito da un recinto in pietra a pianta circolare o ellittica sormontato da rovi, dove gli animali passano la notte.

parapìettë m. (279 Cast, 281 Poll), parapìettu (262 Calt, 263 Scill, 264 Coll, 270 Poli, 275 Sop, 278 Ger), parapièttu (273 Alim, 274 Bomp), parapittu (277 Gan) ◙ (264 Coll, 270 Poli, 271 Csll, 273 Alim, 274 Bomp, 275 Sop) davanzale in pietra che, durante la mungitura, blocca l’animale che, una volta munto, lo scavalca guadagnando l’esterno o il recinto di ricovero notturno. 2. (262 Calt, 263 Scill, 277 Gan, 278 Ger, 281 Poll) rialzo in pietra che regge la parte anteriore del recipiente in cui si munge, che lateralmente è tenuto tra le gambe del mungitore. 3. (279 Cast) pietra sporgente del mungitoio posta in modo da separare il secchio dalle zampe posteriori dell’animale da mungere.

passë m. (279 Cast, 281 Poll), passu (262 Calt, 268 Gra, 269 Isn, 275 Sop, 277 Gan, 278 Ger, 280 Smau) ◙ apertura del recinto di ricovero degli animali d’allevamento. ● passu dâ mànnera (269 Isn), passu dâ para (269 Isn) apertura dell’ovile. ● passu di varili (280 Smau) ciascuno dei piccoli corridoi costruiti dentro l’ovile, attraverso i quali passano, ad una ad una, le pecore e le capre per essere munte.

ristùccia f. (273 Alim, 274 Sop, 276 Sott), rristùccia (262 Calt, 269 Isn, 279 Cast) ◙ terreno di stoppie dove vengono condotti gli animali a pascolare, dopo la mietitura.

sataturë m. (279 Cast), sataturi (262 Calt, 268 Gra, 269 Isn, 275 Sop) ◙ rialzo in pietra del mungitoio che, durante la mungitura, blocca la parte anteriore del corpo della pecora o della capra. 2. (268 Gra) varco attraverso cui passano, una alla volta, le pecore o le capre per essere munte.

ṣṭṛipparìa f. (262 Calt) recinto per il ricovero delle pecore che non producono latte.

trischiaturi m. (271 Csll, 270 Poli, 273 Alim, 276 Sott), ṭṛischiaturë (279 Cast), ṭṛischiaturi (262 Calt, 268 Gra, 269 Isn, 273 Alim, 270 Poli) ◙ pietra piatta del mungitoio su cui la pecora o la capra poggia le zampe durante la mungitura.

vadilë m. (279 Cast, 281 Poll), vadili (261 Scla, 262 Calt, 263 Scill, 264 Coll, 267 Cef, 269 Isn, 270 Poli, 271 Csll, 273 Alim, 274 Bomp, 275 Sop, 276 Sott, 277 Gan, 278 Ger), varili (264 Coll, 267 Cef, 280 Smau) ◙ mungitoio in pietra. 2. (270 Poli, 271 Csll) l’apertura che la pecora attraversa dopo essere stata munta, guadagnando l’esterno o il luogo di ricovero notturno. anche (279 Cast) cùoḍḍṛë dû vadilë, (281 Poll) cùoḍḍṛû vadilë. ● cuḍḍû vadili (277 Gan), cuòḍḍû vadili (278 Ger), cuòḍḍu dû vadili (268 Gra) il rialzo in pietra che durante la mungitura blocca la parte anteriore del corpo della pecora o della capra.

źźammatarìa f. (263 Scill, 264 Coll, 268 Gra, 269 Isn, 270 Poli, 271 Csll, 275 Sop, 279 Cast), źźammaterìa (277 Gan, 281 Poll) ◙ locale dell’azienda pastorale in cui avviene la caseificazione.

Bibliographie

  • Giacomarra 1983 = Giacomarra, Mario (1983): I pastori delle Madonie. Ambiente, tecniche, società, Palermo.
  • Giacomarra 2000 = Giacomarra, Mario (2000): Le Madonie. Culture e società, Petralia Sottana, Ente parco delle Madonie.
  • Giacomarra/Sottile 1997 = Giacomarra, Mario / Sottile, Roberto (1997): Madonie. I pastori e le ragioni dell'ambiente, Palermo, Ispe Archimede.
  • Sottile 2002 = Sottile, Roberto (2002): Lessico dei pastori delle Madonie, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani.
  • Sottile/Genchi 2011 = Sottile, Roberto / Genchi, Massimo (2011): Lessico della cultura dialettale delle Madonie. II. Voci di saggio, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani.
  • Villa u. a. 1992 = Villa, P. / Brochier, J. / Giacomarra, M. (1992): Shepherds and Sediments: Geoethnoarchaeology of Pastoral Sites, in: Journal of Anthropological Archaeology, 11.
Fra chi parla mandinka in Gambia e nella regione di Casamance (nel sud del Senegal) kankurang è uno spirito incarnato da un danzatore mascherato, considerato il principale custode delle celebrazioni dell’etnia mandingo come il rito della circoncisione e della celebrazione del matrimonio. I mandingo ritengono che il kankurang può curare l’infertilità nelle donne.
Si tratta di due località poste agli estremi del Paese.
Per il termine cf. Krefeld (???).
Molto di quanto qui scritto nasce dal nostro lavoro al progetto Network of Knowledge (2012-2016, finanziamento FWF) e all’Hugo-Schuchardt-Archiv (???). Quest'ultimo presenta l'opera omnia schuchardtiana, le relative recensioni e diverse edizioni dal suo epistolario, costituito da oltre 13.000 lettere e cartoline a lui indirizzate e conservate presso la biblioteca universitaria di Graz (cf. (???)), cui si aggiungono numerose lettere e cartoline scritte da Schuchardt rinvenute in biblioteche e archivi europei e non. Alla fine del 2018 oltre 6000 lettere erano disponibili in edizione digitale.
Consultabile in forma digitalizzata al sito NavigAIS
Quando non diversamente indicato, il numero corrisponde a quello con cui sono archiviati i pezzi di corrispondenza ricevuti da Schuchardt presso la Biblioteca universitaria di Graz, Hugo Schuchardt Nachlass.
Questo si concretizzava da una parte in un fitto scambio epistolare tra scienziati di diverse discipline, dall'altra nei diversi circoli, società e associazioni accademici, come p. es. la società antropologica di Vienna (???).
Non è certo questa la sede per approfondire la storia di tale approccio, per cui rinviamo alle pubblicazioni già citate, ma anche alle collezioni, visitabili in via telematica, di oggetti di interesse etnografico di Hugo Schuchardt (Volkskundemuseum Wien) e di Rudolf Meringer (Institut für Kulturanthropologie und Europäische Ethnologie der Universität Graz) e al carteggio tra Schuchardt e Meringer (???).
Cf. l’edizione (non commentata) in Melchior (???).
Carteggio parzialmente edito in Heinimann ((???), (???)).
La corrispondenza è stata analizzata nell'ambito di una Seminararbeit presso l'Institut für Sprachwissenschaft, ma è tuttora inedita.
L’edizione critica del carteggio è di prossima stampa (???).
Nonostante la corrispondenza tra Schuchardt e Puşcariu continui con discreta costanza fino al 1926, non vi sono cenni al progetto dell'Atlasul lingvistic român, per il quale nel 1922 erano cominciate le inchieste.
È evidente che vi è una reciproca interdipendenza e non possono essere considerati come "passi di lavoro" (sempre) nettamente distinti l'uno dall'altro. Tale distinzione ci pare tuttavia funzionale per capire meglio gli spunti di riflessione teorica che ne nascono.
Weigand raccolse personalmente i dati per il suo atlante nel corso di otto viaggi in loco a partire dal 1895. La pubblicazione dell'atlante avvenne dapprima a fascicoli, dal 1898, e poi in volume nel 1909. Il paradigma neogrammaticale godeva allora ancora di un forte consenso, soprattutto a Lipsia, alma mater di Weigand. Le inchieste per l'AIS, pubblicato a partire dal 1928, furono invece effettuate da tre esploratori appena dopo la fine della Prima Guerra mondiale, a partire dal 1919, in una fase dunque in cui l'approccio di Wörter und Sachen era già stato pienamente recepito dai linguisti svizzeri e non solo.
Gli otto volumi dell'AIS abbracciano 1705 carte, ciascuna delle quali comprende 405 punti d'inchiesta; il Linguistischer Atlas des dacorumänischen Sprachgebiets, in un unico volume, comprende 67 carte che si basano su 752 punti (!) di inchiesta, in cui i materiali vennero raccolti in un tempo assai breve e quasi esclusivamente da Weigand stesso.
Quelli dell'AIS erano di stampo lessicologico-culturale, oltre che fonologico e morfosintattico, nell'atlante di Weigand prevale invece l'interesse fonologico-storico.
Base per le inchieste dell'AIS fu il Fragebuch, elaborato sul modello di quello concepito per l'ALF, mentre Weigand, che pur aveva grande esperienza di lavoro con questionari, si prepose di raccogliere "Normalwörter" che potessero venire utilizzati spontaneamente all'interno di discorsi con gli informanti (per maggiori dettagli sulla metodologia e gli obiettivi dell'atlante romeno cf. (???), per l'AIS cf. (???)).
Meno intensa è la coeva corrispondenza tra Schuchardt e Jaberg: ai diciotto pezzi di corrispondenza di mano di Jaberg conservati a Graz si aggiungono solo tre indirizzati da Schuchardt al collega bernese.
Non si trovano invece spunti metodologici legati alla concezione dell'impresa atlantistica - Weigand sembra piuttosto preoccupato di tenere al corrente Schuchardt dei progressi nel lavoro, annunciandogli la pubblicazione delle diverse sezioni; cf. per esempio la lettera del 2 dicembre 1899 (n° 12704) in cui gli chiede se abbia avuto occasione di scorrere la seconda sezione dell'atlante, appena pubblicata, invitandolo a farne una recensione sul Centralblatt - desiderio che Schuchardt non esaudirà.
Weigand dedicò molto spazio alla descrizione dei suoi viaggi, come nel seguente esempio: "Für die Pferde ist es eine harte Arbeit, auf dem in Schlangenlinien sich windenden Pfade die Berge zu erklettern. Doch mit bewundernswerter Ausdauer überwinden sie alle Anstrengungen. Auf der Höhe ist eine Quelle "Kodru mare = großer Berg“ genannt. Ein überraschender Anblick bietet sich dort dar. Gerade vor uns, scheinbar sehr nahe, liegt V.L. auf halber Bergeshöhe, wie an die Felsen angeklebt. [...] Ein schmaler, gefährlicher Saumpfad führt in einem Stündchen nach V.L. (???).
Nonostante Jud tragga ispirazione dalle idee schuchardtiane, egli fa cenno all''impresa dell'atlante solamente a inchieste iniziate, il 21 agosto 1919 (n° 05195), e appena un anno dopo ne svelerà alcuni parametri, riconoscendo come l'impresa sia debitrice, nella sua concezione, all'insegnamento di Schuchardt: "Das Questionnaire umfasst etwa 2500 Wörter und Sätze: wir hoffen nichts wesentliches ausgelassen zu haben. Neben diesem Normalquest. existiert ein erweitertes Questionn. mit etwa 5000 Wö. u. Fragen, die er auf seiner ganzen Reise an 20 Punkten abfragen soll. In Bünden ist dies im Münstertal und in Lenz (bei Thusis) geschehen. An jedem Ort soll er eine Anzahl Photos von Geräthen aufnehmen, die als Bilderatlas einst veröffentlicht werden sollen. Das ist die teilweise Verwirklichung Ihrer Idee: Sprach- und Bilderatlanten. (n° 05204, 14 aprile 1920)".
Schuchardt (???) scrive "Und in der That finden wir noch auf dieser Seite der Gebirgshöhe Ortschaften deren Sprechweise der französischen Schriftsprache entschieden näher steht als der italienischen. Aber wo sollen wir den Grenzpfahl in den Boden stossen? Etwa da wo wir den Schweinehirten seine Thiere nicht mehr i porci sondern lus cusciuns, les cochons nennen, oder da wo wir zuerst ein Kind von seinem Vater nicht mehr als mio padre, sondern als mon paire, mon père sprechen hören? Ich befürchte, es möchte dabei der besondere Geschmack eines jeden zu Tage kommen".
Jud ritorna su questo punto nella sua lettera del 25 dicembre dello stesso 1917, contrastando in parte la Sprachverwandtschaft schuchardtiana (???): [...] Der Widerspruch bewegt sich in der Richtung, dass ich gerne gesehen hätte, welches die Wahl der Merkmale sein muss, um von einer stetigen geographischen Abstufung reden zu können. [...] Ich gebe zu, dass bei „ungestörten“ Verhältnissen sich die geographische Abstufung mit der sprachlichen in correlatem Verhältnis befindet: aber hat die sprachliche Betrachtung je mit solch primitiver Lagerung zu untersuchen Gelegenheit? Und ist es nicht gerade eines der reizvollsten Probleme zu zeigen – was Sie am Schlusse so eindringlich betonen – dass Sprachgeschichte Volksgeschichte oder besser Geschichte der Sprechenden einer Volksgenossenschaft oder der Menschheit ist? Ist die Gruppierung der italischen Mundarten nicht auch ein Capitel der Geschichte der Italienisch Sprechenden?" (n° 05188)
A questo riguardo si vedano anche le interessanti osservazioni di Goebl (???) sul progetto del Glossaire des patois romands de Suisse sotto l'egida di Louis Gauchat.
Le carte di prova per "Sense und Sichel" che arrivarono a Graz più tardi sono conservate nel lascito di Schuchardt all'interno della sezione Werkmanuskripte al numero d'archivio 17.6.1.6.
In una lettera presumibilmente databile all'inizio del 1921 e sicuramente posteriore alla ricezione delle carte di prova, Schuchardt fa riferimento a possibili migliorie nella rappresentazione delle cose e delle parole sulla carta, che l'ormai quasi ottantenne dovette consultare con l'ausilio di una lente d'ingrandimento.
Ritorna poi sull'argomento oltre due anni dopo, : "Ich kann nur selten und nur wenig arbeiten. Ins Romanische darf ich eigentlich gar nicht mehr hineinreden; wie ich Ihnen schon sagte, bilden der Atlas ling. und andere 'Wälzer' für mich fast unüberwindliche Hindernisse" (Archivio dell'AIS, Berna, lettera non numerata del 18 agosto 1919).
Esemplari di ciò possono essere considerati i cenni che fanno Jaberg/Jud (???) riguardo alla ricerca dell'editore e alle spese dell'AIS.
Così scrive Wunderli (???): "Projekte für einen derartigen Sprachatlas – u.a. den Atlante linguistico mediterraneo, den Atlante linguistico europeo usw. – hat es inzwischen verschiedene gegeben; keines davon ist jedoch auch nur annähernd zur Publikationsreife gediehen. Die Vision Schuchardts eines „übereinzelsprachlichen“ Sprachatlasses dürfte damit nach über hundert Jahren dem Bereich der Utopien zuzuordnen sein".
Il problema dei finanziamenti, a prima vista alleviato dalla raccolta dati tramite web, dunque resta, ma cambia fisionomia: se i costi per le esplorazioni possono essere notevolmente ridotti, ve ne sono altri, di concettualizazione e programmazione delle piattaforme che ospitano gli atlanti, di salvaguardia dei dati, oltre che, naturalmente, di personale scientifico e tecnico che monitora, adegua, rielabora, aggiunge, ecc. nell'ambito di progetti che, per loro natura, non possono mai dirsi conclusi.
Non entriamo qui nelle questioni riguardanti la conservazione e l'archiviazione a lungo termine di grandi quantità di dati, che senz'altro è un quesito di centrale importanza per tutti i progetti delle digital humanities, ma per il quale esistono già esempi di buone pratiche.
Altri problemi sono legati, per esempio, all'interpretazione dei dati forniti in maniera scritta - si pensi alle diverse grafie scelte per la rappresentazione di fonemi dialettali, qualora di questi non siano forniti anche realizzazioni foniche. Ciò comporta, in diversi casi, che tali dati possano essere utilizzati solo per un'analisi di tipo lessicale, ma restino preclusi allo studio fonetico-fonologico. Posto poi il caso che tali dati venissero corredati da registrazioni audio, quale sarebbe lo status da attribuire a queste, che, senza una trascrizione e interpretazione da parte dello scienziato, resterebbero piuttosto dati "grezzi"?
Data la dinamicità e apertura dei nuovi progetti diviene ozioso chiedersi, come invece fecero Jaberg und Jud, se il materiale raccolto sia adeguato a rispondere a interessi scientifici diversi, in quanto esso può continuamente essere integrato e rimodellato.
Eterogeneità che caratterizza anche altri progetti atlantistici: si pensi per es. all'ASLEF (???) o all'ALI (???), che presenta anche dati raccolti in precedenza in altri atlanti. Nonostante le diverse fonti siano indicate, la rappresentazione cartografica appiattisce monodimensionalmente i diversi dati.
Come osservano (???), la natura sfumata dei confini del discorso politico implica che tali confini possano essere di volta in volta ridefiniti a seconda di che cosa si intenda per ‘politica’ e dunque di che cosa si voglia includere in tale dominio. In teoria, gramscianamente, potremmo dire che “tutto è politica” e dunque dovremmo/potremmo considerare proprio del discorso politico ogni testo che affronti tematiche che riguardino l’ambito della politica. Tuttavia, Nella concreta pratica analitica si tende a restringere il campo ai generi prototipici del discorso politico, distinguendo, ad esempio, fra discorsi attinenti l’attività politica istituzionale (parlamentare, governativa, delle figure ufficiali come i capi di stato ecc.), discorsi riguardanti l’attività dei partiti (campagna elettorale, dibattito interno, ecc.) e discorsi in cui la politica diviene oggetto di informazione (in tv, alla radio, sulla carta stampata, sul web).
Non intendo, in questa sede, addentrarmi nella discussione sulla differenza fra ‘testo’ e ‘discorso’. Benché non tutti gli studiosi siano d’accordo nel considerare i due termini come sinonimi, li userò qui, per una mera questione di praticità espositiva, in modo quasi intercambiabile, fermo restando che tenderò ad adoperare il primo quando vorrò riferirmi allo specifico prodotto dell’attività comunicativa, mentre ricorrerò al secondo quando farò specifico riferimento al processo che conduce alla costruzione del testo. Si veda su questo (???) e, per quanto riguarda più nello specifico l’ambito politico, (???). Al tempo stesso, seguendo la terminologia introdotta da Peter Koch (???), userò il termine ‘genere discorsivo’ in riferimento a quelle concrete attività discorsive che arricchiscono i tipi testuali astratti “di pratiche e di regole nate in un contesto storico particolare, ammettendo magari degli incroci tra le categorie astratte” (???).
Faccio qui riferimento al modello di analisi dell’argomentazione elaborato dalla cosiddetta ‘scuola olandese’ (???). Secondo questo modello, i discorsi argomentativi si dislocano lungo un continuum ai due estremi del quale si collocano rispettivamente i discorsi in cui prevale la componente dialettica e i discorsi in cui prevale la componente retorica. La prevalenza della prima si concretizza nei discorsi argomentativi improntati al confronto fra idee, il cui obiettivo è quello di convincere l’interlocutore della giustezza delle proprie posizioni. Questi discorsi sono caratterizzati dal fatto che i partecipanti si dispongono reciprocamente ad ascoltare ed eventualmente a riconoscere la ragionevolezza delle opinioni espresse dall’altro e, dunque a farsi convincere da quelle abbandonando le proprie. Sul piano della teoria politica, questo tipo di discorso argomentativo è quello più vicino al modello di democrazia deliberativa elaborato da Habermas. La prevalenza della seconda componente (quella retorica) si concretizza in discorsi tesi alla persuasione dell’uditorio, usando tutti i mezzi per screditare non solo le idee contrarie alle proprie, ma anche coloro che le professano. Sul piano più generale, si entra qui nel campo della propaganda.
A dire il vero, e per concedere le attenuanti alla categoria alla quale appartengo, gli studi di carattere più propriamente linguistico hanno adottato un modo di procedere più oggettivo, benché abbiano per lo più lavorato sulla descrizione sincronica o diacronica di peculiarità strutturali, che però restano sul piano dell’osservazione empirica, senza spingersi a tentare di giungere a una definizione generale dei caratteri del linguaggio politico.
Capostipite di questo filone di studi è considerato Lasswell (???).
Riporto una delle più note di queste invettive, quella che Pasolini rivolse ai leaders della Democrazia Cristiana: “[...] ogni volta che aprono bocca, essi, per insincerità, per colpevolezza, per paura, per furberia, non fanno altro che mentire. La loro lingua è la lingua della menzogna. E poiché la loro cultura è una putrefatta cultura forense e accademica, mostruosamente mescolata con la cultura tecnologica, in concreto la loro lingua è pura teratologia” (???).
Lorella Cedroni, filosofa della politica prematuramente scomparsa, ha il merito di aver introdotto in Italia la cosiddetta ‘politolingustica’, calco dal tedesco Politolinguistik, termine coniato nel 1996 da Armin Burkhardt per indicare un ambito di analisi interdisciplinare che si colloca al confine fra linguistica e scienze politiche. Essa può essere considerata da un lato come un’area di applicazione degli strumenti dell’analisi linguistica (in particolare della semantica e della linguistica testuale), dall’altro come un campo di interesse della scienza della politica applicato allo studio del linguaggio impiegato dagli attori politici.
Klemperer fa qui riferimento, sul versante della lingua del nazismo, a un verbo (gleichschalten, ‘sincronizzare’, livellare, ‘uniformare’), che secondo lo studioso è fortemente rappresentativa della mentalità nazista: “Par di vedere e di sentire il pulsante che fa assumere a persone, non a delle istituzioni, non a istanze impersonali, posizioni e movimenti automatici uniformi” (ivi: 188). Sul versante del modello linguistico sovietico, invece, l'Autore cita la metafora, attribuita a Lenin, secondo cui l’insegnante è una sorta di “ingegnere dell’anima”. Istituendo (in maniera un po’ forzata) un ragionamento sillogistico, se un ingegnere, che si occupa di solito di macchine, viene associato alla cura dell’anima, se ne dovrebbe concludere che l’anima è una macchina. In realtà, osserva Klemperer, l’uso di questo tipo di metafore nel contesto educativo sovietico si spiega con il fatto che la tecnica era, nell’URSS di quel tempo, considerata il mezzo che avrebbe garantito alle masse popolari la possibilità di liberarsi dalla schiavitù del bisogno e di raggiungere livelli di esistenza più degni della condizione umana.
Dopo la caduta del regime hitleriano, Klemperer riottenne la cattedra di filologia romanza al Politecnico di Dresda e, già alla fine del 1945, aderì al partito comunista. Dopo la sua fondazione ufficiale nel 1949, decise di rimanere nella DDR (Repubblica Democratica Tedesca), ricoprendo anche incarichi ufficiali in seno al mondo accademico di quel paese (traggo queste informazioni dalla postfazione alla quinta edizione italiana della LTI).
Un affresco a tinte fosche del circolo vizioso in cui la lingua della democrazia sarebbe caduta a causa dell’abuso (cioè dell’uso fine a se stessa) della retorica è in Thompson (???).
Edelman individua quattro stili distinti di linguaggio che strutturerebbero il processo politico: lo stile giuridico, lo stile amministrativo e lo stile della contrattazione.
Traggo questo stralcio dal più ampio brano riportato ne L’affaire Moro di Leonardo Sciascia (???).
Secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Interno (http://www.interno.gov.it/sites/default/files/dossier_viminale_ferragosto-dati_1_agosto_2017_31_luglio_2018.pdf) gli omicidi sono calati in un anno (luglio 2017-agosto 2018) del 15% (del 50% negli ultimi 10 anni), mentre i furti dell’8% (del 38% negli ultimi 10 anni).
http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=121167, ultima consultazione 28 ottobre 2018.
Il 20 agosto 2018 la nave della marina militare italiana Ubaldo Diciotti, che  quattro giorni prima aveva soccorso in mare 190 persone, giunge nel porto di Catania. Su ordine del ministero dell'Interno, i migranti sono stati trattenuti a bordo fino alla mezzanotte del 26 agosto. Da qui l'accusa di sequestro di persona rivolta al ministro Salvini. Nel marzo del 2019, il Senato della Repubblica ha negato l'autorizzazione a procedere nei suoi confronti.
Cfr. (???).
Per un quadro generale della vitalità del lessico nella cultura dialettale siciliana, cfr.  (???), il quale – negli ambiti della cultura materiale – attribuiva alla pastorizia una «Buona vitalità/Permanenza della terminologia».
Le informazioni lessicali contemplate in questo studio sono state reperite attraverso indagini sul campo, da me effettuate tra il 1989 e 1991, che hanno coinvolto 5 pastori, 4 contadini, 6 cacciatori e 5 casalinghe (mogli di pastori e contadini) di età compresa tra i 55 e i 90 anni. 
I concetti di seguito considerati sono tuttavia in numero maggiore rispetto ai tipi lessicali qui computati, giacché alcuni di essi sono usati, con restrittori aggettivali o nominali, per designare più concetti: per es.  derr ‘maiale’, derr porkuspin ‘istrice’, derra-dhindjë ‘porcellino d’India’, ecc. ; pulë ‘gallina’, pul-uji ‘gallinella d’acqua’; kuk ‘civetta’, kuku me vesht ‘gufo comune’, ecc. Non sono state computate, altresì, le forme diminutive (quali, per esempio, ljeparush ‘leprotto’ dim. di ljepur ‘lepre’, ecc.; derriçel ‘maialino’ dim. di derr ‘maiale’) e accrescitive (quali, per esempio, kaqicac ‘agnellone’ accr. di kaqic ‘agnello’, ecc.).
Per la trascrizione delle forme arbëreshe si userà l’alfabeto albanese che presenta, per la maggior parte dei fonemi, puntuali corrispondenze con i grafemi dell’alfabeto italiano. Per i grafemi e i digrammi corrispondenti a pronunce diverse o non presenti nel sistema italiano, si considerino le seguenti relazioni: c [ʦ], ç [ʧ], dh [ð], ë [ə], g [g], gh [ɣ], gj [ɟ], h [x], j [j, ʝ], hj [ç], k [k], ll [ɣ], nj [ɲ], q [c], s [s], sh [ʃ], th [θ], x [ʣ], xh [ʤ], z [z]. La vocale finale, separata da un trattino, rappresentata l’articolo determinativo (nominativo singolare): -i e -u sono articoli si nomi maschili;-(j)a è sono articoli di nomi femminili; non occorrono, tra i tipi lessicali qui contemplati, nomi neutri (-t). Gli articoli (i/e) precedono aggettivi rispettivamente maschili (i) e femminili (e);  non occorrono, tra i tipi lessicali qui contemplati, aggettivi neutri (të).
Più spesso, anche tra gli anziani, questa locuzione è reinterpretata paretimologicamente con derra-derra data l’assonanza con l’alb. derra ‘maiali’, ben conosciuto e usato.
Il VS non registra per cavaḍḍina (s. f.) il significato assunto nella varietà arbëreshe qui considerata, ma  – sulla scorta di (???)  e di (???)(sec. XVII e XVIII) quello di ‘mandria di cavalli’. Il sic. cavaḍḍina ha, invece, più frequentemente un uso aggettivale. Tra questi musca c. ‘tafano’, da cui l’arb. mizë kavalinie, dove, tuttavia, il restrittore è nominale (prop. ‘mosca di equini’) e non aggettivale.
Tali potrebbero essere occorrenze del tipo: brumbulli isht un insetto çë fluturon ‘il calabrone è un insetto che vola’; i rettili ndrrojën likurën ‘i rettili cambiano la pelle; ecc. Si veda, tuttavia, la nota 11.
Oggi ricorre solitamente il singolare del tipo qe-u, formato sul plurale (qe < sing. ka), probabilmente in ragione dell’uso di accoppiare questi animali al giogo. L’originaria forma del singolare (ka) si mantiene, tuttavia, cristallizzata nel nome polirematico dell’‘orzaiolo’ siu-kau (prop. ‘occhio di bue’).
I concetti relativi a animali quali, per esempio, ‘aquila’, ‘vipera’, ‘lupo’, ‘volpe’, ecc., sono generalmente noti anche a chi non ne abbia mai visto un esemplare.
Il tipo albanese derr, che designa comunemente il ‘maiale’,  è usato – anche senza il restrittore agg. i egër ~ sarvaç ‘selvatico’ – con il significato di ‘cinghiale’ soprattutto dai cacciatori. Più comunemente occorre il tipo romanzo (u) çingjali, con l’articolo preposto e dunque senza adattamento al sistema flessivo nominale dell’albanese. Così anche il romanzo (u) lupu, che sostituisce l’albanese ulk-u, ancora conosciuto dai più anziani, ma poco usato. Si tratta, in questi casi, di fenomeni la cui valutazione (prestiti di recente acquisizione che denotano la fusione dei microsistemi della determinazione nominale? Fenomeni di code-mixting?) si presenta piuttosto complessa. Per un primo approccio alla questione, cfr. (???).
Tra i cacciatori la ‘lepre’ viene scherzosamente chiamata skarpar-i (< sic. scarparu), prop. ‘calzolaio’.
V. nota 11.
Tra i cacciatori la ‘volpe’ viene scherzosamente chiamata xhuan-a (< sic. Giuanna), prop. ‘Giovanna’.
Il (???) s.v. ggiacaluni registra surci gg. con il significato di ‘ghiro’ per Roccapalumba (PA) e per Isnello (PA), oltre che sulla scorta di (???).  Il nome di questo roditore occorre, benché sempre meno frequentemente e sempre più oscuramente, nell’espressione flë si mi xhahallun ‘dormire come un ghiro’.
Il tipo lessicale xarrakan, la cui origine rimane oscura, è conosciuto ormai soltanto da pochi anziani. 
Probabilmente, il nome di questo insetto è motivato dai colori (rosso e bianco) della sua livrea, che ricorda quelli del costume tradizionale della sposa.
Oggi il consumo di anguille  – pescate un tempo soprattutto nelle acque che confluiscono nel vicino lago di Piana degli Albanesi  – è quasi del tutto in disuso. V. nota 24.
Il tipo albanese è, in verità, dallandishe. Nelle varianti kallandriq/e-ja e, soprattutto, kallandrish/e-ja sembra avere influito il romanzo (sic. kallandrun) ‘calandra’.
Questo tipo lessicale, non riscontrato in altre varietà albanesi,  sembra formato sull’alb. krie ‘testa’ + suffisso -(r)in con probabile valore dim. in verità non riscontrabile in altre formazioni nominali della parlata qui considerata. Il tipo arb. krierin sembrerebbe, comunque, un calco dal sic. tistuliḍḍa (prop. ‘testina, testolina’) gheppio’.
Forma metatetica del più comune alb. lakuriq.
In queste categorie i prestiti siciliani si limitano, come si è visto, al nome del ‘tacchino’ (nie < sic. nia; ghalinaç < sic. gallinàcciu) e a quello del ‘caprone’ (bek < beccu) che compete con l’alb. cujap.
L’esperienza del ‘pidocchio pollino’ era piuttosto comune fino agli anni ’60, allorquando in molte famiglie si allevavano , anche in prossimità delle abitazioni, le galline.
Si consideri che la cultura alimentare tradizionale della comunità è legata all’esperienza montana. Ancora fino agli anni ’70 del secolo scorso, il consumo di pesce era limitato a poche varietà vendute in paese dagli ambulanti, tutti forestieri (e pertanto significativamente chiamati litinj  prop. ‘Latini’). L’unico pesce pescato (nelle foci che confluiscono nel vicino lago) era, come si è detto (v. nota 18), l’anguilla, che conserva il nome alb. ngjal-a.
La carpa, poco apprezzata nella cucina locale, è il pesce più comune nelle acque del lago di Piana degli Albanesi.
I gasteropodi sono ancora molto apprezzati nella cucina locale.
Questo tipo lessicale non è registrato dal (???) né sembra essere stato rilevato nelle indagini siciliane dell’Atlante Linguistico della Sicilia (cfr. (???)). Tuttavia, non è improbabile che l’arb. qaparrin possa originare da una formazione nominale ormai scomparsa nelle varietà siciliano, sulla base di un sic.*acchia(ppa)parrinu costituito da acchappari  ‘acchiappare, ghermire, colpire’ + parrinu ‘prete’, allo stesso modo del sic. strangugghja-parrinu (prop. ‘strozzaprete’) che ha dato origine all’arb. stranguj ‘gnocchi’.
L’arb. nìur non si spiega con il sic. nìgghiu ‘nibbio’. Potrebbe trattarsi di una formazione paretimologica sul sic. nìuru ‘nero’ (partic. per il ‘nibbio bruno’).
Il tipo bedirrus sembra forma paretimologica sul sic. beḍḍu ‘bello’.
Il tipo arb. è certamente formato dal sic. pìula, con un suff. accr. -ac (< sic. -azz/u-a). Il VS registra, tuttavia, soltanto il f. pìula come «den. di alcuni uccelli titonidi, strigidi e corvidi, dei quali  […] barbagianni […] civetta […] cornacchia» dunque non falconiformi qual è la ‘poiana’.
V. nota 11.
Kaqic è forma metatetica di kaciq, che nelle altre varietà albanesi designa, però, il ‘capretto’.
Dim. di ljepur ‘lepre’ con il suffisso alb. -ush, ormai del tutto improduttivo, giacché si ritrova cristallizzato in pochissime forme nominali.
Derriçel è dim. – con suffisso -çel < sic.-(c)eḍḍ(a) – di derr ‘maiale. Il tipo kancirr (< sic. canzirru) è conosciuto, oramai soltanto da parlanti anziani, con il solo significato scherzoso di ‘moccioso’).
Questo tipo lessicale è ormai quasi del tutto caduto in disuso.
Il comunissimo nome del ‘cucciolo di cane’ (ghuc-i) è sicuramente un sicilianismo, benché per l’agg. guzzu il (???) registri (soltanto sulla scorta dei vocabolari secenteschi e settecenteschi (???), (???) e (???)) i significati di cani g. ‘botolo, cane piccolo ma di indole litigiosa e rabbiosa, che ringhia contro tutti’, e (sulla scorta degli ottocenteschi (???) e (???)) il fig. ‘piccolo di statura, corto, basso’
Più comunemente, gharmushel occorre con il significato, anch’esso siciliano, di ‘marmocchio’.
Questo nome è formato dal sic. menzu ‘mezzo’ e l’alb. kunill, sul tipo sic. menzucunìgghiu.
Il (???) non registra per fàrfaru l’accezione che qui ci interessa. Cfr., tuttavia, (???): 159), il quale contempla, tra i diversi nomi del ‘furetto giovane’ anche fàrfaru.
Dim. di fàrfaru. V. nota precedente.
La tassonomia scientifica dei mantelli degli animali – e particolarmente di quella degli equini – è assai più complessa di quella qui considerata, che farà riferimento soltanto ai nomi riscontrati durante l’inchiesta sul campo e dunque, alla tassonomia adottata dai parlanti intervistati. 
Il sicilianismo mirrin designa alcuni mantelli composti binari riferibili a varie sfumature del ‘grigio’ (dal chiaro allo storno, dal pomellato al moscato). Ai nomi di questi manti principali si aggiunga il sicilianismo shkav  (< sic. scavu) con il quale gli anziani contadini designavano – oltre a una persona di carnagione scura – un cavallo dal muso nero.  A Geraci Siculo (PA), (???) registra l’agg f. scava ‘di capra dal manto nero’.   
Pinzirita designa, nel lessico specialistico italiano, una razza ovina autoctona siciliana.  Il (???) registra pinziritu (soltanto per Mistretta-ME e Bivona-AG) agg. ‘di ovini con macchie nere sulla faccia’. Tra i pastori di Piana degli Albanesi ricorre pincirite e kuqe (con lentiggini rosse) o pincirite e zezë (con lentiggini nere).
Molto probabilmente da un sic. *milatu ‘color del miele’ (non registrato dal (???)), giacché per la denominazione del ‘miele’ è comunemente usato l’alb. mjajt.
Prop. ‘monaca’.
L’arb. marcilluar sembra formato sul sic. *marziloru non attestato, però, dal (???) che registra le forme marzolu, marzulinu, marzuḍḍu per animali, formaggi, frutta, nati, prodotti o che maturano nel mese di marzo.
Il (???) s.v. lacciuni2 riporta soltanto quanto registrato nel dizionario inedito di (???), ossia ‘agnello che non ha ancora compiuto sei mesi’. Per i pastori di Piana degli Albanesi llaçun designa un agnello partorito tardivamente a maggio e che, dunque, in estate non ha ancora lana sufficiente per essere tosato. Gli agnelli nati a maggio, tuttavia, raramente rimangono in vita fino al periodo della tosatura, poiché sono solitamente destinati alla macellazione in ragione della difficoltà di trovare erba tenera al momento dell’eventuale svezzamento che avverrebbe tra giugno e luglio. 
Questi agnelloni sono generalmente destinati alla macellazione.
La prima fecondazione può avvenire già dal compimento del sesto mese di vita. Nel caso dell’allevamento brado o semibrado è tuttavia correlata alla disponibilità di erba fresca. Il (???) registra rrinisca ma non *rriniscotta. La forma arb. rrinishkote presenta, dunque, lo stesso suffisso -ot(e) [< -ott(o/a)] diminutivo-vezzeggiativo che ricorre anche con i nomi albanesi vajz(ote) ‘ragazz(otta)’, djal(ot) ‘ragazz(otto)’, kopil(ot/e) ‘giovin(ett-o/a)’. Cfr. anche stripote (< sic. strippotta) dim. di stripe ‘di animale lattifero che, non ingravidato per una stagione, non produce provvisoriamente latte’.
L’agg. furçilat(e) designa ovicaprini i cui picozzi presentano la cosiddetta ‘coda di rondine’, cioè un’incrinatura a forma di V, che è segno di vecchiaia e che compare in genere dopo i 5-6 anni d’età. Questo aggettivo – benché non registrato dal VS con l’accezione che ci interessa – è, dunque, certamente un derivato da sic. furceḍḍa ‘forcella’.
V. nota 46.
V. nota 50.
Agg. deverbale da alb. pièll ‘figliare’.
V. nota 49.
Deverbale da alb. dredhi ‘torcere’. L’aggettivo designa, infatti, animali – spec. giovani montoni –  castrati con il metodo della torsione endocrinale. Più generico è il significato dell’alb. shëronj ‘castrare’ (e dell’agg. i shëruam ‘castrato’) conosciuto e usato soltanto dai più anziani e generalmente sostituito dal sicilianismo zgujar (< sic. scugghiari) ‘castrare’ (con agg. zguj / i zgujarm ‘castrato’).
Questo aggettivo –  denominale da sic. latt-i con suff. -us(u/a)i ‘-oso’ –  non è registrato dal (???)Il mancato adattamento della laterale alveolare iniziale (l  [l]) alla fricativa velare (ll [ɣ], cfr., per es., llatare < sic. lattara; llunare < sic. lunara, ecc.) indica una formazione recente di questo aggettivo.
Questo tipo lessicale non è registrato dal (???). Tuttavia, (???) fa riferimento a cumpagnissu o cumpagnissa, a seconda del sesso del «vitello che prende latte da due madri» nella tecnica di lattazione del “falso vitello”.
L’arb. zdillanut è chiaramente formato su llanut (< sic. lanutu ‘che ha molta lana’), benché il (???) non registri la forma  *sdilanutu.
Questo aggettivo non è registrato dal (???). L’arb. fruntarele sembra, tuttavia, formato sul sic. frunti ‘fronte’, con la stessa motivazione dell’it. sfrontato.
Il (???) registra s.v. fuiutizzu, con diverse varianti, sulla scorta di vocabolari settecenteschi e ottocenteschi ((???), (???), (???), (???), (???)), con il solo significato di ‘fuggiasco, latitante’.
Riguardo alla donna il concetto di ‘partorire’ è comunemente espresso con l’eufemismo ble, prop. ‘comprare’, usato come assoluto, così come nel corrispettivo sic. accattari ‘compare’.
Per completezza, si riportano qui anche i nomi di altre parti del corpo umano non condivise dagli animali e pertanto non computate nelle valutazioni quantitative (v. tabb.). Sono tipi albanesi: krip-t ‘capelli’, dor-a ‘mano’, glisht-i ‘dito’, th/ua-oi ‘unghia’, burrul-i ‘gomito’, faq/e-ja ‘guancia’, ciner-i ‘ciglio’; sono sicilianismi: shpalun-i ‘spalla’, gharres-i / karin-a ‘schiena’ 
L’arb. peturin-i  (maschile, prob. per influenza dell’it. petto) ha assunto il significato generico di ‘petto’ (umano e animale) dal sic. pitturina / petturina ‘scherz. seno prosperoso’ e, primariamente, ‘pettino, pettorina’.
È sicuramente albanese il tipo vithe. Rimangono, in verità, oscuri i tipi kom e xambol che non sembrano, tuttavia,  riconducibili a varietà siciliane.
Si è ben consapevoli, infatti, che una tale distribuzione risulta più agevole nei casi estremi quali, per es. ‘gallina’ (concetto comune) vs. ‘maschio del germano reale’ (concetto specialistico); ‘vacca’ vs. ‘vacca che allatta un cucciolo non suo’; ‘pulcino’ vs. ‘pulcino di coturnice’; ecc.
Becco, caprone.
Con la particolare desinenza -ina (di matrice greca, tipica dell’area siciliana nord-orientale) con cui si designa la donna di una determinata famiglia.
Capra pazza.
Capra ghiotta.
Giovane montone.
Montone dimagrito, allampanato.
Montone spelacchiato, calvo.
Dagli occhi prominenti.
Donna della famiglia dei Muntuni (desinenza ina, di origine greca).
Agnello, ma può anche riferirsi a persona mansueta.
Con riferimento al mestiere, ma anche alla pratica di preparare pecorelle di marzapane nel periodo pasquale.
Pastore.
Con frusciari ci si può riferire a un forte flusso diarroico.
Pecora bianca.
Pecora gravida.
Riferito a pecora non fecondata, e perciò priva di latte (*EXSTIRPUS, Farè 3072).
Ricadente nella provincia di Palermo, il territorio delle Madonie  è situato tra la costa e l'entroterra palermitano, tra il messinese e il nisseno-ennese. Si tratta di un'area montana, in buona parte sottoposta a vincolo ambientale, caratterizzata da tre nuclei montuosi, i più alti dei quali raggiungono la quota di quasi duemila metri: il settore centrale, delimitato a sud dal Piano della Battaglia e costituito dal Pizzo Carbonara, dalla Mùfara e dalla Quacella; il settore sud-orientale, che comprende il Monte San Salvatore, il Fanusi e il Cavallo; il settore occidentale, comprendente e il Monte Cervi e il relativo pianoro. A questi si aggiunge il rilievo isolato di Pizzo di Pilo nell'area di nord-est. Il territorio comprende una ventina di centri abitati disposti tra i 400 e i 1200 metri, tutti di piccole dimensioni (per lo più con popolazione intorno a 4000 abitanti).
Con una popolazione di poco meno di 4.000 abitanti, il centro insiste sulla sub-area occidentale delle Madonie.
La capanna che si vede in Figura 1 è una costruzione "fittizia", realizzata durante dei lavori di consolidamento del sito, cfr. nota 5.
Non sono, infatti, costruiti su terreni presi in affitto, non hanno caratteristiche di provvisorietà essendo stati assegnati da tempo ai pastori, sicché ad ogni azienda corrispondevano una o più mànnari considerati e sentiti come una proprietà.
Sul finire degli anni Novanta, gli ovili sono stati oggetto di un intervento di consolidamento e restauro conservativo da parte dell'’Ente Parco delle Madonie. In tale contesto il sito è stato dotato di un impianto di illuminazione, di una serie di camminamenti in pietra, di una capanna di paglia, inesistente, quest'ultima quando i recinti erano ancora usati dai pastori per ricoverarvi le greggi.
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(L’)Hubac (du) Bleu

21. Vorbemerkung: Mikroskopie - Laster oder Askese?

Der Untertitel dieses vielleicht etwas unkonventionellen Beitrags137 ist als eine freundliche Warnung zu verstehen. Der Verfasser weiß sehr wohl, dass nach dem in neuerer Zeit wieder zu größeren Ehren kommenden Hugo Schuchardt Mikroskopie und Makroskopie in der Wissenschaft idealiter eine "paritätische Verbindung" (???) eingehen sollten. Im Folgenden wird jedoch der Sünde der Mikroskopie hemmungslos gefrönt - nein, nicht ganz hemmungslos, denn die Umfangbegrenzung setzt dem Ausleben des vermeintlich positivistischen Lasters der Detailverliebtheit, ja -versessenheit eine soziale Grenze. Roland Barthes hingegen hat sich viel später als Schuchardt hinter "gewissen" Buddhisten versteckt, um die schier unerschöpfliche Versenkung ins Detail als das Ergebnis nicht etwa der Sünde, sondern der Askese zu nobilitieren. Er sagt nämlich – nein, er berichtet, dass man sagt –, dass "à force d’ascèse certains bouddhistes parviennent à voir tout un paysage dans une fève" (???). Indem er allerdings fortfährt, dass dieses Ziel die Pioniere der Erzählforschung gerne erreicht hätten, entfaltet Barthes ebenfalls eine Dialektik zwischen der Erkenntnis des Besonderen und der Erkenntnis des Allgemeinen, um die es letztlich bei der Frage von Mikro- und Makroskopie ja geht. Die intensive Betrachtung des Gegenstands der folgenden Zeilen ist eben dies: die Entdeckung einer im Besonderen das Allgemeine einschließenden konkreten und figurativen Landschaft, die sich vor den Augen dessen entfaltet, der das linguistisch vergleichsweise harmlose Toponym (L’)Hubac (du) Bleu mit ausdauernder Konzentration und Geduld betrachtet. Denn wer das Toponym in seiner Verwendungsweise verstehen will – und darum soll es gehen –, muss es recht mühsam und langwierig lesen lernen. Dabei geht es weniger um die der Toponomastik ohnehin längst bekannte Etymologie, sondern weit mehr um die Erschließung eines sich nicht nur sprachlich, sondern kulturell so weit verzweigenden Raums, dass er in diesem Beitrag keineswegs erschöpfend abgeschritten werden kann. Wer die notwendige, beharrliche Ausdauer bei der Erkundung von (L’)Hubac (du) Bleu, auch als Leser, aufbringen möchte, wird mit dem Verfasser zweifellos zu der Erkenntnis gelangen, dass diese Erkundung bei aller Besessenheit letztlich nicht ohne Askese auskommt. Dabei muss man – um als letzte Vorbemerkung einen Hinweis auf die materiellen Grundlagen der folgenden Analyse zu geben – das Bild von Makro- und Mikroskopie nicht überstrapazieren, wenn man feststellt, dass es sich bei der Betrachtung der Repräsentation eines Toponyms "im Gelände" und auf topographischen Karten geradezu aufdrängt. Der Kartendienst Google Maps (???) würde uns erlauben, bei der Untersuchung von (L’)Hubac (du) Bleu die makroskopische Fern- wie die mikroskopische Nahperspektive in verschiedenen Modalitäten ("Karte, Satellit, Gelände") fast nach Belieben einzunehmen. Das hat der Verfasser natürlich auch getan; doch im Vergleich mit den Beobachtungen vor Ort und mit der Analyse der topographischen Karten des Institut national de l’information géographique et forestière lassen sich zuverlässigere und präzisere Ergebnisse erzielen.

22. Linguistic Landscape: Das Toponym (L’)Hubac (du) Bleu in Cavalière und auf topographischen Karten von Cavalière

Le Lavandou ist eine ca. 5500 Seelen zählende Gemeinde (commune) im französischen Département Var, das zur Region Provence-Alpes-Côte d’Azur (PACA) gehört (???). Das Städtchen liegt unmittelbar am Mittelmeer und verfügt über zwei bekannte Strände (Plage de l’Anglade, Grande Plage du Lavandou) und einen kleinen Fischerei- bzw. Jachthafen. Dem Reiseführer Côte d’Azur, Monaco (???) ist der unscheinbare Ort, der in der Tat keinem Vergleich mit dem pittoresken und mondänen, weiter östlich gelegenen Saint-Tropez standhalten könnte, immerhin einen Stern wert. Das entspricht dem Prädikat "intéressant", wohingegen Saint-Tropez mit seinen zwei Sternen (???) sogar einen Umweg wert sei ("mérite le détour"). Zu der Gemeinde Le Lavandou gehören neben dem eigentlichen Städtchen (dem chef-lieu) weitere Teilorte (quartiers), die sich entlang des Meeres in nordöstlicher Richtung erstrecken: Saint-Clair, La Fossette, Aiguebelle, Cavalière und Pramousquier. Mit dem Auto oder mit dem Bus erreicht man diese Teilorte über die Route départementale 559, wobei man von Landzunge zu Landzunge (pointe) herrliche Ausblicke auf kleine Buchten (anse) und die insgesamt zwölf Strände – der ganze Stolz und das touristische Kapital der Gemeinde – genießen kann. Parallel zur D 559 ist es auch möglich, mit dem Fahrrad auf der Véloroute 65 die abwechslungsreiche Landschaft zu erschließen. Zum Teil nutzt der Fahrradweg die Trasse der ehemaligen Eisenbahnlinie, die vom westlich gelegenen Toulon bis zum nordöstlich sich befindlichen Saint-Raphaël führte. Diese ehemalige Ligne du littoral varois (???), die von 1889 bis 1905 zur Förderung des landwirtschaftlichen "Exports" und dann zunehmend des Tourismus erbaut wurde, schloss 1948, nachdem sie im Zweiten Weltkrieg, während der Landung der Alliierten in der Provence (an die jedes Jahr am 15. August mit militärischen Umzügen und feierlichen Kranzniederlegungen erinnert wird), erheblich beschädigt worden war. Seit den von Jean Fourastié so genannten Trente (années) glorieuses – in Wahrheit vielleicht doch nur die zwanzig Jahre zwischen 1945 und 1968 (???) – kamen und kommen die Touristen eben nicht mehr mit dem Zug, sondern mit dem Auto an die Mittelmeerküste. Von den alten Bahnhöfen der Linie, die im Volksmund Train des pignes genannt wurde, sind einige wenige noch erhalten, so derjenige in Cavalière, wo der schmuck herausgeputzte Bau heute eine Postfiliale, die Touristeninformation, die Police municipale und eine Außenstelle des Rathauses von Le Lavandou (mairie annexe) beherbergt (Abb. 1; (???)).

Der ehemalige Bahnhof von Cavalière (Commune du Lavandou, Var)

Cavalière war und ist eine kleine Sommerfrische mit bescheidener touristischer Infrastruktur, welche die drei Strände der Anse de Cavalière bedient, die sich zwischen der Pointe du Layet und dem Cap Nègre erstreckt. Wenn Cavalière über die Schönheit seiner Strände hinaus im heutigen Frankreich überhaupt bekannt ist, dann weder wegen des im unmittelbaren Hinterland befindlichen Temple d’Hercule, einer als antike Ruine errichteten Fälschung (???), noch wegen der ausgedehnten und naturgeschützten Wälder der Collines de Cavalière (eine 2006 erfolgte Schenkung der Société Pernod-Ricard an das Conservatoire du Littoral; (???)), sondern vor allem wegen des weithin sichtbaren, doch für den normalen Sterblichen – weil abgesperrt – unerreichbaren und wegen seiner exponierten Lage am Meer neidvoll betrachteten Château du Cap Nègre. Im Jahr 1937 als Villa Aigo Lindo (???) für André Faraggi (einen Helden der libération, an den der Bürgermeister Bernardi in einer Gedenkrede erinnert, (???)) erbaut, wurde es in den 1970er Jahren von Alberto Bruni Tedeschi erworben und diente Nicolas Sarkozy während seiner Präsidentschaft 2007 bis 2012 statt des nicht weit entfernten, dem Staat gehörenden Fort Brégançon als Sommerresidenz – Sarkozy ist dank seiner Heirat mit Carla Bruni Tedeschi bekanntlich ein Schwiegersohn des Turiner Industriellen, Musikers und Komponisten. Nur im äußersten Notfall, wenn etwa das Sicherheitspersonal zu Luft, zu Wasser und zu Land einfach nicht mehr zu ignorieren war, zückten die im Allgemeinen diskreten Urlauber ihre in den Strandtaschen tief verstauten Feldstecher, um die Inszenierungen der Macht gründlich erforschen zu können.

Fährt man von Westen kommend auf der D 559 in Cavalière ein, so ermöglicht der erste rond-point des Ortes, eine Straße in nördlicher Richtung, die Avenue du Golf, einzuschlagen. Ein schwarzer, mit einem Pfeil versehener Wegweiser auf weißem Grund (Abb. 2) – es handelt sich, um genau zu sein, um ein Schild (panneau) vom Typ D21b ("Indication d’une direction sans indication de distance") oder D29b ("Indication d’une direction de lieux-dits et fermes sans indication de distance"; (???)) – gibt die Richtung an, in welcher ein geographisches "Objekt" namens L’Hubac Bleu zu finden ist.

Wegweiser L'Hubac Bleu

Folgt man dem Pfeil, dann findet man nach ein- bis zweihundert Metern an einem weiteren rond-point einen zweiten Wegweiser desselben Typs, dieses Mal jedoch mit der Aufschrift L'Hubac du Bleu (Abb. 3).

Wegweiser L'Hubac du Bleu

Fährt man auf diesem Weg weiter, so steigt die nunmehr nordöstlich verlaufende Straße in Richtung auf die erste, auf der Höhe von Cavalière von Westen nach Osten sich erstreckende Gratlinie des Massif des Maures hin an. Von dem hier bis zu 468 Meter hohen Grat fallen jeweils von Nordosten nach Südwesten verlaufende Bergrücken bzw. -abhänge zum Meer hin ab. Doch auch wenn man alle immer enger werdenden und immer steiler ansteigenden, befestigten und unbefestigten Sträßchen und Wege abfährt, die einen dieser Abhänge hinaufkriechen und sich dabei nach und nach verzweigen, stößt man nie auf eine Örtlichkeit, an deren Beginn (oder Ende) ein Schild des Namens L’Hubac Bleu oder L’Hubac du Bleu zu finden wäre. Dabei versprechen auch die Namen der Straßen – freilich unter der Voraussetzung, dass sie eher der Orientierung dienen als eine Memorialfunktion haben (???) –, den Fahrer, Wanderer oder Spaziergänger zu L’Hubac du Bleu zu führen. Die breite, großzügig angelegte Straße, an der sich der zweite Wegweiser befindet, heißt Boulevard de l’Hubac du Bleu (Abb. 4).

Boulevard de l'Hubac du Bleu

Dort, wo die Straßenführung enger und steiler wird, wechselt der Name zu Chemin de l'Hubac du Bleu (Abb. 5).

Chemin de l'Hubac du Bleu

Zusätzlich zu den bisher vorgestellten Einschreibungen des Namens (L’)Hubac (du) Bleu in den geographischen Raum gibt es noch ein weiteres staatlicher Reglementierung unterworfenes Schild (panneau CE4c; (???)), das unser Toponym enthält; es ist der touristische Wegweiser zu einem Campingplatz dieses Namens (Abb. 6):

Wegweiser zum Campingplatz L'Hubac du Bleu

Der Campingplatz, der sich am Ende einer der Verzweigungen des Chemin de l’Hubac du Bleu befindet, ist nicht das einzige private Unternehmen, das den Namen verwendet, denn es gibt schließlich auch noch eine an derselben Straße liegende Wohnsiedlung, die sich Résidence de l’Hubac Bleu nennt, worauf mit einem privat angebrachten Schild hingewiesen wird (Abb. 7):

Schild der Wohnsiedlung am Hubac Bleu

Nach diesen Darlegungen dürfte klar sein, dass (L’)Hubac (du) Bleu in der Tat der Name für eine landschaftliche Gegebenheit ist, auf die im geographischen Raum zwar mit Schildern verwiesen wird, jedoch ohne ihre räumliche Situierung und Abgrenzung tatsächlich zu bezeichnen. "Irgendwo" dort, wo die entsprechenden Schilder und Wege hinführen, wird sich auch (L’)Hubac (du) Bleu befinden. Genaueres ist im Gelände, das auf diese Weise im Sinne einer linguistic landscape "symphysisch" beschildert wird (???), selbst nicht bezeichnet, sehr wohl jedoch auf entsprechenden topographischen Karten. Immerhin eine dieser Karten, die auch als Faltblatt bei der Tourismusinformation erhältlich ist (???), findet sich im Ortskern von Cavalière als großflächige touristische Orientierungstafel. Auf dieser (nicht ganz genordeten, sondern leicht nach Westen geneigten) Tafel findet man den Talnamen Vallon de l’Ubac du Bleu (Abb. 8), wobei das Wort Ubac ohne das initiale <H> geschrieben ist, das in den bisher dargestellten Verwendungen auftritt:

Touristische Orientierungstafel in Cavalière (Ausschnitt): Vallon de l'Ubac du Bleu

Ein Hinweis auf die genauere Verortung eines Hubac (oder Ubac) du Bleu selbst ist das freilich nicht. Die entsprechende Angabe wurde offensichtlich aus der entsprechenden topographischen Karte des Institut national de l’information géographique et forestière (früher: Institut géographique national, daher nach wie vor als IGN "versigelt"; (???)) übernommen (Abb. 9):

Topographische Karte (IGN): Vallon de l'Ubac du Bleu

Abb. 9 wurde aus der über den Q(uick) R(esponse)-Code aufrufbaren Onlineversion der gedruckten topographischen Karte erstellt, bei der man mit der Zoomfunktion den Maßstab fast beliebig verändern kann (zu demselben Ergebnis würde eine Recherche über (???) führen); es entspricht in etwa dem 1:25.000-Maßstab der auf Papier erhältlichen Wanderkarte. Recherchiert man jedoch mit dem Suchbefehl "Vallon de l’Ubac du Bleu" in dieser Onlineversion, dann wird bei Verkleinerung des Maßstabs das mit dieser Angabe benannte Gelände an etwas anderer Stelle, nämlich weiter westlich verortet (Abb. 10):

Topographische Karte (IGN): Vallon de l'Ubac du Bleu (laut Suchbefehl)

Wo aber ist L’(H)ubac (du) Bleu selbst? Darauf hat die topographische Karte ebenfalls eine Antwort (Abb. 11):

Topographische Karte (IGN): Ubac du Bleu

Aus der Karte erschließt sich, dass – wiederum ohne das initiale <H>, aber auch ohne bestimmten Artikel geschrieben – der Ubac du Bleu einer der eingangs erwähnten Bergrücken bzw. -abhänge ist, die von der südlichsten Gratlinie des Massif des Maures zum Meer hin abfallen. Über die mit dem QR-Code ansteuerbare Onlineversion können die genaue topographische Situierung (6.434369; 43.164221), die Départements- (83) und die Gemeindezugehörigkeit (Le Lavandou), die INSEE- (83070) und die postalische Kodierung (83980) sowie der Typ des geographischen Objekts (versant) recherchiert werden (Abb. 12):

Topographische Identifikation des Berghangs (versant) Ubac du Bleu

Die Wegweiser der Gemeinde wurden jedoch wohl kaum zu dem Zweck angebracht, einfach zu dem Bergrücken oder -abhang zu führen, sondern vielmehr zu den erst in neuerer Zeit erbauten Häusern – auf den Luftbildern des IGN aus den 1950er Jahren existieren sie noch nicht – und zu dem Campingplatz, der sich an dessen südöstlichen Seite befindet. Insofern geht es nicht nur um einen Berghangnamen (oronyme: Ubac du Bleu), sondern auch um den Namen eines lieu-dit habité (L’Hubac du Bleu), der sich an diesem Berghang befindet. Der Straßenname (odonyme) Boulevard de l’Hubac du Bleu bezeichnet einen Weg, der zu dieser Örtlichkeit führt, der Straßenname Chemin de l’Hubac du Bleu einen Weg, der sich innerhalb dieser Örtlichkeit befindet.

23. Form und Bedeutung des Toponyms (L’)Hubac (du) Bleu

Die Eintragung des Toponyms Ubac du Bleu auf der topographischen Karte des IGN entspricht ausgefeilten, letztlich sprachpolitisch begründeten Regeln, die in der von Sylvie Lejeune redigierten Charte de toponymie zusammengefasst sind (???). Es handelt sich um einen sogenannten "nichtamtlichen" Namen, da er eine nichtamtliche geographische Gegebenheit bezeichnet. "Amtlich" sind nur die Namen der Verwaltungseinheiten, also Regionen, Départements, Arrondissements, Kantone und Gemeinden. Grundlage für die Form eines Namens ist der "Sprachgebrauch" (usage) unter Einschluss der im Artikel 75-1 der geltenden französischen Verfassung sogenannten langues de France (???), der nach einem langwierigen Prozess in einem internen Dokument des IGN, dem État Justificatif des Noms, festgehalten wird ((???), o.S. = 4, 5, 8-10). Seine kartographische Verschriftung folgt bestimmten, präzise definierten Regeln ((???), passim). Demnach besteht Ubac du Bleu als toponyme composé aus einem terme générique (ubac) und einem als complément de nom mittels des amalgamierten bestimmten Artikels (du; article contracté) verknüpften terme spécifique (Bleu).

In grammatischer Hinsicht (auf den orthographischen Unterschied gehe ich weiter unten ein) fällt – wie bereits erwähnt – auf, dass die von der Gemeinde angebrachten Wegweiser dem groupe nominal den bestimmten Artikel voranstellen (L’Hubac du Bleu), die topographische Karte des IGN jedoch nicht (Ubac du Bleu). Woran liegt das? Wenn die sogenannte règle de l’usage eine idiomatisch korrekte Form wie (Où va-t-on? -) On va à l’Ubac du Bleu und nicht etwa *On va à Ubac du Bleu produziert (was nach von mir befragten Sprechern zutrifft – siehe auch dazu weiter unten), dann wird zwar normalerweise der bestimmte Artikel in der kartographischen Verschriftung hinzugefügt. Doch gilt dies nur unter bestimmten Bedingungen, die nach Auffassung des IGN offensichtlich auch auf die Verwendung von Ubac im komplexen, auf der topographischen Karte verzeichneten Toponym Ubac du Bleu nicht zutreffen:

Lorsque le terme générique [also in unserem Fall ubac] correspond à la nature ou à la fonction actuelle de l’objet géographique, et que celui-ci a sa représentation propre sur la carte, on ne note pas l’article. (???)

IGN (???) erläutert diesen, unseren Fall unter dem Stichwort règle de l’accord u.a. mit dem Beispiel Mont Blanc (règle d’usage: On va au Mont Blanc), bei dem die topographische Karte natürlich Mont Blanc und nicht etwa *le Mont Blanc verzeichnet. Da nun die Gemeinde Le Lavandou (ein Toponym mit Artikel!) für ihre Wegweiser die Form L’Hubac du Bleu wählt, bezeichnet – wenn denn die Gemeinde sich an das Regelwerk des IGN hält (und das tut sie) – das mit dem bestimmten Artikel versehene Toponym also nicht den Bergrücken bzw. -hang, sondern den lieu-dit habité.

Es gibt Fälle, in denen man versucht sein könnte zu glauben, dass das IGN sein Regelwerk nicht einhält. So gibt es im Département Var das Toponym l’Ubac de Siouvette (La Môle, Var), das man für die Bezeichnung eines versant halten könnte (Abb. 13):

Der lieu-dit non habité l'Ubac de Siouvette (La Môle, Var)

Wenn diese Vermutung richtig wäre, müsste nach dem Regelwerk die Bezeichnung korrekt als Ubac de Siouvette verzeichnet sein. In Wahrheit verhält es sich jedoch anders: Das Toponym bezeichnet – wie sich auch aus den Identifikationsdaten (Abb. 14) ergibt – nicht einen einzelnen Abhang, sondern einen lieu-dit non habité (also eine Flur, (???)), und in diesem Fall ist die Verwendung des bestimmten Artikels nach dem Regelwerk angebracht.

Topographische Identifikation der Flur l'Ubac de Siouvette (La Môle, Var)

In der bisherigen Analyse lege ich, dem IGN folgend, zugrunde, dass ubac ein terme générique ist, also ein Gattungsname. Das ist in der Tat der Fall, auch wenn der Ausdruck keineswegs allgemein bekannt ist. Das für das IGN erstellte Glossar von Pégorier u.a. (???) führt zu ubac aus:

Ubac n.m.: côté d’une vallée exposé au Nord – Provence, Languedoc, Dauphiné, Ariège, Ardèche. Var.: iba, uba, luba, oubac, libac, ubouch [meine Kursivierung]. Syn.: ados, adous, avers, avès, envers, évers, géla, hiversenq, inets, inverso, invets, opaco, orreber, oumbrenc, revers, sevenne, reire-lum [meine Kursivierung].

Etymologisch beruht – wie schon Diez ((???), s.v. it. bacio) und auch (???) (1979 [1878], 1068; (???) VIII, 523a) wissen – ubac auf lat. ŎPĀCU bzw. ŪBĀCU (vgl. (???) VIII, 257c) schattig (weswegen das zitierte Glossar die italienische Form opaco zu den Varianten stellen sollte) und ist vom Friulischen und Ladinischen über das Oberitalienische und das Okzitanische bis zum nordöstlichen Iberoromanischen u.a. in der Bedeutung Schattenseite, Nordseite eines Bergs belegt ((???) VII, 357b-358a; (???) 6069; (???) Nr. 177; (???) Nr. 177). Die z.T. komplexeren westokzitanischen, gaskognischen, katalanischen und aragonesischen Formen in den Pyrenäen analysierte vor längerer Zeit präzise Colón ((???), vgl. noch (???) [Nr. 9]). In verschiedenen neueren Sprachatlanten werden die Ausdrücke für den Schatten- (versant à l’ombre) und auch den Sonnenhang (versant au soleil) kartographiert, und zwar (von Osten nach Westen) im (???), im (???), im (???), im (???), im (???) und im (???). Einschlägig für das Département Var ist die Karte 122 Adret – Hubac des (???) I mit dem Ergebnis uba für den Schattenhang in den Cavalière benachbarten Orten Hyères (Nr. 169), Collobrières (Nr. 165) und La Môle (Nr. 166). In zahlreichen toponomastischen Werken wird das Wort gebucht ((???) II, 114; (???) [Nr. 517]; (???); (???); (???) II, 1199 [Nr. 22380, 22381, 22395]; (???); (???), 160 [Nr. 454], 335 [Nr. 1061]). Im Französischen ist das Wort eine späte, aus dem frühen 20. Jahrhundert stammende Entlehnung aus dem Okzitanischen (???):

GÉOGR. [P. oppos. à adret] Versant d’une montagne exposé au nord. Synon. ombrée. La forêt occupe l’ubac, le côté d’ombre [dans les Alpes françaises]; elle le couvre d’un merveilleux manteau de verdure, avec le feuillage clair et gai du mélèze (VIDAL DE LA BL., Tabl. géogr. Fr., 1908, p. 263). V. adret ex.
Prononc.: [ybak]. Étymol. et Hist. 1907 subst. (FRANCE: Uba, Ubac. Le revers d’une montagne exposé au nord; patois languedocien); 1908 (VIDAL DE LA BL., loc. cit.). Terme dial. du Sud-Est, att. en ce sens en prov. dès 1431 (Compte de Digne ds Doc. ling. du midi de la France, éd. P. Meyer, t. 1, p. 290), v. aussi MISTRAL, lat. médiév. ubacum « id. » (cité s. réf. ni date par DU CANGE d’apr. un rec. d’actes de 780 à 1446 rédigés au XVIIe s. par Dom Lefournier et déposés au monastère St Victor de Marseille), du lat. opacus « qui est à l’ombre »; cf. en 1505 l’adj. fr. ubac « situé à l’ombre » (DESDIER CHRISTOL, Platine en françois d’apr. R. ARVEILLER ds Mél. Seguy, p. 84).

Im diatopisch unmarkierten Französischen ist ubac offensichtlich ein vor allem fachlich, durch die Geographie (Paul Vidal de la Blache) geprägter Ausdruck; als solcher ist er z.B. ins Englische entlehnt worden ((???) s.v.):

ubac, n. Origin: A borrowing from French. Etymon: French ubac. Etymology: < French ubac (1907; originally French regional (south-eastern)) < Old Occitan, Occitan ubac (1431) < classical Latin opācus shady (see opaque adj.). Compare post-classical Latin ubacum (in an undated source in Du Cange), ubagum (1035), Catalan obac (839 as obago, 1371 as ubac), Middle French ubac situated in the shade (1505).
Geography. A hillside or mountain slope which receives little sunshine, esp. (in the northern hemisphere) a north-facing one. Chiefly with reference to the Alps. Frequently attributive. Contrasted with adret.

Im südöstlichen und südlichen Regionalfranzösisch ist das Wort jedoch auch außerhalb fachlich geprägter Zusammenhänge präsent. Die Belege, die (???) bietet, entstammen fast alle Autoren, die entweder im Südosten oder Süden beheimatet waren oder dort eine prägende Phase ihres Lebens verbrachten (Jean Giono mit zahlreichen Belegen; Raymond Abellio, Jean d’Ormesson, Georges Pérec).

Wie verhält es sich nun mit der Kenntnis der Bedeutung des Ausdrucks bei aus Cavalière selbst oder der commune Le Lavandou stammenden Sprechern? Eine nicht repräsentative, im August 2018 durchgeführte Befragung zeigt, dass Sprecher unter 60 Jahren L’Hubac du Bleu als die Bezeichnung einer neueren Siedlung im Hinterland kennen – die Präsenz des Namens in der linguistic landscape ist ja auch unübersehbar –, doch sind sie nur ausnahmsweise in der Lage, Hubac eine Bedeutung zuzuschreiben. Aucune idée, sagt etwa die ca. 50jährige Wirtin des populärsten Restaurants am Ort. Anders sieht es bei den ortsansässigen über 60jährigen retraités aus. Sie unterbrechen gerne das Pétanquespiel und erläutern ohne jedes Zögern bereitwillig, dass ubac [y.bak] der versant nord oder der versant ombragé d’une montagne ist, im Gegensatz zu adret [a.dʁɛ], dem versant sud oder versant ensoleillé. Ein anderer Sprecher dieser Altersgruppe, der eine ganze Reihe von Geschäften, darunter auch einen Zeitungs- und Buchladen betreibt, erläutert, dass es sich um den versant qui reçoit peu de soleil, surtout en hiver handelt. Auf die Frage, warum jüngere Sprecher die Bedeutung des Wortes nach Erfahrung des Touristen nicht kennten, antworten die Rentner mit dem Verweis auf das Provenzalische: C’est un mot provençal, et eux, ils ne le parlent plus, le provençal, c’est fini! Im Übrigen lehnen sie die Bezeichnung occitan, die der fragende Tourist alternierend mit patois verwendet, ab: Nous, on parle provençal; l’occitan, ça se parle plus loin. Einige von ihnen können auch unter Beweis stellen, dass sie das Provenzalische tatsächlich noch sprechen können (De temps en temps on s’amuse à parler en patois, entre nous, mais pas avec les enfants!, kommentieren sie). Befragt, ob das Wort ubac ein Wort aus dem patois sei, antwortet der erwähnte Kleinunternehmer, der auch die Assoziation ubac - adret herstellt, hingegen dezidiert: Non, Monsieur, c’est un mot français. Der ca. 40jährigen Auskunftsperson im Tourismusbüro ist es offensichtlich etwas peinlich, dass ihr das Wort ubac überhaupt nichts sagt (nachdem sie dem Touristen auf dem Plan officiel den Vallon de l’Hubac du Bleu gezeigt hat). Daher verweist sie den Frager an das benachbarte Amt: Eux, ils savent certainement. In der Mairie annexe gibt die ebenfalls ca. 40jährige Amtsperson dann in der Tat gerne die inzwischen bekannte Auskunft: "Ubac", c’est le versant nord d’une colline; "adret", c’est le versant sud. Wie dem Kleinunternehmer ist es auch ihr wichtig, das Wort nicht dem patois, sondern dem Französischen zuzuschreiben. Auf dem Amt fragt der Tourist auch nach den unterschiedlichen Schreibungen, Ubac auf der topographischen Karte, Hubac auf den Straßenschildern. Auch das kann die Amtsangestellte erläutern: L’orthographe correcte, c’est "ubac", sans "h"; quand ils ont voté les noms des rues, ils ont fait une erreur, ils les ont écrits avec "h", et ainsi, ça c’est resté comme ça, mais c’est une erreur. Dass hubac eine auf den topographischen Karten vielfach belegte okzitanische Schreibung ist, ist ihr vielleicht nicht bekannt. Doch selbst die gelehrten Dauzat u.a. (???) vermögen in einer solchen Schreibung nur ein "h parasite" (und nicht ein diakritisches <h>) zu erkennen.

Es wäre leider zu schön, um wahr zu sein, dass die semantische Durchsichtigkeit des Toponyms (L’)Hubac (du) Bleu – von dem complément de nom ist allerdings noch gar nicht die Rede gewesen – für die älteren ortsansässigen Sprecher ausschließlich auf einem wie auch immer gearteten, noch vorhandenen Bilinguismus beruhte. Wer das als Linguist annähme, verhielte sich wohl so wie der von Walter Benjamin einmal bespöttelte Literaturwissenschaftler, der "die 'Quellen' als Gottes freie Natur, Literatur [mutatis mutandis die Dialektologie] darüber als trostlose Rohrleitung, die das Quellwasser in die sündigen Städte leitet", betrachtete ((???); ein Foto aus dem Jahr 1931, das kürzlich in der Ausstellung Benjamin und Brecht. Denken in Extremen der Berliner Akademie der Künste zu sehen war, zeigt übrigens Benjamin, zusammen u.a. mit Bertolt Brecht, am Strand von Le Lavandou). Die "Rohrleitung" sind in unserem Fall außer der Dialektologie die Botanik, die Geographie und der Schulunterricht, wobei letzterer das sprachlich und wissenschaftlich aufbereitete Quellwasser an die Quelle wieder zurückführt. Dabei wird das provenzalische Quellwasser des ubac – ich bleibe bei der Metaphernsprache – französisch gefiltert und auch in der Form eines französisierten Toponyms an die französisch akkulturierten Provenzalen zurückgeleitet. Der Erbauer der Rohrleitung – um das Bild weiter fortzuspinnen – ist nicht nur der im TLFi-Artikel ubac zitierte Paul Vidal de la Blache, sondern die sich an ihn anschließende, für einen Romanisten unübersehbar umfangreiche geographische Forschung, möglicherweise ausgehend von der bis heute so oft zitierten Arbeit von Marcelle Vessereau (???) zur Humangeographie von Sonnen- und Schattenhang in den Westalpen. Die Autorin gibt bereits einen kleinen Überblick über die sprachlichen Bezeichnungen (???):

Les noms adret et ubac se retrouvent dans presque toutes nos vallées françaises, désignant le versant qui fait face au Midi et les pentes tournées au Nord où l’ombre des crêtes s’allonge de bonne heure. Plus expressifs peut-être encore sont les termes endroit et envers; d’un côté c’est la place naturelle du village et des cultures, de l’autre un site anormal pour les établissements humains. Les vallées allemandes ont leur Sonnenseite riche, baignée de soleil, et leur Schattenseite, hostile et sombre sous la forêt épaisse. La vallée de l’Inn oppose le Sonnenberg au Schattenberg. Dans le Pustertal, le Schwarzboden est le versant forestier. Dans les vallées italiennes, l’indritto ou adritto désigne le village ou le versant bien exposé; en face, l’inverso ou opaco tourne le dos à la lumière. Souvent le village ensoleillé a seul l’honneur de porter un nom original; celui d’en face, privé de soleil, se contente du même nom précédé du terme dénigrant inverso ou envers.

Was den Schulunterricht betrifft, so schildert Jean d’Ormesson (???) in seinem zur Zeit des Zweiten Weltkriegs spielenden Roman Le Bonheur à San Miniato das Thema l’adret et l’ubac als ein offenbar klassisches Thema des seinerzeitigen Geographieunterrichts:

Le jour, malgré le règlement, il y avait des professeurs pour poursuivre leurs cours comme si de rien n’était, comme si la paix régnait encore. Rousseau, Chateaubriand, la Révolution française, l’adret et l’ubac [meine Kursivierung], les grands fleuves du monde, l’usage de l’aoriste et de l’ablatif absolu, les verbes irréguliers anglais et un vague semblant de gymnastique qui aurait fait ricaner les athlètes de l’autre côté du Rhin se déroulaient au rythme d’une guerre qui n’en était pas encore une.

Daran hat sich wohl bis heute nichts geändert, wie ein aktuelles Lehrwerk für die Sixième zeigen mag (Abb. 15). Das gewählte Beispiel bezieht sich auf den im Département der Alpes-maritimes – das wie der Var zur Region PACA gehört – gelegenen Parc National du Mercantour. Unschwer ließen sich viele weitere Lehrwerkbeispiele "ergooglen".

Adret und ubac in einem Lehrwerk SVT (Sciences de la vie et de la terre) (???)

Man geht daher wohl nicht fehl in der Annahme, dass die in dem beschaulichen Cavalière so gut über adret und ubac Bescheid wissenden älteren Menschen sich nicht nur an ihr patois, sondern auch an den Schulunterricht erinnern.

Bei alledem ist noch nicht geklärt, was die Sprecher mit dem complément de nom, also du Bleu, verbinden. Eine Charakterisierung dieses grammatischen Typs ist für Toponyme mit dem Gattungsnamen ubac natürlich nicht ungewöhnlich. Da es so viele toponymisch zu bezeichnende Nordhänge gibt, werden Namen gewählt, die den jeweiligen Hang in Bezug zu einer anderen, u.U. geographischen Gegebenheit setzen. Ein leicht erklärbares Beispiel liefert der Ubac des Teyes, dessen toponyme composé offensichtlich in Bezug zu einem in unmittelbarer Nähe liegenden lieu-dit habité mit dem Namen les Teyes steht (Abb. 16):

les Teyes (Carcès, Var) und der Ubac des Teyes

In vielen anderen Fällen ist jedoch ein solcher Zusammenhang aufgrund der topographischen Karten nicht herstellbar. Dies trifft auch auf Ubac du Bleu zu, denn ein geographisches Objekt namens Bleu (oder eines entsprechenden provenzalischen Ausdrucks, der im Französischen auch 'volksetymologisiert' sein könnte) ist topographisch nicht verzeichnet. Die befragten Sprecher erklären sich, ohne wirklich davon überzeugt zu sein, den Zusatz als Hinweis auf das Blau des Mittelmeers (das bekanntlich auch la Grande Bleue genannt wird); entsprechendes gilt für das attributive Adjektiv im Siedlungsnamen L’Hubac Bleu.

Nach dem vorläufigen Abschluss dieser kleinen Arbeit hat das IGN auf meine Anfrage bezüglich des für (L’)Hubac (du) Bleu erhobenen État Justificatif eine Auskunft erteilt (???):

Voici les éléments dont dispose notre service en charge de la toponymie.
Sur l’enquête toponymique de 1977:
Source Cadastre: l’Hubac du Bleu
Nom donné par les Habitants: l’Hubac du Bleu
Nom retenu par la commission de Toponymie: l’Ubac du Bleu
Le toponyme est codé en Lieu-Dit non habité
[Sur cette même enquête:
Carte en service: vallon de l’Hubac Bleu
Source Cadastre: Vallon de l’Hubac du bleu
Nom donné par les Habitants: Vallon de l’Hubac du bleu
Nom retenu par la commission de Toponymie: Vallon de l’Ubac du Bleu]
Lors de la révision de 1997, l’Hubac du Bleu jusqu’alors encodé en Lieu-Dit non habité devient un objet de type Orographique de nature versant (toponyme retenu: Ubac du Bleu).
Nous jugeons plus pertinent de modifier à nouveau le toponyme l’Ubac du Bleu en Lieu-Dit habité (résidence Hubac du Bleu, Boulevard de l’Hubac du Bleu; pancarte sur le terrain…).

Die Auskunft bestätigt meine Analyse und zeigt, wie die Toponymie mit der Humangeographie, auf die ich im folgenden Abschnitt eingehe, Schritt hält.

24. Zur Humangeographie des Ubac du Bleu

Nach allem, was ausgeführt worden ist, sollte man streng genommen erwarten, dass der Ubac du Bleu ein echter Nordhang ist. Das ist er, wie weiter oben bereits gesagt wurde, nicht. Der Bergrücken verläuft von Nordosten nach Südwesten (vgl. Abb. 11). Mit seinen beiden Hängen fällt er einerseits nach Südosten, andererseits nach Nordwesten ab, so dass der Name Ubac du Bleu für den gesamten Bergrücken ein pars pro toto ist. Die nach Südosten schauende Seite wird zwar selbst im Hochsommer erst ca. zwei bis drei Stunden nach Tagesanbruch vollständig von der Sonne beschienen, denn sie liegt zunächst im Schatten des östlich benachbarten Bergrückens; dennoch ist das, zumindest im südlichen Teil, die Sonnenseite des Ubac du Bleu, die aus diesem Grund auch mit Häusern bebaut wird. Nur die am tiefsten und am nördlichsten gelegenen Teile des Südosthangs erhalten dauerhaft wenig Sonne. Die eigentliche Schattenseite ist jedoch der gegenüberliegende, nach Nordwesten schauende, im Übrigen relativ unzugängliche Abhang. Dieser erhält erst nachmittags Sonne und nur bis zu dem Zeitpunkt, an dem die Sonne hinter dem weiter westlich angrenzenden Bergrücken wieder verschwindet. Diese Seite ist heute wenig bewaldet und zugleich völlig unbebaut, wie auch ein Luftbild des IGN zeigt (Abb. 17, (???)). Insgesamt ergibt sich also die bezüglich des Gattungsnamens ubac paradoxe, für einen Eigennamen dennoch nicht ungewöhnliche Situation, dass die der Sonne zugewandte Wohnsiedlung L’Hubac (du) Bleu genannt wird.

Luftbild 2017 und topographische Karte des Ubac du Bleu (???)

Das Luftbild verrät etwas Weiteres: Die Sonnenseite des Ubac du Bleu, vor allem in ihrem südlichen Teil, ist dünner, der östlich vom Ubac du Bleu gelegene Schattenhang hingegen deutlich dichter bewaldet. Zugleich ist auf der Sonnenseite auch die erwähnte Bebauung des Geländes durch den Menschen klar erkennbar; seit den 1960er Jahren hat sie sich dort drastisch ausgedehnt. Entsprechende IGN-Waldkarten (Abb. 17 und 18; (???), (???)) bestätigen den Augenschein des Touristen.

Waldkarte chênes sempervirents purs (IGN)

Waldkarte Mélange de feuillus (IGN)

Im ersten Fall (Abb. 18) handelt es sich bei der Bewaldung um die typischen mediterranen immergrünen Eichenarten, im zweiten Fall (Abb. 19) um nicht präzise spezifizierte Laubgewächse. Will man das Bild vervollständigen, dann muss man auf die nordwestliche Seite des Berghangs schauen, dessen Vegetation ein noch ganz anderes Bild ergibt (Abb. 20, (???)). Dort finden wir vor allem niedrige Holzgewächse wie verschiedene Ginsterarten und Bruyère:

Waldkarte lande ligneuse (IGN)

Der an diesem kleinen Ausschnitt zu beobachtende Rückgang der ursprünglicheren Bewaldung von Süden nach Norden (die sich im Massif des Maures durch die Paläobotanik z.T. 8000 Jahre zurückverfolgen lässt, (???)) ist unter anderem das Resultat der großen, verheerenden Waldbrände, die 1965, 1987 und 1989 (???) das Gebiet betroffen haben und in deren Folge sich auch menschliche Besiedlung ausgedehnt hat.

Alle diese Tatsachen verweisen auf den kulturellen Zusammenhang, in dem die Kenntnis von adret und ubac ursprünglich zu verorten ist, nämlich in der Ökologie von Natur und Mensch, d.h. also einer bestimmten Lebenswelt. So befindet sich der Ubac du Bleu heute am südlichen Rand eines der weiteren Zerstörung der Landschaft, Flora und auch Fauna Einhalt gebietenden Naturschutzgebiets, der Zone Naturelle d’Intérêt Faunistique et Floristique 930012528 des Inventaire National du Patrimoine Naturel (???), d.h. dem südöstlichsten Teil der Forêt du Dom als Teil des ebenfalls naturgeschützten Massif des Maures (???). Aus übergreifender und die bisher betrachteten konkreten Detailverhältnisse außer Acht lassender Perspektive kann man den Ubac du Bleu am Übergang von der Küsten- zur Bergbewaldung situieren. In einer globalen Bilanz zum 30jährigen Bestehen der Region Provence-Alpes-Côte d’Azur als collectivité locale führen Tirone u.a. (???) zur typischen Vegetation dieses geographischen Raums ganz allgemein aus:

L’association végétale sur la côte est caractérisée par des espèces buissonnantes (lentisques, oliviers sauvages, myrte, caroubier). Au delà, vers l’intérieur, la garrigue à chênes kermès et à romarin se développe sur les sols des collines calcaires. C’est une formation basse parsemée de pinèdes (pins d’Alep) assez clairsemées, et de quelques taillis de chênes verts rabougris. […] Le chêne kermès apparaît par plaques et forme des buissons bas touffus, peu pénétrables à cause de l’abondance de ses feuilles vert sombre et épineuses. […] Il succède à la forêt de chênes verts, lorsqu’elle a été incendiée, et couvre plateaux et collines à sols squelettiques. […] Dans les Maures et l’Estérel, la forêt originelle, sur les sols acides développés sur roches cristallines, constitue un ensemble isolé et très dense avec des chênes-lièges (l’homme a utilisé très tôt l’écorce épaisse du chêne-liège), des chênes verts, des châtaigniers, des pins parasols et des peuplements de pins maritimes (durement touchés par une cochenille dévastatrice). Lorsque la forêt est détruite par l’incendie, le maquis à arbousiers, à bruyères arborescentes, à cistes, la remplace.

Für das eigentliche Bergmassiv, das sich unmittelbar anschließt, gilt (???):

Le chêne vert est l’emblème de la forêt varoise qui couvre plus de la moitié des surfaces de ce département. Chênes verts et chênes blancs se mêlent en forêts mixtes ou s’individualisent en fonction des expositions et des altitudes. Le chêne vert plus exigeant en chaleur, mieux adapté à la sécheresse, colonise plutôt les versants à l’adret [meine Kursivierung]. Le chêne blanc, plus amateur de fraîcheur et d’humidité, grimpe plus haut et se rencontre plus fréquemment à l’ubac [meine Kursivierung].

Alle in diesen Beschreibungen genannten Eichenarten finden sich auch im Hinterland von Cavalière an den zur südlichsten Gratlinie des Massif des Maures aufsteigenden Hängen. Mit chêne kermès ist Quercus coccifera L. gemeint (Kermeseiche); chêne vert ist Quercus ilex L. (Steineiche), eine Art, die sich an der Südostseite des Ubac du Bleu ebenso findet wie der chêne blanc (Quercus pubescens Willd. Flaumeiche). Das trifft auch auf den häufigeren chêne-liège zu (Quercus suber L. Korkeiche); an ihn erinnert, am Fuß des Ubac du Bleu, der provenzalische Name des Campingplatzes Leï Suves (s. Abb. 11; prov. suve Kork, Korkeiche < SŪBER, vgl. (???) XII, 332a; (???) 8357; frz. suber Kork ist eine gelehrte Form). Im Übrigen sind die aus dem Provenzalischen entlehnten und französisierten Bezeichnungen suveraie (suberaie) Korkeichenwald und yeuseraie Steineichenwald (zu frz. yeuse, prov. euze Steineiche < ĪLEX, vgl. (???) IV, 544b; (???) 4259) in der früher durch eine bäuerliche Forstwirtschaft (Industrieholz, Korkverarbeitung) geprägten Region, die sich immer mehr verliert, durchaus geläufig. Gleichwohl bietet die Bewaldung an den beiden Seiten des Ubac du Bleu heute nicht (mehr?) die idealtypische Verteilung der Vegetation, wie sie für Sonnen- und Schattenseite in dem südöstlichen französischen Gebirge beschrieben wird.

25. Ausblick

Die wesentliche Funktion eines Namens besteht bekanntlich nicht in seiner Bedeutung, sondern in seiner direkten und eindeutigen Referenzleistung (???). Die aus einem Nominalsyntagma bestehenden Toponyme Ubac du Bleu, L’Hubac du Bleu, L’Hubac Bleu sind als Namen für einen Berghang (versant) bzw. eine Wohnsiedlung (lieu-dit habité) grammatisch und lexikalisch potentiell transparent. Doch ein klarer Motivationsbezug zum geographischen Referenzobjekt lässt sich nur über den sogenannten terme générique (ubac) herstellen und natürlich nur für diejenigen, welche dieses zwar im Provenzalischen geläufige, doch im Französischen fachsprachlich gefilterte und daher vergleichsweise "gebildete" Wort tatsächlich auch kennen. Der Bezug des "Genitivattributs" (complément de nom) du Bleu bzw. des attributiven Adjektivs bleu zum Referenzobjekt mithilfe eines lexikalisch weit bekannteren Ausdrucks ist hingegen völlig vage. Für die Sprecher, welche die Semantik von ubac beherrschen, sind die behandelten Toponyme Gattungseigennamen ((???), nach Roland Harweg), da das in allen drei Fällen verwendete Appellativum die Kategorie des Referenzobjekts unmittelbar (Berghang) oder metonymisch (Objekt am Berghang) mitbezeichnet. Die kartographisch strenge Normierung der Setzung oder Nichtsetzung des bestimmten Artikels vermag subtil und genau den Typ des geographischen Referenzobjekts (versant vs. lieu-dit, gegebenenfalls lieu-dit habité oder non habité) zu indizieren.

Die Semantik von ubac ist verknüpft mit einer Kenntnis der Sachen, die seit gut einhundert Jahren von der Schule aufgrund fachwissenschaftlicher Erkenntnisse vermittelt wird; ursprünglich beruhte sie auf einer bäuerlichen, im Massif des Maures vor allem forstwirtschaftlich geprägten, ja umfassend lebensweltlichen Praxis, die sich sprachlich des dem Untergang geweihten und nur noch museal bewahrten und aufbereiteten Provenzalischen bediente. Ein entsprechend provenzalisch-französisches Glossotop ((???); (???)) als Ausdruck dieser Lebenswelt existiert trotz mancher diskursiver "Überhöhung" des Okzitanischen (???), von der man in unserem Beispiel allerdings kaum sprechen kann, nicht mehr. Der Verlust von beidem, bäuerlicher Praxis und bäuerlicher Sprache (dem freilich der relative Gewinn des Wohlstands durch Tourismus gegenübersteht), führt auch zur allmählichen Demotivierung von Toponymen wie den hier betrachteten, wobei verlorengegangene Praxis gegen papiernes Schulwissen eingetauscht werden mag. In dieser Hinsicht gewinnen Eigennamen wie L’Hubac du Bleu und L’Hubac Bleu zusätzlich zur Orientierungs- auch eine – wie das Museumsobjekten angemessen ist – Memorialfunktion hinzu. Die Menschen, die in den Häusern und Villen am Hubac du Bleu wohnen, werden – wenn sie denn sich über die Namen der Orte informieren, an denen sie heute dauerhaft oder als Touristen kurzzeitig wohnen –, an eine Zeit und eine Kultur erinnert, die sie, zweifellos zumeist ungewollt, mitgeholfen haben zu verdrängen.

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Fra chi parla mandinka in Gambia e nella regione di Casamance (nel sud del Senegal) kankurang è uno spirito incarnato da un danzatore mascherato, considerato il principale custode delle celebrazioni dell’etnia mandingo come il rito della circoncisione e della celebrazione del matrimonio. I mandingo ritengono che il kankurang può curare l’infertilità nelle donne.
Si tratta di due località poste agli estremi del Paese.
Per il termine cf. Krefeld (???).
Molto di quanto qui scritto nasce dal nostro lavoro al progetto Network of Knowledge (2012-2016, finanziamento FWF) e all’Hugo-Schuchardt-Archiv (???). Quest'ultimo presenta l'opera omnia schuchardtiana, le relative recensioni e diverse edizioni dal suo epistolario, costituito da oltre 13.000 lettere e cartoline a lui indirizzate e conservate presso la biblioteca universitaria di Graz (cf. (???)), cui si aggiungono numerose lettere e cartoline scritte da Schuchardt rinvenute in biblioteche e archivi europei e non. Alla fine del 2018 oltre 6000 lettere erano disponibili in edizione digitale.
Consultabile in forma digitalizzata al sito NavigAIS
Quando non diversamente indicato, il numero corrisponde a quello con cui sono archiviati i pezzi di corrispondenza ricevuti da Schuchardt presso la Biblioteca universitaria di Graz, Hugo Schuchardt Nachlass.
Questo si concretizzava da una parte in un fitto scambio epistolare tra scienziati di diverse discipline, dall'altra nei diversi circoli, società e associazioni accademici, come p. es. la società antropologica di Vienna (???).
Non è certo questa la sede per approfondire la storia di tale approccio, per cui rinviamo alle pubblicazioni già citate, ma anche alle collezioni, visitabili in via telematica, di oggetti di interesse etnografico di Hugo Schuchardt (Volkskundemuseum Wien) e di Rudolf Meringer (Institut für Kulturanthropologie und Europäische Ethnologie der Universität Graz) e al carteggio tra Schuchardt e Meringer (???).
Cf. l’edizione (non commentata) in Melchior (???).
Carteggio parzialmente edito in Heinimann ((???), (???)).
La corrispondenza è stata analizzata nell'ambito di una Seminararbeit presso l'Institut für Sprachwissenschaft, ma è tuttora inedita.
L’edizione critica del carteggio è di prossima stampa (???).
Nonostante la corrispondenza tra Schuchardt e Puşcariu continui con discreta costanza fino al 1926, non vi sono cenni al progetto dell'Atlasul lingvistic român, per il quale nel 1922 erano cominciate le inchieste.
È evidente che vi è una reciproca interdipendenza e non possono essere considerati come "passi di lavoro" (sempre) nettamente distinti l'uno dall'altro. Tale distinzione ci pare tuttavia funzionale per capire meglio gli spunti di riflessione teorica che ne nascono.
Weigand raccolse personalmente i dati per il suo atlante nel corso di otto viaggi in loco a partire dal 1895. La pubblicazione dell'atlante avvenne dapprima a fascicoli, dal 1898, e poi in volume nel 1909. Il paradigma neogrammaticale godeva allora ancora di un forte consenso, soprattutto a Lipsia, alma mater di Weigand. Le inchieste per l'AIS, pubblicato a partire dal 1928, furono invece effettuate da tre esploratori appena dopo la fine della Prima Guerra mondiale, a partire dal 1919, in una fase dunque in cui l'approccio di Wörter und Sachen era già stato pienamente recepito dai linguisti svizzeri e non solo.
Gli otto volumi dell'AIS abbracciano 1705 carte, ciascuna delle quali comprende 405 punti d'inchiesta; il Linguistischer Atlas des dacorumänischen Sprachgebiets, in un unico volume, comprende 67 carte che si basano su 752 punti (!) di inchiesta, in cui i materiali vennero raccolti in un tempo assai breve e quasi esclusivamente da Weigand stesso.
Quelli dell'AIS erano di stampo lessicologico-culturale, oltre che fonologico e morfosintattico, nell'atlante di Weigand prevale invece l'interesse fonologico-storico.
Base per le inchieste dell'AIS fu il Fragebuch, elaborato sul modello di quello concepito per l'ALF, mentre Weigand, che pur aveva grande esperienza di lavoro con questionari, si prepose di raccogliere "Normalwörter" che potessero venire utilizzati spontaneamente all'interno di discorsi con gli informanti (per maggiori dettagli sulla metodologia e gli obiettivi dell'atlante romeno cf. (???), per l'AIS cf. (???)).
Meno intensa è la coeva corrispondenza tra Schuchardt e Jaberg: ai diciotto pezzi di corrispondenza di mano di Jaberg conservati a Graz si aggiungono solo tre indirizzati da Schuchardt al collega bernese.
Non si trovano invece spunti metodologici legati alla concezione dell'impresa atlantistica - Weigand sembra piuttosto preoccupato di tenere al corrente Schuchardt dei progressi nel lavoro, annunciandogli la pubblicazione delle diverse sezioni; cf. per esempio la lettera del 2 dicembre 1899 (n° 12704) in cui gli chiede se abbia avuto occasione di scorrere la seconda sezione dell'atlante, appena pubblicata, invitandolo a farne una recensione sul Centralblatt - desiderio che Schuchardt non esaudirà.
Weigand dedicò molto spazio alla descrizione dei suoi viaggi, come nel seguente esempio: "Für die Pferde ist es eine harte Arbeit, auf dem in Schlangenlinien sich windenden Pfade die Berge zu erklettern. Doch mit bewundernswerter Ausdauer überwinden sie alle Anstrengungen. Auf der Höhe ist eine Quelle "Kodru mare = großer Berg“ genannt. Ein überraschender Anblick bietet sich dort dar. Gerade vor uns, scheinbar sehr nahe, liegt V.L. auf halber Bergeshöhe, wie an die Felsen angeklebt. [...] Ein schmaler, gefährlicher Saumpfad führt in einem Stündchen nach V.L. (???).
Nonostante Jud tragga ispirazione dalle idee schuchardtiane, egli fa cenno all''impresa dell'atlante solamente a inchieste iniziate, il 21 agosto 1919 (n° 05195), e appena un anno dopo ne svelerà alcuni parametri, riconoscendo come l'impresa sia debitrice, nella sua concezione, all'insegnamento di Schuchardt: "Das Questionnaire umfasst etwa 2500 Wörter und Sätze: wir hoffen nichts wesentliches ausgelassen zu haben. Neben diesem Normalquest. existiert ein erweitertes Questionn. mit etwa 5000 Wö. u. Fragen, die er auf seiner ganzen Reise an 20 Punkten abfragen soll. In Bünden ist dies im Münstertal und in Lenz (bei Thusis) geschehen. An jedem Ort soll er eine Anzahl Photos von Geräthen aufnehmen, die als Bilderatlas einst veröffentlicht werden sollen. Das ist die teilweise Verwirklichung Ihrer Idee: Sprach- und Bilderatlanten. (n° 05204, 14 aprile 1920)".
Schuchardt (???) scrive "Und in der That finden wir noch auf dieser Seite der Gebirgshöhe Ortschaften deren Sprechweise der französischen Schriftsprache entschieden näher steht als der italienischen. Aber wo sollen wir den Grenzpfahl in den Boden stossen? Etwa da wo wir den Schweinehirten seine Thiere nicht mehr i porci sondern lus cusciuns, les cochons nennen, oder da wo wir zuerst ein Kind von seinem Vater nicht mehr als mio padre, sondern als mon paire, mon père sprechen hören? Ich befürchte, es möchte dabei der besondere Geschmack eines jeden zu Tage kommen".
Jud ritorna su questo punto nella sua lettera del 25 dicembre dello stesso 1917, contrastando in parte la Sprachverwandtschaft schuchardtiana (???): [...] Der Widerspruch bewegt sich in der Richtung, dass ich gerne gesehen hätte, welches die Wahl der Merkmale sein muss, um von einer stetigen geographischen Abstufung reden zu können. [...] Ich gebe zu, dass bei „ungestörten“ Verhältnissen sich die geographische Abstufung mit der sprachlichen in correlatem Verhältnis befindet: aber hat die sprachliche Betrachtung je mit solch primitiver Lagerung zu untersuchen Gelegenheit? Und ist es nicht gerade eines der reizvollsten Probleme zu zeigen – was Sie am Schlusse so eindringlich betonen – dass Sprachgeschichte Volksgeschichte oder besser Geschichte der Sprechenden einer Volksgenossenschaft oder der Menschheit ist? Ist die Gruppierung der italischen Mundarten nicht auch ein Capitel der Geschichte der Italienisch Sprechenden?" (n° 05188)
A questo riguardo si vedano anche le interessanti osservazioni di Goebl (???) sul progetto del Glossaire des patois romands de Suisse sotto l'egida di Louis Gauchat.
Le carte di prova per "Sense und Sichel" che arrivarono a Graz più tardi sono conservate nel lascito di Schuchardt all'interno della sezione Werkmanuskripte al numero d'archivio 17.6.1.6.
In una lettera presumibilmente databile all'inizio del 1921 e sicuramente posteriore alla ricezione delle carte di prova, Schuchardt fa riferimento a possibili migliorie nella rappresentazione delle cose e delle parole sulla carta, che l'ormai quasi ottantenne dovette consultare con l'ausilio di una lente d'ingrandimento.
Ritorna poi sull'argomento oltre due anni dopo, : "Ich kann nur selten und nur wenig arbeiten. Ins Romanische darf ich eigentlich gar nicht mehr hineinreden; wie ich Ihnen schon sagte, bilden der Atlas ling. und andere 'Wälzer' für mich fast unüberwindliche Hindernisse" (Archivio dell'AIS, Berna, lettera non numerata del 18 agosto 1919).
Esemplari di ciò possono essere considerati i cenni che fanno Jaberg/Jud (???) riguardo alla ricerca dell'editore e alle spese dell'AIS.
Così scrive Wunderli (???): "Projekte für einen derartigen Sprachatlas – u.a. den Atlante linguistico mediterraneo, den Atlante linguistico europeo usw. – hat es inzwischen verschiedene gegeben; keines davon ist jedoch auch nur annähernd zur Publikationsreife gediehen. Die Vision Schuchardts eines „übereinzelsprachlichen“ Sprachatlasses dürfte damit nach über hundert Jahren dem Bereich der Utopien zuzuordnen sein".
Il problema dei finanziamenti, a prima vista alleviato dalla raccolta dati tramite web, dunque resta, ma cambia fisionomia: se i costi per le esplorazioni possono essere notevolmente ridotti, ve ne sono altri, di concettualizazione e programmazione delle piattaforme che ospitano gli atlanti, di salvaguardia dei dati, oltre che, naturalmente, di personale scientifico e tecnico che monitora, adegua, rielabora, aggiunge, ecc. nell'ambito di progetti che, per loro natura, non possono mai dirsi conclusi.
Non entriamo qui nelle questioni riguardanti la conservazione e l'archiviazione a lungo termine di grandi quantità di dati, che senz'altro è un quesito di centrale importanza per tutti i progetti delle digital humanities, ma per il quale esistono già esempi di buone pratiche.
Altri problemi sono legati, per esempio, all'interpretazione dei dati forniti in maniera scritta - si pensi alle diverse grafie scelte per la rappresentazione di fonemi dialettali, qualora di questi non siano forniti anche realizzazioni foniche. Ciò comporta, in diversi casi, che tali dati possano essere utilizzati solo per un'analisi di tipo lessicale, ma restino preclusi allo studio fonetico-fonologico. Posto poi il caso che tali dati venissero corredati da registrazioni audio, quale sarebbe lo status da attribuire a queste, che, senza una trascrizione e interpretazione da parte dello scienziato, resterebbero piuttosto dati "grezzi"?
Data la dinamicità e apertura dei nuovi progetti diviene ozioso chiedersi, come invece fecero Jaberg und Jud, se il materiale raccolto sia adeguato a rispondere a interessi scientifici diversi, in quanto esso può continuamente essere integrato e rimodellato.
Eterogeneità che caratterizza anche altri progetti atlantistici: si pensi per es. all'ASLEF (???) o all'ALI (???), che presenta anche dati raccolti in precedenza in altri atlanti. Nonostante le diverse fonti siano indicate, la rappresentazione cartografica appiattisce monodimensionalmente i diversi dati.
Come osservano (???), la natura sfumata dei confini del discorso politico implica che tali confini possano essere di volta in volta ridefiniti a seconda di che cosa si intenda per ‘politica’ e dunque di che cosa si voglia includere in tale dominio. In teoria, gramscianamente, potremmo dire che “tutto è politica” e dunque dovremmo/potremmo considerare proprio del discorso politico ogni testo che affronti tematiche che riguardino l’ambito della politica. Tuttavia, Nella concreta pratica analitica si tende a restringere il campo ai generi prototipici del discorso politico, distinguendo, ad esempio, fra discorsi attinenti l’attività politica istituzionale (parlamentare, governativa, delle figure ufficiali come i capi di stato ecc.), discorsi riguardanti l’attività dei partiti (campagna elettorale, dibattito interno, ecc.) e discorsi in cui la politica diviene oggetto di informazione (in tv, alla radio, sulla carta stampata, sul web).
Non intendo, in questa sede, addentrarmi nella discussione sulla differenza fra ‘testo’ e ‘discorso’. Benché non tutti gli studiosi siano d’accordo nel considerare i due termini come sinonimi, li userò qui, per una mera questione di praticità espositiva, in modo quasi intercambiabile, fermo restando che tenderò ad adoperare il primo quando vorrò riferirmi allo specifico prodotto dell’attività comunicativa, mentre ricorrerò al secondo quando farò specifico riferimento al processo che conduce alla costruzione del testo. Si veda su questo (???) e, per quanto riguarda più nello specifico l’ambito politico, (???). Al tempo stesso, seguendo la terminologia introdotta da Peter Koch (???), userò il termine ‘genere discorsivo’ in riferimento a quelle concrete attività discorsive che arricchiscono i tipi testuali astratti “di pratiche e di regole nate in un contesto storico particolare, ammettendo magari degli incroci tra le categorie astratte” (???).
Faccio qui riferimento al modello di analisi dell’argomentazione elaborato dalla cosiddetta ‘scuola olandese’ (???). Secondo questo modello, i discorsi argomentativi si dislocano lungo un continuum ai due estremi del quale si collocano rispettivamente i discorsi in cui prevale la componente dialettica e i discorsi in cui prevale la componente retorica. La prevalenza della prima si concretizza nei discorsi argomentativi improntati al confronto fra idee, il cui obiettivo è quello di convincere l’interlocutore della giustezza delle proprie posizioni. Questi discorsi sono caratterizzati dal fatto che i partecipanti si dispongono reciprocamente ad ascoltare ed eventualmente a riconoscere la ragionevolezza delle opinioni espresse dall’altro e, dunque a farsi convincere da quelle abbandonando le proprie. Sul piano della teoria politica, questo tipo di discorso argomentativo è quello più vicino al modello di democrazia deliberativa elaborato da Habermas. La prevalenza della seconda componente (quella retorica) si concretizza in discorsi tesi alla persuasione dell’uditorio, usando tutti i mezzi per screditare non solo le idee contrarie alle proprie, ma anche coloro che le professano. Sul piano più generale, si entra qui nel campo della propaganda.
A dire il vero, e per concedere le attenuanti alla categoria alla quale appartengo, gli studi di carattere più propriamente linguistico hanno adottato un modo di procedere più oggettivo, benché abbiano per lo più lavorato sulla descrizione sincronica o diacronica di peculiarità strutturali, che però restano sul piano dell’osservazione empirica, senza spingersi a tentare di giungere a una definizione generale dei caratteri del linguaggio politico.
Capostipite di questo filone di studi è considerato Lasswell (???).
Riporto una delle più note di queste invettive, quella che Pasolini rivolse ai leaders della Democrazia Cristiana: “[...] ogni volta che aprono bocca, essi, per insincerità, per colpevolezza, per paura, per furberia, non fanno altro che mentire. La loro lingua è la lingua della menzogna. E poiché la loro cultura è una putrefatta cultura forense e accademica, mostruosamente mescolata con la cultura tecnologica, in concreto la loro lingua è pura teratologia” (???).
Lorella Cedroni, filosofa della politica prematuramente scomparsa, ha il merito di aver introdotto in Italia la cosiddetta ‘politolingustica’, calco dal tedesco Politolinguistik, termine coniato nel 1996 da Armin Burkhardt per indicare un ambito di analisi interdisciplinare che si colloca al confine fra linguistica e scienze politiche. Essa può essere considerata da un lato come un’area di applicazione degli strumenti dell’analisi linguistica (in particolare della semantica e della linguistica testuale), dall’altro come un campo di interesse della scienza della politica applicato allo studio del linguaggio impiegato dagli attori politici.
Klemperer fa qui riferimento, sul versante della lingua del nazismo, a un verbo (gleichschalten, ‘sincronizzare’, livellare, ‘uniformare’), che secondo lo studioso è fortemente rappresentativa della mentalità nazista: “Par di vedere e di sentire il pulsante che fa assumere a persone, non a delle istituzioni, non a istanze impersonali, posizioni e movimenti automatici uniformi” (ivi: 188). Sul versante del modello linguistico sovietico, invece, l'Autore cita la metafora, attribuita a Lenin, secondo cui l’insegnante è una sorta di “ingegnere dell’anima”. Istituendo (in maniera un po’ forzata) un ragionamento sillogistico, se un ingegnere, che si occupa di solito di macchine, viene associato alla cura dell’anima, se ne dovrebbe concludere che l’anima è una macchina. In realtà, osserva Klemperer, l’uso di questo tipo di metafore nel contesto educativo sovietico si spiega con il fatto che la tecnica era, nell’URSS di quel tempo, considerata il mezzo che avrebbe garantito alle masse popolari la possibilità di liberarsi dalla schiavitù del bisogno e di raggiungere livelli di esistenza più degni della condizione umana.
Dopo la caduta del regime hitleriano, Klemperer riottenne la cattedra di filologia romanza al Politecnico di Dresda e, già alla fine del 1945, aderì al partito comunista. Dopo la sua fondazione ufficiale nel 1949, decise di rimanere nella DDR (Repubblica Democratica Tedesca), ricoprendo anche incarichi ufficiali in seno al mondo accademico di quel paese (traggo queste informazioni dalla postfazione alla quinta edizione italiana della LTI).
Un affresco a tinte fosche del circolo vizioso in cui la lingua della democrazia sarebbe caduta a causa dell’abuso (cioè dell’uso fine a se stessa) della retorica è in Thompson (???).
Edelman individua quattro stili distinti di linguaggio che strutturerebbero il processo politico: lo stile giuridico, lo stile amministrativo e lo stile della contrattazione.
Traggo questo stralcio dal più ampio brano riportato ne L’affaire Moro di Leonardo Sciascia (???).
Secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Interno (http://www.interno.gov.it/sites/default/files/dossier_viminale_ferragosto-dati_1_agosto_2017_31_luglio_2018.pdf) gli omicidi sono calati in un anno (luglio 2017-agosto 2018) del 15% (del 50% negli ultimi 10 anni), mentre i furti dell’8% (del 38% negli ultimi 10 anni).
http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=121167, ultima consultazione 28 ottobre 2018.
Il 20 agosto 2018 la nave della marina militare italiana Ubaldo Diciotti, che  quattro giorni prima aveva soccorso in mare 190 persone, giunge nel porto di Catania. Su ordine del ministero dell'Interno, i migranti sono stati trattenuti a bordo fino alla mezzanotte del 26 agosto. Da qui l'accusa di sequestro di persona rivolta al ministro Salvini. Nel marzo del 2019, il Senato della Repubblica ha negato l'autorizzazione a procedere nei suoi confronti.
Cfr. (???).
Per un quadro generale della vitalità del lessico nella cultura dialettale siciliana, cfr.  (???), il quale – negli ambiti della cultura materiale – attribuiva alla pastorizia una «Buona vitalità/Permanenza della terminologia».
Le informazioni lessicali contemplate in questo studio sono state reperite attraverso indagini sul campo, da me effettuate tra il 1989 e 1991, che hanno coinvolto 5 pastori, 4 contadini, 6 cacciatori e 5 casalinghe (mogli di pastori e contadini) di età compresa tra i 55 e i 90 anni. 
I concetti di seguito considerati sono tuttavia in numero maggiore rispetto ai tipi lessicali qui computati, giacché alcuni di essi sono usati, con restrittori aggettivali o nominali, per designare più concetti: per es.  derr ‘maiale’, derr porkuspin ‘istrice’, derra-dhindjë ‘porcellino d’India’, ecc. ; pulë ‘gallina’, pul-uji ‘gallinella d’acqua’; kuk ‘civetta’, kuku me vesht ‘gufo comune’, ecc. Non sono state computate, altresì, le forme diminutive (quali, per esempio, ljeparush ‘leprotto’ dim. di ljepur ‘lepre’, ecc.; derriçel ‘maialino’ dim. di derr ‘maiale’) e accrescitive (quali, per esempio, kaqicac ‘agnellone’ accr. di kaqic ‘agnello’, ecc.).
Per la trascrizione delle forme arbëreshe si userà l’alfabeto albanese che presenta, per la maggior parte dei fonemi, puntuali corrispondenze con i grafemi dell’alfabeto italiano. Per i grafemi e i digrammi corrispondenti a pronunce diverse o non presenti nel sistema italiano, si considerino le seguenti relazioni: c [ʦ], ç [ʧ], dh [ð], ë [ə], g [g], gh [ɣ], gj [ɟ], h [x], j [j, ʝ], hj [ç], k [k], ll [ɣ], nj [ɲ], q [c], s [s], sh [ʃ], th [θ], x [ʣ], xh [ʤ], z [z]. La vocale finale, separata da un trattino, rappresentata l’articolo determinativo (nominativo singolare): -i e -u sono articoli si nomi maschili;-(j)a è sono articoli di nomi femminili; non occorrono, tra i tipi lessicali qui contemplati, nomi neutri (-t). Gli articoli (i/e) precedono aggettivi rispettivamente maschili (i) e femminili (e);  non occorrono, tra i tipi lessicali qui contemplati, aggettivi neutri (të).
Più spesso, anche tra gli anziani, questa locuzione è reinterpretata paretimologicamente con derra-derra data l’assonanza con l’alb. derra ‘maiali’, ben conosciuto e usato.
Il VS non registra per cavaḍḍina (s. f.) il significato assunto nella varietà arbëreshe qui considerata, ma  – sulla scorta di (???)  e di (???)(sec. XVII e XVIII) quello di ‘mandria di cavalli’. Il sic. cavaḍḍina ha, invece, più frequentemente un uso aggettivale. Tra questi musca c. ‘tafano’, da cui l’arb. mizë kavalinie, dove, tuttavia, il restrittore è nominale (prop. ‘mosca di equini’) e non aggettivale.
Tali potrebbero essere occorrenze del tipo: brumbulli isht un insetto çë fluturon ‘il calabrone è un insetto che vola’; i rettili ndrrojën likurën ‘i rettili cambiano la pelle; ecc. Si veda, tuttavia, la nota 11.
Oggi ricorre solitamente il singolare del tipo qe-u, formato sul plurale (qe < sing. ka), probabilmente in ragione dell’uso di accoppiare questi animali al giogo. L’originaria forma del singolare (ka) si mantiene, tuttavia, cristallizzata nel nome polirematico dell’‘orzaiolo’ siu-kau (prop. ‘occhio di bue’).
I concetti relativi a animali quali, per esempio, ‘aquila’, ‘vipera’, ‘lupo’, ‘volpe’, ecc., sono generalmente noti anche a chi non ne abbia mai visto un esemplare.
Il tipo albanese derr, che designa comunemente il ‘maiale’,  è usato – anche senza il restrittore agg. i egër ~ sarvaç ‘selvatico’ – con il significato di ‘cinghiale’ soprattutto dai cacciatori. Più comunemente occorre il tipo romanzo (u) çingjali, con l’articolo preposto e dunque senza adattamento al sistema flessivo nominale dell’albanese. Così anche il romanzo (u) lupu, che sostituisce l’albanese ulk-u, ancora conosciuto dai più anziani, ma poco usato. Si tratta, in questi casi, di fenomeni la cui valutazione (prestiti di recente acquisizione che denotano la fusione dei microsistemi della determinazione nominale? Fenomeni di code-mixting?) si presenta piuttosto complessa. Per un primo approccio alla questione, cfr. (???).
Tra i cacciatori la ‘lepre’ viene scherzosamente chiamata skarpar-i (< sic. scarparu), prop. ‘calzolaio’.
V. nota 11.
Tra i cacciatori la ‘volpe’ viene scherzosamente chiamata xhuan-a (< sic. Giuanna), prop. ‘Giovanna’.
Il (???) s.v. ggiacaluni registra surci gg. con il significato di ‘ghiro’ per Roccapalumba (PA) e per Isnello (PA), oltre che sulla scorta di (???).  Il nome di questo roditore occorre, benché sempre meno frequentemente e sempre più oscuramente, nell’espressione flë si mi xhahallun ‘dormire come un ghiro’.
Il tipo lessicale xarrakan, la cui origine rimane oscura, è conosciuto ormai soltanto da pochi anziani. 
Probabilmente, il nome di questo insetto è motivato dai colori (rosso e bianco) della sua livrea, che ricorda quelli del costume tradizionale della sposa.
Oggi il consumo di anguille  – pescate un tempo soprattutto nelle acque che confluiscono nel vicino lago di Piana degli Albanesi  – è quasi del tutto in disuso. V. nota 24.
Il tipo albanese è, in verità, dallandishe. Nelle varianti kallandriq/e-ja e, soprattutto, kallandrish/e-ja sembra avere influito il romanzo (sic. kallandrun) ‘calandra’.
Questo tipo lessicale, non riscontrato in altre varietà albanesi,  sembra formato sull’alb. krie ‘testa’ + suffisso -(r)in con probabile valore dim. in verità non riscontrabile in altre formazioni nominali della parlata qui considerata. Il tipo arb. krierin sembrerebbe, comunque, un calco dal sic. tistuliḍḍa (prop. ‘testina, testolina’) gheppio’.
Forma metatetica del più comune alb. lakuriq.
In queste categorie i prestiti siciliani si limitano, come si è visto, al nome del ‘tacchino’ (nie < sic. nia; ghalinaç < sic. gallinàcciu) e a quello del ‘caprone’ (bek < beccu) che compete con l’alb. cujap.
L’esperienza del ‘pidocchio pollino’ era piuttosto comune fino agli anni ’60, allorquando in molte famiglie si allevavano , anche in prossimità delle abitazioni, le galline.
Si consideri che la cultura alimentare tradizionale della comunità è legata all’esperienza montana. Ancora fino agli anni ’70 del secolo scorso, il consumo di pesce era limitato a poche varietà vendute in paese dagli ambulanti, tutti forestieri (e pertanto significativamente chiamati litinj  prop. ‘Latini’). L’unico pesce pescato (nelle foci che confluiscono nel vicino lago) era, come si è detto (v. nota 18), l’anguilla, che conserva il nome alb. ngjal-a.
La carpa, poco apprezzata nella cucina locale, è il pesce più comune nelle acque del lago di Piana degli Albanesi.
I gasteropodi sono ancora molto apprezzati nella cucina locale.
Questo tipo lessicale non è registrato dal (???) né sembra essere stato rilevato nelle indagini siciliane dell’Atlante Linguistico della Sicilia (cfr. (???)). Tuttavia, non è improbabile che l’arb. qaparrin possa originare da una formazione nominale ormai scomparsa nelle varietà siciliano, sulla base di un sic.*acchia(ppa)parrinu costituito da acchappari  ‘acchiappare, ghermire, colpire’ + parrinu ‘prete’, allo stesso modo del sic. strangugghja-parrinu (prop. ‘strozzaprete’) che ha dato origine all’arb. stranguj ‘gnocchi’.
L’arb. nìur non si spiega con il sic. nìgghiu ‘nibbio’. Potrebbe trattarsi di una formazione paretimologica sul sic. nìuru ‘nero’ (partic. per il ‘nibbio bruno’).
Il tipo bedirrus sembra forma paretimologica sul sic. beḍḍu ‘bello’.
Il tipo arb. è certamente formato dal sic. pìula, con un suff. accr. -ac (< sic. -azz/u-a). Il VS registra, tuttavia, soltanto il f. pìula come «den. di alcuni uccelli titonidi, strigidi e corvidi, dei quali  […] barbagianni […] civetta […] cornacchia» dunque non falconiformi qual è la ‘poiana’.
V. nota 11.
Kaqic è forma metatetica di kaciq, che nelle altre varietà albanesi designa, però, il ‘capretto’.
Dim. di ljepur ‘lepre’ con il suffisso alb. -ush, ormai del tutto improduttivo, giacché si ritrova cristallizzato in pochissime forme nominali.
Derriçel è dim. – con suffisso -çel < sic.-(c)eḍḍ(a) – di derr ‘maiale. Il tipo kancirr (< sic. canzirru) è conosciuto, oramai soltanto da parlanti anziani, con il solo significato scherzoso di ‘moccioso’).
Questo tipo lessicale è ormai quasi del tutto caduto in disuso.
Il comunissimo nome del ‘cucciolo di cane’ (ghuc-i) è sicuramente un sicilianismo, benché per l’agg. guzzu il (???) registri (soltanto sulla scorta dei vocabolari secenteschi e settecenteschi (???), (???) e (???)) i significati di cani g. ‘botolo, cane piccolo ma di indole litigiosa e rabbiosa, che ringhia contro tutti’, e (sulla scorta degli ottocenteschi (???) e (???)) il fig. ‘piccolo di statura, corto, basso’
Più comunemente, gharmushel occorre con il significato, anch’esso siciliano, di ‘marmocchio’.
Questo nome è formato dal sic. menzu ‘mezzo’ e l’alb. kunill, sul tipo sic. menzucunìgghiu.
Il (???) non registra per fàrfaru l’accezione che qui ci interessa. Cfr., tuttavia, (???): 159), il quale contempla, tra i diversi nomi del ‘furetto giovane’ anche fàrfaru.
Dim. di fàrfaru. V. nota precedente.
La tassonomia scientifica dei mantelli degli animali – e particolarmente di quella degli equini – è assai più complessa di quella qui considerata, che farà riferimento soltanto ai nomi riscontrati durante l’inchiesta sul campo e dunque, alla tassonomia adottata dai parlanti intervistati. 
Il sicilianismo mirrin designa alcuni mantelli composti binari riferibili a varie sfumature del ‘grigio’ (dal chiaro allo storno, dal pomellato al moscato). Ai nomi di questi manti principali si aggiunga il sicilianismo shkav  (< sic. scavu) con il quale gli anziani contadini designavano – oltre a una persona di carnagione scura – un cavallo dal muso nero.  A Geraci Siculo (PA), (???) registra l’agg f. scava ‘di capra dal manto nero’.   
Pinzirita designa, nel lessico specialistico italiano, una razza ovina autoctona siciliana.  Il (???) registra pinziritu (soltanto per Mistretta-ME e Bivona-AG) agg. ‘di ovini con macchie nere sulla faccia’. Tra i pastori di Piana degli Albanesi ricorre pincirite e kuqe (con lentiggini rosse) o pincirite e zezë (con lentiggini nere).
Molto probabilmente da un sic. *milatu ‘color del miele’ (non registrato dal (???)), giacché per la denominazione del ‘miele’ è comunemente usato l’alb. mjajt.
Prop. ‘monaca’.
L’arb. marcilluar sembra formato sul sic. *marziloru non attestato, però, dal (???) che registra le forme marzolu, marzulinu, marzuḍḍu per animali, formaggi, frutta, nati, prodotti o che maturano nel mese di marzo.
Il (???) s.v. lacciuni2 riporta soltanto quanto registrato nel dizionario inedito di (???), ossia ‘agnello che non ha ancora compiuto sei mesi’. Per i pastori di Piana degli Albanesi llaçun designa un agnello partorito tardivamente a maggio e che, dunque, in estate non ha ancora lana sufficiente per essere tosato. Gli agnelli nati a maggio, tuttavia, raramente rimangono in vita fino al periodo della tosatura, poiché sono solitamente destinati alla macellazione in ragione della difficoltà di trovare erba tenera al momento dell’eventuale svezzamento che avverrebbe tra giugno e luglio. 
Questi agnelloni sono generalmente destinati alla macellazione.
La prima fecondazione può avvenire già dal compimento del sesto mese di vita. Nel caso dell’allevamento brado o semibrado è tuttavia correlata alla disponibilità di erba fresca. Il (???) registra rrinisca ma non *rriniscotta. La forma arb. rrinishkote presenta, dunque, lo stesso suffisso -ot(e) [< -ott(o/a)] diminutivo-vezzeggiativo che ricorre anche con i nomi albanesi vajz(ote) ‘ragazz(otta)’, djal(ot) ‘ragazz(otto)’, kopil(ot/e) ‘giovin(ett-o/a)’. Cfr. anche stripote (< sic. strippotta) dim. di stripe ‘di animale lattifero che, non ingravidato per una stagione, non produce provvisoriamente latte’.
L’agg. furçilat(e) designa ovicaprini i cui picozzi presentano la cosiddetta ‘coda di rondine’, cioè un’incrinatura a forma di V, che è segno di vecchiaia e che compare in genere dopo i 5-6 anni d’età. Questo aggettivo – benché non registrato dal VS con l’accezione che ci interessa – è, dunque, certamente un derivato da sic. furceḍḍa ‘forcella’.
V. nota 46.
V. nota 50.
Agg. deverbale da alb. pièll ‘figliare’.
V. nota 49.
Deverbale da alb. dredhi ‘torcere’. L’aggettivo designa, infatti, animali – spec. giovani montoni –  castrati con il metodo della torsione endocrinale. Più generico è il significato dell’alb. shëronj ‘castrare’ (e dell’agg. i shëruam ‘castrato’) conosciuto e usato soltanto dai più anziani e generalmente sostituito dal sicilianismo zgujar (< sic. scugghiari) ‘castrare’ (con agg. zguj / i zgujarm ‘castrato’).
Questo aggettivo –  denominale da sic. latt-i con suff. -us(u/a)i ‘-oso’ –  non è registrato dal (???)Il mancato adattamento della laterale alveolare iniziale (l  [l]) alla fricativa velare (ll [ɣ], cfr., per es., llatare < sic. lattara; llunare < sic. lunara, ecc.) indica una formazione recente di questo aggettivo.
Questo tipo lessicale non è registrato dal (???). Tuttavia, (???) fa riferimento a cumpagnissu o cumpagnissa, a seconda del sesso del «vitello che prende latte da due madri» nella tecnica di lattazione del “falso vitello”.
L’arb. zdillanut è chiaramente formato su llanut (< sic. lanutu ‘che ha molta lana’), benché il (???) non registri la forma  *sdilanutu.
Questo aggettivo non è registrato dal (???). L’arb. fruntarele sembra, tuttavia, formato sul sic. frunti ‘fronte’, con la stessa motivazione dell’it. sfrontato.
Il (???) registra s.v. fuiutizzu, con diverse varianti, sulla scorta di vocabolari settecenteschi e ottocenteschi ((???), (???), (???), (???), (???)), con il solo significato di ‘fuggiasco, latitante’.
Riguardo alla donna il concetto di ‘partorire’ è comunemente espresso con l’eufemismo ble, prop. ‘comprare’, usato come assoluto, così come nel corrispettivo sic. accattari ‘compare’.
Per completezza, si riportano qui anche i nomi di altre parti del corpo umano non condivise dagli animali e pertanto non computate nelle valutazioni quantitative (v. tabb.). Sono tipi albanesi: krip-t ‘capelli’, dor-a ‘mano’, glisht-i ‘dito’, th/ua-oi ‘unghia’, burrul-i ‘gomito’, faq/e-ja ‘guancia’, ciner-i ‘ciglio’; sono sicilianismi: shpalun-i ‘spalla’, gharres-i / karin-a ‘schiena’ 
L’arb. peturin-i  (maschile, prob. per influenza dell’it. petto) ha assunto il significato generico di ‘petto’ (umano e animale) dal sic. pitturina / petturina ‘scherz. seno prosperoso’ e, primariamente, ‘pettino, pettorina’.
È sicuramente albanese il tipo vithe. Rimangono, in verità, oscuri i tipi kom e xambol che non sembrano, tuttavia,  riconducibili a varietà siciliane.
Si è ben consapevoli, infatti, che una tale distribuzione risulta più agevole nei casi estremi quali, per es. ‘gallina’ (concetto comune) vs. ‘maschio del germano reale’ (concetto specialistico); ‘vacca’ vs. ‘vacca che allatta un cucciolo non suo’; ‘pulcino’ vs. ‘pulcino di coturnice’; ecc.
Becco, caprone.
Con la particolare desinenza -ina (di matrice greca, tipica dell’area siciliana nord-orientale) con cui si designa la donna di una determinata famiglia.
Capra pazza.
Capra ghiotta.
Giovane montone.
Montone dimagrito, allampanato.
Montone spelacchiato, calvo.
Dagli occhi prominenti.
Donna della famiglia dei Muntuni (desinenza ina, di origine greca).
Agnello, ma può anche riferirsi a persona mansueta.
Con riferimento al mestiere, ma anche alla pratica di preparare pecorelle di marzapane nel periodo pasquale.
Pastore.
Con frusciari ci si può riferire a un forte flusso diarroico.
Pecora bianca.
Pecora gravida.
Riferito a pecora non fecondata, e perciò priva di latte (*EXSTIRPUS, Farè 3072).
Ricadente nella provincia di Palermo, il territorio delle Madonie  è situato tra la costa e l'entroterra palermitano, tra il messinese e il nisseno-ennese. Si tratta di un'area montana, in buona parte sottoposta a vincolo ambientale, caratterizzata da tre nuclei montuosi, i più alti dei quali raggiungono la quota di quasi duemila metri: il settore centrale, delimitato a sud dal Piano della Battaglia e costituito dal Pizzo Carbonara, dalla Mùfara e dalla Quacella; il settore sud-orientale, che comprende il Monte San Salvatore, il Fanusi e il Cavallo; il settore occidentale, comprendente e il Monte Cervi e il relativo pianoro. A questi si aggiunge il rilievo isolato di Pizzo di Pilo nell'area di nord-est. Il territorio comprende una ventina di centri abitati disposti tra i 400 e i 1200 metri, tutti di piccole dimensioni (per lo più con popolazione intorno a 4000 abitanti).
Con una popolazione di poco meno di 4.000 abitanti, il centro insiste sulla sub-area occidentale delle Madonie.
La capanna che si vede in Figura 1 è una costruzione "fittizia", realizzata durante dei lavori di consolidamento del sito, cfr. nota 5.
Non sono, infatti, costruiti su terreni presi in affitto, non hanno caratteristiche di provvisorietà essendo stati assegnati da tempo ai pastori, sicché ad ogni azienda corrispondevano una o più mànnari considerati e sentiti come una proprietà.
Sul finire degli anni Novanta, gli ovili sono stati oggetto di un intervento di consolidamento e restauro conservativo da parte dell'’Ente Parco delle Madonie. In tale contesto il sito è stato dotato di un impianto di illuminazione, di una serie di camminamenti in pietra, di una capanna di paglia, inesistente, quest'ultima quando i recinti erano ancora usati dai pastori per ricoverarvi le greggi.
Für die perfekte Einrichtung des Beitrags sowie für bibliographische Recherchen danke ich meiner Mitarbeiterin Thea Göhring.
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„Come si fusse la guera di Candia qualche sie ani“

Proklamation mit Testament des Zuane Foscarini
Archivio di Stato di Venezia, Duca di Candia, Bandi, busta 17, Register 19 (21. Juni 1665 – 1. Juli 1669)

Abschnitte des Eintrags in das Kanzleiregister:
1. Proklamation – Aufforderung, Ansprüche geltend zu machen (4. Juni 1665; f. 1r)
2. 1. Zeuge Piero Salamon bestätigt Echtheit der Handschrift (21. Juni 1665; f. 1v)
3. 2. Zeuge Nicolò Salamon bestätigt Echtheit der Handschrift (19. Juli 1665; f. 2r)
4. Testament wird für echt erklärt und eröffnet (ff. 2r-3r)
5. Testamentstext (15. August 1662; ff. 3r-5v)
6. Testamentszusatz (15. November 1662; ff. 5v-6v)
7. Bestätigung des frz. Vikars (28. November 1662; ff. 6v-7r)
8. Tergalbemerkung (f. 7r)
9. Testamentsvollstreckung (24. Juli 1665; f. 7r-v)

Abschnitt 1:
Essendo stata app(re)sentata all’ill(ustrissi)mo et ecc(ellentissi)mo s(igno)r v(ice)duca et poi / nella canc(elle)ria ducale dal m(aistr)o r(evere)ndo padre Machano Arfarà, / economo del monas(teri)o di s(an)ta Catt(eri)na Monte Sinai una cedulla / testamentaria sotto bollo, instando l’apertione et solennem(en)te / l’ellevat(io)ne di essa in vim pu(bli)ci et autentici testamenti, stante / l’avviso capitato della morte accaduta nella schiavitù / del q(uondam) s(e)r Zuanne Foscarini q(uondam) s(e)r Nicolò, di cui apportava / esser detta ordinat(io)ne onde col fondam(en)to della giustificat(io)ne / seguita p(er) la comprobat(io)ne della morte di d(ett)o Foscarini / come per lettera messiva appare scritta da Tunisi / di Barbaria p(er) mano de Zorzi Castrofilaca, schiavo nel / luoco med(esi)mo li p(ri)mo sett(embr)e 1667, reg(istra)ta nel l(ibr)o di atti della / canc(elle)ria ducale li 17 maggio pross(i)mo pass(a)to, essendo stata / disbollatta et apperta detta cedulla la qual parendo esser / scritta tutta lì in ag(ost)o 1662 coll’agionta che in essa segue / di 16 sett(embr)e susseg(uen)te et sottoscritta dal med(esi)mo q(uondam) s(e)r Zuanne / Fosc(ari)ni q(uondam) s(e)r Nicolò, continente la sua ultima testament(ari)a / ordinat(io)ne et parim(en)te sottoscritta da testimonij solenni/zata colla legalità e bolla del r(everendissi)mo mansionario e vicario / apostolico nel regno di Tunisi sotto dì 28 nov(embr)e mill(esi)mo d(it)o, / et come in essa serà de mandato dell’ill(ustrissi)mi et ecc(ellentissi)mi s(igno)ri reggimento / col tenor del p(rese)nte proclama si fa intender a cadauno / che pretende interesse sopra essa cedulla et ordinat(io)ne / testamentaria che debba nel ter(me)ne de g(ior)ni quindeci pros(si)mi / vent(uri) comp(ari)r nella canc(elle)ria ducale et sotto il p(re)s(e)nte / far notar fa la sua contrad(izio)ne esprimendo le ragioni / che in ciò intende usare, altrim(en)te pass(a)to d(ett)o ter(mi)ne si deve/nirà all’essame delli test(imon)ij p(er)la recognit(io)ne delle lettere / et carattere dell’anted(ett)o q(uondam) s(e)r Fosc(ari)ni apparente in d(et)ta cedulla / et s(erva)tis ser(van)dis all’ellevat(io)ne della med(esi)ma in vim pu(bli)ci et autentica / testam(en)ti giusta la forma delle leggi
A dì 4 zugni 1665
Publicato sopra la colon(n)a di S(an) Marco p(er) M(ar)co Dand(o)lo, m(inisteria)l, more / solito

Abschnitt 2:
A dì 21 giugno 1665
Il nob(ile) huo(mo) s(er) Piero Salamon fù del nob(il)huo(mo) s(er) Anzolo Terzo / dato sopra la ricognition delle lettere et carattere essist(en)te / nella cedulla mentuata nell’anted(ett)o proclama di 4 del / con(stan)te: „Citato, ammonito di juram(en)to, ess(amina)to et int(e)so r(ec)te dopo haver havuto nelle mani la cedulla med(esi)ma et quella / ben vista, revista et osservata questa cedulla testa(menta)ria, / la qualle principia, „copia, in nomine patris et filii et / spiritui [sic!] sancti amen jesus li 15 di agosto 1662, il g(ior)no di / hoggi jo Zuanne Foscarini q(uondam) s(er) Nicolò“ con quanto segue, / et l’aggionta ch(e) dice „li 16 di sett(embr)e 1662 mi ha capitato / una lettera di Candia li 15 di nov(embr)e 1662 havendomi venuto questa nova“ et(cetera) con tutta la rimanente serie / di essa fino dove appar la sottosc(rizio)ne ch(e) dice „jo Zuanne / Foscarini affermo quanto di sopra“ è tutta scritta / et sottoscritta di mano propria et carattere del q(uondam) sign(o)r / Zuanne Foscarini il nome del padre del quale non sò / dire se bene l’ho beniss(i)mo conosciuto, anzi veniva sopra/nominato „il Foscarini del casal Chefala“ p(er)ché era padrone / di quello, qual s(e)r Zuanne essendo schiavo in Barbaria / passò ad altra vita nel med(esi)mo luoco come si dice non / sò quanto tempo sia, ma le sottoscrittioni delli testimonij / in essa cedulla apparenti et la legalità ch(e) in essa segue / non saprei dire di cui sia carattere; et questo / affirmo p(er) la pratica e cognit(io)ne ch(e) tengo delle lettere / et carattere del pred(et)to quondam sign(o)r Zuanne Foscarini / Ad generalem relationem. La moglie di d(ett)o quondam s(e)r Foscarini era figl(iol)a d’un / primo germano della mia consorte tamen ho detto la / verità; relectum, confirmavit, juravit et subsc(ripsi)t.
Piero Salamo, afermo con giuramento

Abschnitt 3:
A dì 19 luglio 1665
Il nob(ile) huo(mo) s(er) Nicolò Salamon fu dell’ill(ustrissi)mo s(e)r Anzolo Terzo, / addotto sopra la ricognit(io)ne delle lettere et carattere / dell’
2r
dell’anted(ett)a cedula testamentaria: „Citato, ammonito / de giuram(en)to, essam(ina)to et int(e)so r(ec)te la cedula testamentaria, / hora mostratami et da me beniss(i)mo osservata et letta, / è tutta scritta et sottoscritta di mano propria et carat/tere del q(uondam) s(e)r Zuanne Foscarini q(uondam) s(e)r Nicolò che si trova/va schiavo in Barbaria et si tiene p(er) certo d’esser / passato di questa ad altra vita, così la prima, che / par scritta sotto di 15 agosto 1662, come l’aggionta che / seguita sotto la prima ordinat(io)ne fatta li 15 nov(embr)e d(ett)o mill(esi)mo / fino dove termina colla sua sottoscritt(io)ne; ma li rima/nenti caratteri che in francese seguitano et la le/galità che si vede in nome del r(everendissi)mo mansionario de Tuni/si, non conosco di cui mano siano scritte né so dire / oltre intorno ciò int(es)o de causa scientie r(ec)te. / Ho beniss(i)mo conosciuto il sud(ett)o testatore et posso / dir d’esser stato allevato con lui p(er)ché un suo barba / haveva p(er) moglie la mia germana; et perciò so / che detta cedula è scritta di sua mano, havendo la / cognit(io)ne delle sue lettere et carattere
Ad generalem relationem recte r(relexi)t conf(irmavi)t et i(uravi)t.
Nicolo Salamo afermo [con giuramento]

Abschnitt 4:
Noi Marco Castorta per la Ser(enissi)ma Republica di Venetia / et(cetera), viceduca Zuan Mattio Dandolo / et Zuanne Corner, cons(iglie)ri reggim(en)to di Candia, / faciamo noto a chi se p(re)senti perveniranno qualmente / essendo stata app(rese)ntata a noi duca et poi nella canc(eller)ia duca[le] / sotto dì 28 maggio 1665 dal m(agnifi)co r(everen)do padre Macario Arfarà, / economo del monast(eri)o di s(an)ta Catterina Monte Sinai una / cedula testamentaria sotto bollo instando l’apertione et / solennem(en)te l’ellevat(io)ne di essa in vim publici et autentici
2v
testamenti, stante l’avviso capitato della morte accaduta nella / schiavitù al q(uondam) s(e)r Zuanne Foscarini q(uondam) s(e)r Nicolò, di cui appor/tava esser detta ordinat(io)ne et essendo stata col fondam(en)to / della giustificat(io)ne seguita per la comprobat(io)ne della morte / di detto Foscarini apparente in lettera messiva, scritta / da Tunisi di Barbaria p(er) mano de Zorzi Castrofilaca, schiavo / nel med(esi)mo luoco, di p(ri)mo sett(embr)e 1664 registrata nel l(ibr)o di atti / della canc(elle)ria ducale li 27 maggio soprad(ett)o et bolata et aperta / detta cedula, la qual parendo esser scritta tutta et sottos(crit)ta / dal p(ropri)o q(uondam) s(e)r Zuanne Foscarini sotto dì 15 agosto 1662 con l’/aggionta che in essa segue di 16 sett(embr)e sussequente, continen/te la sua ultima testamentaria ordinat(io)ne et parim(en)te / sottoscritta da testimonij, solennizata colla legalità / e bollo del r(everendissi)mo mansionario e vicario apostolico nel / regno di Tunisi sotto dì 28 nov(embr)e mill(esi)mo detto; et come / in essa fù [sic!] perciò sotto dì 4 zugno pross(i)mo passato d’ord(i)ne / nostro fatta la strida solita, se alcuno pretende interesse / circa detta cedulla dover in ter(mi)ne de g(ior)ni quindeci all’hora [sic!] / prossimi comparire in detta canc(elle)ria et sotto detta strida / far notar la sua contradit(io)ne, aliter si procederebbe / alla recognit(io)ne del carattere di d(ett)o q(uondam) s(e)r Foscarini, appa/rente in detta cedula et s(erva)tis s(ervan)dis all’ellevatione / della med(esi)ma in vim publici et autentici testamenti / giusta la forma delle leggi et come in quella regist(ra)ta / nel l(ibr)o bandi di detta canc(elle)ria a c(art)e p(ri)ma, la qual essendo / passata tacita et senza alcuna contradit(io)ne, sono stati / essaminati li testimonij addotti sopra la recognit(io)ne delle / lettere et carattere dell’istessa cedula sotto di 21, giugno / et 19 luglio susseq(uen)te, quali con loro giuram(en)to et sottoscr(itio)ne / hanno affermato che detta cedula, così la prima parte / scritta li 15 agosto 1662 come l’aggionta de dì 15 nov(embr)e / d(ett)o mill(esi)mo fino dove termina la sottoscritt(io)ne d(i) detto testator, / è tutta scritta et sottoscritta di mano propria del p(redett)o q(uondam) s(e)r / Zuanne Foscarini q(uondam) s(e)r Nicolò, morto nella cattività / in Barbaria, et ciò p(er) la pratica et cognit(io)ne che hanno / delle
3r
delle lettere et carattere del med(esi)mo et come in dette / loro deposit(io)ni notate in d(ett)o libro bandi a c(ar)te p(ri)ma tergo / che s’egli habbia relatione. però veduta dà [sic!] noi la med(esi)ma cedula, strida, e deposit(io)ne di test(imon)ij sopraciò essam(ina)ti, / p(er) le quali suficientem(en)te vien comprobato che la predetta cedula et ordinatione testamentaria è tutta scritta et / sottoscritta di mano propria et carattere del pred(ett)o q(uondam) sig(no)r / Zuanne Foscarini q(uondam) s(e)r Nicolò, et considerando che le ultime volontà delli deffonti devono esser osservate et / essequite come leggi per virtù della p(re)s(e)nte nostra ter(minazi)one, / pronunciamo et sententiamo che detta cedula testam(enta)ria, / così la prima parte di 15 agosto 1662 come l’aggionta di / 15 nov(embr)e susseq(uen)te sia ellevata in vim publici et auten/tici testamenti giusta le leggi et habbia forza et / vigor di solenne, legale et autentica testamentaria / ordinat(io)ne et debba esser essequita si come fatta fosse et / scritta p(er) mano di publico nodaro et legale con tutte / le debbite solennità in quam fidem et(cetera)

Il tenor della qual cedula segue videlicet

Abschnitt 5:
copia inomine Patris et Filij et Spiritui Santi, amen Jesus
li /15/ di agosto 1662
Il giorno di ogi io Zuane Foscarini q(uondam) s(e)r Nicollò di la cità di Candia / Grande hò voluto col mio core di ordinar la mia anima, / vedendo in questo paese tanta mortalità de peste e che / mi hatrovo schiavo e non hò visto nisuno di agiutarme de queste mie afletioni se non sollo Iddio e la beatiss(i)ma / vergine; però domando perdono a tuti li fideli cristiani, / così religiosi come e laici , segondariamente mi atrovo / schiavo qui in Barbaria incirca sarano /17/ ani et hora / si atrovano dì /15/ di agosto 1662 con grandis(si)ma e silirota / schiavitù, vedendo la peste e lo fogo che hà mandà / il s(e)r Iddio, ora che mi ritrovo vivo e sano in gratia / del nostro Sig(no)re hò voluto far quatro parolle con la
3v
propria mia mano per despensar la mia roba daspo la / mia morte per l’anima mia donde mi dara fine il Sig(no)r / Iddio, adesso che mi hatrovo sano con tutti li miei sensi; / e scrivo con la propria mia mano, però voglio, che questo / mio testamento daspo la la [sic!] mia morte sia vivo, e valido; / voglio che tutte le lettere che hò fatto de qui e l’o mandate / in Candia al s(e)r Michel Sermoni et al sig(no)r dottor Lolin, mio cariss(i)mo / barba, siano tagliate et anulate si come che mai non gli / havesse fatte; io perché mi son inganato come schiavo con / le loro lettere; perché il sig(no)r Sermoni sè [sic!] lui voleva, non / mi lassava à morire così miseramente che tene un / par de case ali sui mani – valevano incirca quat/tro mille ducati– mi hà mandato reali di spagna n([…])zo /60/ / con grandiss(i)ma stenta; e sono disisette anni che tene le mie / case che io ge li hò dato per affitto; cada ano pagano per / affitto trentacinque ducati che podeva con li affitti forarme / di questa schiavitù, e lui à volsuto senza pietà e malitia / di lassarme à morire in queste miserie come si fusse la / guera di Candia qualche sie ani, aciò che quille litere / che io go mandato, lo povereto, podisero eser valide morendo / io e morendo lui porà il soprascritto sig(no)r Sermoni di testar / la mia roba ad altri come si apare anca et io morire in questa / schiavitù, prometendomi con le sue letere ché mi forasse / dela schiavitù, però voglio che siano tagliate et anulate / tutte le letere che hò mandato al s(e)r Sermoni et cedulla / testamentaria sia tagliata et anulata; però voglio et / lasso daspò la mia morte à santa Caterina ala Grega / queste predite case che tiene ch(e) tiene [sic!] el sig(no)r Michel / Sermoni come affitator soto ala parochia di Ghristo / Chefala Porta Orea , il qual queste case mi son vegniute / dalla mia consorte, dela q(uondam) sig(no)ra Madalena Querini come / residuario delli mei figlioli Carlo, Nicholochi e Margeta, / le quale case erano del q(uondam) s(e)r Carlo Querini, suo padre, come / beni paterni, però voglio et lasso à santa Catterina alla / grega
4r
Grega della città di Candia queste case che tene il soprascritto / s(e)r Michel Sermoni, ché posino averle lo soprascrito mona/sterio di santa Caterina con tuti le sue actioni et giuris/ditione et partinentie . Per la verità voglio che sia / obligato lo monasterio di fare uno quadro „Il nostro sig(no)re, / la beatis(si)ma vergine e F. Zuanne“ e meterlo alo coro della / giesia et ogni dominica di andare avanti alo quadro à [sic!] comemoriarme / il padre et non atendendo di comemoriarme / il padre; et non atendendo di comemoriarme segondo la / forma del mio testamento voglio et le lasso le soprascritte / case à san Maria di Tumartiro però che siano obligati li fra/teli far lo quadro come de sopra e spender quindese realli e / comemoriarme, aliter non atendando come di sopra posino / andar alo soprascrito monasterio. Ancora voglio e lasso à s(an) / Zorzi Apanosifi dala cità di Candia, che si trova quello mo/nasterio ala girudicion dil castel Bonifacio, uno mio casalle / chiamato à [sic!] Zavidhoghori soto ala girudition di questo istesso / castello, lo quale ge lo lasso pér [sic!] l’an ima mia case, tereni, sorori / xoghorafi , vigne, arbori et altre actioni, giuriditione [sic!] di / quello segondo che si atrovavano ale mie mani, però voglio / che sia obligato lo soprascrito monasterio di s(an) Zorzi Apanosifi che facino uno quadro di spender vinti reali di far il / quadro „la santa Caterina“ et ogni dominica di andar lo padre avanti di quello quadro di comemoriarme; et di più / voglio che quello quadro sia meso ala banda drita dello / altare di san Zorzi et di più voglio ché [sic!] lo monasterio soprad(ett)o / sia obligato ogni ano la festa di s(an) Zorzi alli vintitre di apri/le di far tanto pane de diese misure di farina e diese / mistachi di vino di donarlo al casal Chefala et al casal / Zavidoghori che me veneno delli miei beni paterni del / q(uondam) sig(no)r Nicolò Foscarini q(uondam) s(e)r Alvise, come apar ale mie / carte giugal soto alli ati de motio sepi et di più voglio / et lasso li terreni, vigne e case col aere ala mia zer/mana monega chiamata Theognirifi, figl(iol)a dell’ecc(ellentissi)mo s(e)r / dottor Lolin, do per l’anima mia però che sia maridata
4v
à par di essa nobille o pur che sia anca moneca sia [sic!] et se / intendino quello liago alla soprascritta theognirifi / vignie tereni et case aliter se quella non sàra ó moneca / ó maridata onoratamente sia andato à san Zorzi Apanosiffi. / Non lasso niente alo mio zermano Zorzi Foscarini q(uondam) s(e)r Zuan/-Antonio, voglio che sia privo perche non hà [sic!] fato da paren/te mà [sic!] hà [sic!] fatto dà [sic!] crudele cristiano non hò [sic!] buto mai / una letera dalle sue mani almanco per vergognia delli / homini, voglio et lasso al monasterio di Alessandria à santo / Sava quello metochio di Pandoglioches, che mi hà [sic!] dato la mia / socera, la q(uondam) sig(no)ra Anesina Manin, per doni et per stima / oro, argento, vistimenti et ornamenti della sua figliolla / si atrova soto ala giradicion di castel Temene, li quali / beni questi ó pur [sic!] metochio che ge laso , voglio con questa / condicione che facino uno quadro di santa Caterina / e spender quindese reali e meterlo in gesia e ogni domi/nica andar lo padre daspò la mesa à comemoriarme avan/ti di quello quadro; non atendendo à comemoriarme / voglio che questo legato vada à uno monasterio di balla / in Candia soto ala giradicion di castel Temene et lo mona/sterio, cioè le preditte monege che si atrovano a quello / sudetto monasterio, siano obligate con l’istesse condicioni; / aliter vada quello metochio al più prosimo parente / della mia sociera, consorte della q(uondam) sig(no)ra Madalena Querini. / Voglio et laso tutto quello che me toca de beni paterni / dilla q(uondam) sig(no)ra Madalena Querini mia consorte siano et / se intendino al sig(no)r Zorzi Querini mio cugnato fratello / della q(uondam) sig(no)ra Madalena dilli beni stabelli delli casalli / Carcadhioti Agalandes et Gurnari et le case grande che / si atrovano al casal Casanus siano et che se intendino / per l’anima mia con quista condicioni che sia obligato il sopras(crit)to s(e)r Zorzi di mantener le cause lite ch(e) posino / pervenir delle case grande della cità debiti del suo / padre del q(uondam) s(e)r Carlo per esser conservati di tutti li / debiti come di sopra il qual toca al s(e)r zorzi di mante/nerli et conservarle pe[r]ché tutti li ani li teneva / e mangiava
5r
e mangiava le intrade di quelli soprad(et)ti beni e tutta la / massacitia delle case grande e vinduto le cose al s(e)r Vidoli fontigher / di Candia grande et io queste case grande non li tenivo si non quattro / anni, dichiaro per la verità, che questi beni che lasso al sig(no)r Zorzi / mio cugniato non havera mantinuto et conservato le case come di sopra, voglio che questi beni che me tocano come residuario delli / miei figlioli, voglio che vadino à s(an) Zorzi Apanosifi di mantener / le case e questi stabeli come di sopra siano et se intendino / à san Zorzi con le conditioni che vano specificando del casal Zavi/doghori; ancora voglio di quello che ge toca delle case per beni / paterni di non poter far divisione nè domandar cosa alcuna, ancora / voglio et lasso quelli tereni che m’ano dato alo metochio di Ghalap[…] / per rifacion dela stima di dote come apar al instrum(en)to fatto / ali ati de Magno Vlaghio alo soprascritto mio s(e)r cugnato Zorzi Querini / – però sè intende con li condicioni come di sopra aliter voglio, che / vadino questi beni al sopradito Zavidoghori à s(an) Zorzi Apanosifi, / dichiarando per la verità che lo sopradetto monasterio di s(an) Zorzi / di fare lo lemosino delo vino e dello pane e lo quadro et questo / per l’anima mia, dichiarando per la verità che li com(m)essi / dello predetto monasterio / di s(an) Zorzi di fari lo medesimo dillo / vino e dillo pane et lo quadro et quisto per l’anima mia, / dichiarando per la verità che li comessi dello pred(ett)o mona/sterio di mantenir et conservar li case grande della / cità che laso à s(an)ta Catterina per tutti li bisogni che vegnirano / ale predete case. Asai m’alemento al s(e)r Michel Sermoni / che tieni per affetto le mie case e tene alle sue mani più / de cinquecento ducati et io và in pericolo di morire in / barbaria. Ancora m’alemento alo mio zermano Zorzi Fosc(ari)ni / q(uondam) s(e)r Antonio, che mai non mi a mandato almanco una / lettera. Ancora m’alemento à Michel Carli mio zermano, figl(iol)o / dell’ecc(ellentissi)mo s(e)r Tomaso Carli, mio barba, che mai non hà dito lo suo / core che mi havesse mandato una letera, che mai non hà / cogniosuto dà me niente di male, mà sempre l’o mantenuto / per lo suo onore io mi hatrovo scarso delli altri miei pa/renti però gli prigo che mi perdonano perché, segondo che / mi hano proceduto à canto di mè, ancora io hò proceduto
5v
io non hò cogniosciuto amore sé non dall’ecc(ellentissi)mo s(e)r dottor Lolin / mio barba, segondo zermano dello mio padre, però in questo mio / testamento mi trovo confuso di haver tanti ani, sie et più, / che non hò visto una sua litera, però per questo non l’o par/ticipato, però dico al mio pensiero che sia pasato ad altra / vita e non sapendo come si atrovano li suoi figliolli s(e)r Nicollò / non s’a degniato mai à [sic!] scriver una letera in te[r]mene de / sie anni à un schiavo che tengo informatione che stà vivo / infina al prisente; pur voglio e di più dichiarisco : Voglio / con questa condicione dilo soprascrito testamento tutti li / legati che laso siano et se intendino dopo la mia morte / ancora che si atrovara che non habia l'Avemaria che / sia nullo de un vallor et con questo prego il s(e)r Iddio e la / beatisima vergine che me daga bene al’anima. Ave Maria / gratia plena dominus stecum benedicta tù in mulieribus / et benedictus frunctus [sic!] ventris tui jesus santa maria / mater Dei ora pro nobis pecatoribus nunc et in ora / mortis noster amen jesus.

Abschnitt 6:
li /16/ di sett(embr)e 1662
mi a capitato una lettera di Candia
li/15/di nov(embr)e 1662. Havendomi venuto questa nova che il sig(no)r dottor / Lolin mio barba e lo sig(no)r Michel Sermoni siano passati de / altra vita, hò voluto dichiarire con questo mio condicillo [sic!] / più meglio la mia opinione. Come hà proceduto per mè, / povero schiavo, il sig(no)r Michel Sermoni è morto e per sessanta / reali che m’à mandato in Barbaria hà voluto testare le mie / case senza altra cosa non me hà dato. E posibile il s(igno)r Iddio / vole é [sic!] la nostra Republica che io moro in barbaria e lui / testar la mia roba - ó che crudeltà! Però voglio che sia / tagliate le litere che go mandato et cedulla testamentaria / et anullata come mai non si fossero fatte et che le case / daspò la mia morte siano e sé inténdino à santa Catterina / per l’anima mia et che sia obligato di presentar il residuario / del Michel Sermoni li affiti delle case, ò pur trecento reali / per lo mio rescato per lo tempo che sentavano drento ale / soprasc(ri)te
6r
soprascrite case; e se lo residuario donase li trecento reali / per rescatarme e che li havese fato dipositare à uno / marcante in Candia sicuro per poter scriver lui per via / di Venetia e che faza una piezaria ali mij comessi che lui / farà lo desborso di quelli qui in Barbaria, alora voglio che / lo residuario delo Sermoni posa sentar ale case, fina che / io vengo della schiavitù aciò che non habia perdita se/ ge resto aspri peró pretendo lo interosurio del danaro p(er) / lo tempo che li teniva, dichiarando ancora che il sig(no)r Iddio / volesse che per strada io morise voglio che le case siano / alo monasterio di santa Catterina; li denari che sarano / presentati sia obligato lo depositario di despensarli à / questo modo: Sè si trovarà qualche christiano per vegnir qui / in Barbaria di portar carte di cambio, ó pur che vegnia, per / poter con questo modo di rescodarme, voglio che abia cento / reali et li altri cento voglio che conzano la gesia di casal / Zavidhoghori il sa[n] Zorzi fabricarlo far gli aparamenti e far / una casa e meterli drento e far do bandiere rose per la / sua festa siano obligati li calogieri di s(an) Zorzi Apanosifi / di ricever il danaro et far la fabrica et li altri cento / reali voglio che restano qui in Barbaria di fare tanti / aparamenti della giesia e che siano obligati di comemo/riarme segondo l’ordenario et ogni dominica di comemoriar/me il padre che si atrova in Barbaria à s(an) Zorzi se non / attendendo sia privo dello legato e che vada li cento / reali àl bagno di santa Croce et con questo mi pare / che mi son inganato perché specifico carcadhiotita di / questi beni non hò budo mai il possesso sè non che hò / sentuto che teniva vignie il mio socero, però di quello / che sarà lo vero, pregando il s(e)r Iddio che mi daga la / libertà e segondariam(en)te che mi daga la gratia di / morire in un monasterio non altro prego tutti li fideli / cristiani, che mi perdonano così e laici come’ come [sic!] religiosi. / Dichiaro per la verità li legati che laso siano dati dà / quelli dello mio rescato cioè delli trecento reali che / adđadar lo residuario del Sermoni ó pur per l’affito,
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aliter che sia obligato lo depositario di pagarli del suo / voglio che se avanzavano qualche cosa di danari, siano / e se intendino ala mi zermana Theoninfi moneca mia / comesa et questo sara sotoscrito dal molto reverendo / vicario et console di questa cità et restarà una copia / ali suoi libri
io Zuanne Foscarini afermo quanto di sopra

Marco testimoni Guillaberto testimonij
jo Joa(n) Bonà jo Pasquale Simioco test(imoni)o

sottoscritt(io)ne in breviatura francese illegibile

Abschnitt 7:
noi, Gio Levachet, prestre della congregatione della miss(io)ne
per la gr(ati)a di Dio missionario e vicario apostolique in questa / città e regno di Tunisi vicario generale di Cartagine in Africa /
a tutti che le p(re)sente vederanno salutem in domino / faciamo piena e indubitata fede che Giovani Foscarini / q(uondam) Nicola della città di Candia doppo molti anni schiavo in / questa città noi hà dichiarato havere molte volte scritto / alle sui parente per portarle à liberarlo della schia/vitudine sua et che non havendo mai havuta risposta / di loro, serà risoluto per modom testamentij soprascritto / et sottoscritto da sette testimonij di desporre del tutto / tanto mobile quanto stabile che lui pote ottenire / della successione del sig(no)re Nicolò Foscarini gondam [sic!] / Luigi Marcosina Carle sue padre e madre et di de/funto q(uondam) s(igno)ra Magdalena Quirini sua consorte in testimo/nij del che habbiamo sottoscritto (con) le presente di manu / proprio [sic!] et all’hora fatto apponere il sigillo ordinario / della nostra missione datto in Tunisi a dì 28 di nov(embr)e 1662 /
Gio Levachet vicario apostolico
del mand(a)to dell’illus(trissim)o sig(no)re vicario
apostolico ranquiem[(…)]
s. s. e(tc.)

Abschnitt 8:
a tergo
7r
atergo / chi piglia questa carta stà un testam(en)to e và per via di / Candia e che faza per amor di dio che lo mandese che stà / de un schiavo di Parbaria, voglio che non sia averto si / non dopò la mia morte
Candia cità grande

Abschnitt 9:
A dì 28 maggio 1665 / la p(re)s(e)nte cedula testamentaria fù app(re)s(e)ntata sotto bolla all’ / ill(ustrissi)mo et ecc(ellentissi)mo s(e)r v(ice)duca dal m(agnifi)co r(everen)do pre(sbiter) Machario Arfarà, economo / del monasterio di s(an)ta Catterina Monte Sinai, instando l’aper/tione et solennem(en)te l’ellevat(io)ne della med(esi)ma in vim pu(bli)ci / et autentici testamenti, stante l’aviso capitato della morte / accaduta nella schiavitù al q(uondam) s(e)r Zuanne Foscarini q(uondam) s(e)r Nic(ol)ò, / di cui asserisce esser detta ordinat(io)ne et vista da s(ua) e(ccellenza). la man/sione apparente nella sopracoperta della med(esi)ma et la / lettera d’aviso scritta da Zorzi Castrofilaca, etiam lui / schiavo in Barbaria, li p(ri)mo sett(embr)e 1664 colla quale attesta / d’esser passato dalla p(re)s(e)nte vita d(ett)o q(uondam) Foscarini, registratta / nel libro di atti della canc(elle)ria ducale li 17 maggio instante / colla recognit(io)ne del carattere di essa et omnib(us) consideratis / ha ordinato l’apertione et dibollo dell’istessa cedula, perché / poi mentre si ricavarà dalla med(esi)ma esser l’ultima te/stamentaria ordinat(io)ne del soprasc(rit)to Fosc(ari)ni come vien / rappresentato dà detto r(everen)do economo, sia prosseguito alle / stride et s(erva)tis s(ervan)dis alla rillevat(io)ne di essa in forma di publico / solenne et autentico testam(en)to conforme alla disposition / delle leggi , stante il che essendo stata dibollata la ce/dula med(esi)ma alla p(re)sentia di s(ua) e(ccellenza) et apparendo nel princi/pio di essa il nome del sud(ett)o q(uondam) s(e)r Zuanne Foscarini et nel fine / la sottoscritt(io)ne del med(esi)mo, solennizata come in essa stà, se / p(er) ciò ordinato ad iuris maiorem cautelam non ostante / le solennità in essa apparenti sij proceduto à quanto / riesca necessario p(er) la ricognit(io)ne del carattere di essa et
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servatis servandis alla sua rillevat(io)ne in vim / publici et autentici testamenti vista le leggi (etc)
data in Candia dalla canc(elle)ria maggior li 24 luglio 1665
per mano di mè Tomaso Sachellari, nod(er), sec(reta)rio d(uca)l, v(ice) canc(ellier) g(rande)

Fra chi parla mandinka in Gambia e nella regione di Casamance (nel sud del Senegal) kankurang è uno spirito incarnato da un danzatore mascherato, considerato il principale custode delle celebrazioni dell’etnia mandingo come il rito della circoncisione e della celebrazione del matrimonio. I mandingo ritengono che il kankurang può curare l’infertilità nelle donne.
Si tratta di due località poste agli estremi del Paese.
Per il termine cf. Krefeld (???).
Molto di quanto qui scritto nasce dal nostro lavoro al progetto Network of Knowledge (2012-2016, finanziamento FWF) e all’Hugo-Schuchardt-Archiv (???). Quest'ultimo presenta l'opera omnia schuchardtiana, le relative recensioni e diverse edizioni dal suo epistolario, costituito da oltre 13.000 lettere e cartoline a lui indirizzate e conservate presso la biblioteca universitaria di Graz (cf. (???)), cui si aggiungono numerose lettere e cartoline scritte da Schuchardt rinvenute in biblioteche e archivi europei e non. Alla fine del 2018 oltre 6000 lettere erano disponibili in edizione digitale.
Consultabile in forma digitalizzata al sito NavigAIS
Quando non diversamente indicato, il numero corrisponde a quello con cui sono archiviati i pezzi di corrispondenza ricevuti da Schuchardt presso la Biblioteca universitaria di Graz, Hugo Schuchardt Nachlass.
Questo si concretizzava da una parte in un fitto scambio epistolare tra scienziati di diverse discipline, dall'altra nei diversi circoli, società e associazioni accademici, come p. es. la società antropologica di Vienna (???).
Non è certo questa la sede per approfondire la storia di tale approccio, per cui rinviamo alle pubblicazioni già citate, ma anche alle collezioni, visitabili in via telematica, di oggetti di interesse etnografico di Hugo Schuchardt (Volkskundemuseum Wien) e di Rudolf Meringer (Institut für Kulturanthropologie und Europäische Ethnologie der Universität Graz) e al carteggio tra Schuchardt e Meringer (???).
Cf. l’edizione (non commentata) in Melchior (???).
Carteggio parzialmente edito in Heinimann ((???), (???)).
La corrispondenza è stata analizzata nell'ambito di una Seminararbeit presso l'Institut für Sprachwissenschaft, ma è tuttora inedita.
L’edizione critica del carteggio è di prossima stampa (???).
Nonostante la corrispondenza tra Schuchardt e Puşcariu continui con discreta costanza fino al 1926, non vi sono cenni al progetto dell'Atlasul lingvistic român, per il quale nel 1922 erano cominciate le inchieste.
È evidente che vi è una reciproca interdipendenza e non possono essere considerati come "passi di lavoro" (sempre) nettamente distinti l'uno dall'altro. Tale distinzione ci pare tuttavia funzionale per capire meglio gli spunti di riflessione teorica che ne nascono.
Weigand raccolse personalmente i dati per il suo atlante nel corso di otto viaggi in loco a partire dal 1895. La pubblicazione dell'atlante avvenne dapprima a fascicoli, dal 1898, e poi in volume nel 1909. Il paradigma neogrammaticale godeva allora ancora di un forte consenso, soprattutto a Lipsia, alma mater di Weigand. Le inchieste per l'AIS, pubblicato a partire dal 1928, furono invece effettuate da tre esploratori appena dopo la fine della Prima Guerra mondiale, a partire dal 1919, in una fase dunque in cui l'approccio di Wörter und Sachen era già stato pienamente recepito dai linguisti svizzeri e non solo.
Gli otto volumi dell'AIS abbracciano 1705 carte, ciascuna delle quali comprende 405 punti d'inchiesta; il Linguistischer Atlas des dacorumänischen Sprachgebiets, in un unico volume, comprende 67 carte che si basano su 752 punti (!) di inchiesta, in cui i materiali vennero raccolti in un tempo assai breve e quasi esclusivamente da Weigand stesso.
Quelli dell'AIS erano di stampo lessicologico-culturale, oltre che fonologico e morfosintattico, nell'atlante di Weigand prevale invece l'interesse fonologico-storico.
Base per le inchieste dell'AIS fu il Fragebuch, elaborato sul modello di quello concepito per l'ALF, mentre Weigand, che pur aveva grande esperienza di lavoro con questionari, si prepose di raccogliere "Normalwörter" che potessero venire utilizzati spontaneamente all'interno di discorsi con gli informanti (per maggiori dettagli sulla metodologia e gli obiettivi dell'atlante romeno cf. (???), per l'AIS cf. (???)).
Meno intensa è la coeva corrispondenza tra Schuchardt e Jaberg: ai diciotto pezzi di corrispondenza di mano di Jaberg conservati a Graz si aggiungono solo tre indirizzati da Schuchardt al collega bernese.
Non si trovano invece spunti metodologici legati alla concezione dell'impresa atlantistica - Weigand sembra piuttosto preoccupato di tenere al corrente Schuchardt dei progressi nel lavoro, annunciandogli la pubblicazione delle diverse sezioni; cf. per esempio la lettera del 2 dicembre 1899 (n° 12704) in cui gli chiede se abbia avuto occasione di scorrere la seconda sezione dell'atlante, appena pubblicata, invitandolo a farne una recensione sul Centralblatt - desiderio che Schuchardt non esaudirà.
Weigand dedicò molto spazio alla descrizione dei suoi viaggi, come nel seguente esempio: "Für die Pferde ist es eine harte Arbeit, auf dem in Schlangenlinien sich windenden Pfade die Berge zu erklettern. Doch mit bewundernswerter Ausdauer überwinden sie alle Anstrengungen. Auf der Höhe ist eine Quelle "Kodru mare = großer Berg“ genannt. Ein überraschender Anblick bietet sich dort dar. Gerade vor uns, scheinbar sehr nahe, liegt V.L. auf halber Bergeshöhe, wie an die Felsen angeklebt. [...] Ein schmaler, gefährlicher Saumpfad führt in einem Stündchen nach V.L. (???).
Nonostante Jud tragga ispirazione dalle idee schuchardtiane, egli fa cenno all''impresa dell'atlante solamente a inchieste iniziate, il 21 agosto 1919 (n° 05195), e appena un anno dopo ne svelerà alcuni parametri, riconoscendo come l'impresa sia debitrice, nella sua concezione, all'insegnamento di Schuchardt: "Das Questionnaire umfasst etwa 2500 Wörter und Sätze: wir hoffen nichts wesentliches ausgelassen zu haben. Neben diesem Normalquest. existiert ein erweitertes Questionn. mit etwa 5000 Wö. u. Fragen, die er auf seiner ganzen Reise an 20 Punkten abfragen soll. In Bünden ist dies im Münstertal und in Lenz (bei Thusis) geschehen. An jedem Ort soll er eine Anzahl Photos von Geräthen aufnehmen, die als Bilderatlas einst veröffentlicht werden sollen. Das ist die teilweise Verwirklichung Ihrer Idee: Sprach- und Bilderatlanten. (n° 05204, 14 aprile 1920)".
Schuchardt (???) scrive "Und in der That finden wir noch auf dieser Seite der Gebirgshöhe Ortschaften deren Sprechweise der französischen Schriftsprache entschieden näher steht als der italienischen. Aber wo sollen wir den Grenzpfahl in den Boden stossen? Etwa da wo wir den Schweinehirten seine Thiere nicht mehr i porci sondern lus cusciuns, les cochons nennen, oder da wo wir zuerst ein Kind von seinem Vater nicht mehr als mio padre, sondern als mon paire, mon père sprechen hören? Ich befürchte, es möchte dabei der besondere Geschmack eines jeden zu Tage kommen".
Jud ritorna su questo punto nella sua lettera del 25 dicembre dello stesso 1917, contrastando in parte la Sprachverwandtschaft schuchardtiana (???): [...] Der Widerspruch bewegt sich in der Richtung, dass ich gerne gesehen hätte, welches die Wahl der Merkmale sein muss, um von einer stetigen geographischen Abstufung reden zu können. [...] Ich gebe zu, dass bei „ungestörten“ Verhältnissen sich die geographische Abstufung mit der sprachlichen in correlatem Verhältnis befindet: aber hat die sprachliche Betrachtung je mit solch primitiver Lagerung zu untersuchen Gelegenheit? Und ist es nicht gerade eines der reizvollsten Probleme zu zeigen – was Sie am Schlusse so eindringlich betonen – dass Sprachgeschichte Volksgeschichte oder besser Geschichte der Sprechenden einer Volksgenossenschaft oder der Menschheit ist? Ist die Gruppierung der italischen Mundarten nicht auch ein Capitel der Geschichte der Italienisch Sprechenden?" (n° 05188)
A questo riguardo si vedano anche le interessanti osservazioni di Goebl (???) sul progetto del Glossaire des patois romands de Suisse sotto l'egida di Louis Gauchat.
Le carte di prova per "Sense und Sichel" che arrivarono a Graz più tardi sono conservate nel lascito di Schuchardt all'interno della sezione Werkmanuskripte al numero d'archivio 17.6.1.6.
In una lettera presumibilmente databile all'inizio del 1921 e sicuramente posteriore alla ricezione delle carte di prova, Schuchardt fa riferimento a possibili migliorie nella rappresentazione delle cose e delle parole sulla carta, che l'ormai quasi ottantenne dovette consultare con l'ausilio di una lente d'ingrandimento.
Ritorna poi sull'argomento oltre due anni dopo, : "Ich kann nur selten und nur wenig arbeiten. Ins Romanische darf ich eigentlich gar nicht mehr hineinreden; wie ich Ihnen schon sagte, bilden der Atlas ling. und andere 'Wälzer' für mich fast unüberwindliche Hindernisse" (Archivio dell'AIS, Berna, lettera non numerata del 18 agosto 1919).
Esemplari di ciò possono essere considerati i cenni che fanno Jaberg/Jud (???) riguardo alla ricerca dell'editore e alle spese dell'AIS.
Così scrive Wunderli (???): "Projekte für einen derartigen Sprachatlas – u.a. den Atlante linguistico mediterraneo, den Atlante linguistico europeo usw. – hat es inzwischen verschiedene gegeben; keines davon ist jedoch auch nur annähernd zur Publikationsreife gediehen. Die Vision Schuchardts eines „übereinzelsprachlichen“ Sprachatlasses dürfte damit nach über hundert Jahren dem Bereich der Utopien zuzuordnen sein".
Il problema dei finanziamenti, a prima vista alleviato dalla raccolta dati tramite web, dunque resta, ma cambia fisionomia: se i costi per le esplorazioni possono essere notevolmente ridotti, ve ne sono altri, di concettualizazione e programmazione delle piattaforme che ospitano gli atlanti, di salvaguardia dei dati, oltre che, naturalmente, di personale scientifico e tecnico che monitora, adegua, rielabora, aggiunge, ecc. nell'ambito di progetti che, per loro natura, non possono mai dirsi conclusi.
Non entriamo qui nelle questioni riguardanti la conservazione e l'archiviazione a lungo termine di grandi quantità di dati, che senz'altro è un quesito di centrale importanza per tutti i progetti delle digital humanities, ma per il quale esistono già esempi di buone pratiche.
Altri problemi sono legati, per esempio, all'interpretazione dei dati forniti in maniera scritta - si pensi alle diverse grafie scelte per la rappresentazione di fonemi dialettali, qualora di questi non siano forniti anche realizzazioni foniche. Ciò comporta, in diversi casi, che tali dati possano essere utilizzati solo per un'analisi di tipo lessicale, ma restino preclusi allo studio fonetico-fonologico. Posto poi il caso che tali dati venissero corredati da registrazioni audio, quale sarebbe lo status da attribuire a queste, che, senza una trascrizione e interpretazione da parte dello scienziato, resterebbero piuttosto dati "grezzi"?
Data la dinamicità e apertura dei nuovi progetti diviene ozioso chiedersi, come invece fecero Jaberg und Jud, se il materiale raccolto sia adeguato a rispondere a interessi scientifici diversi, in quanto esso può continuamente essere integrato e rimodellato.
Eterogeneità che caratterizza anche altri progetti atlantistici: si pensi per es. all'ASLEF (???) o all'ALI (???), che presenta anche dati raccolti in precedenza in altri atlanti. Nonostante le diverse fonti siano indicate, la rappresentazione cartografica appiattisce monodimensionalmente i diversi dati.
Come osservano (???), la natura sfumata dei confini del discorso politico implica che tali confini possano essere di volta in volta ridefiniti a seconda di che cosa si intenda per ‘politica’ e dunque di che cosa si voglia includere in tale dominio. In teoria, gramscianamente, potremmo dire che “tutto è politica” e dunque dovremmo/potremmo considerare proprio del discorso politico ogni testo che affronti tematiche che riguardino l’ambito della politica. Tuttavia, Nella concreta pratica analitica si tende a restringere il campo ai generi prototipici del discorso politico, distinguendo, ad esempio, fra discorsi attinenti l’attività politica istituzionale (parlamentare, governativa, delle figure ufficiali come i capi di stato ecc.), discorsi riguardanti l’attività dei partiti (campagna elettorale, dibattito interno, ecc.) e discorsi in cui la politica diviene oggetto di informazione (in tv, alla radio, sulla carta stampata, sul web).
Non intendo, in questa sede, addentrarmi nella discussione sulla differenza fra ‘testo’ e ‘discorso’. Benché non tutti gli studiosi siano d’accordo nel considerare i due termini come sinonimi, li userò qui, per una mera questione di praticità espositiva, in modo quasi intercambiabile, fermo restando che tenderò ad adoperare il primo quando vorrò riferirmi allo specifico prodotto dell’attività comunicativa, mentre ricorrerò al secondo quando farò specifico riferimento al processo che conduce alla costruzione del testo. Si veda su questo (???) e, per quanto riguarda più nello specifico l’ambito politico, (???). Al tempo stesso, seguendo la terminologia introdotta da Peter Koch (???), userò il termine ‘genere discorsivo’ in riferimento a quelle concrete attività discorsive che arricchiscono i tipi testuali astratti “di pratiche e di regole nate in un contesto storico particolare, ammettendo magari degli incroci tra le categorie astratte” (???).
Faccio qui riferimento al modello di analisi dell’argomentazione elaborato dalla cosiddetta ‘scuola olandese’ (???). Secondo questo modello, i discorsi argomentativi si dislocano lungo un continuum ai due estremi del quale si collocano rispettivamente i discorsi in cui prevale la componente dialettica e i discorsi in cui prevale la componente retorica. La prevalenza della prima si concretizza nei discorsi argomentativi improntati al confronto fra idee, il cui obiettivo è quello di convincere l’interlocutore della giustezza delle proprie posizioni. Questi discorsi sono caratterizzati dal fatto che i partecipanti si dispongono reciprocamente ad ascoltare ed eventualmente a riconoscere la ragionevolezza delle opinioni espresse dall’altro e, dunque a farsi convincere da quelle abbandonando le proprie. Sul piano della teoria politica, questo tipo di discorso argomentativo è quello più vicino al modello di democrazia deliberativa elaborato da Habermas. La prevalenza della seconda componente (quella retorica) si concretizza in discorsi tesi alla persuasione dell’uditorio, usando tutti i mezzi per screditare non solo le idee contrarie alle proprie, ma anche coloro che le professano. Sul piano più generale, si entra qui nel campo della propaganda.
A dire il vero, e per concedere le attenuanti alla categoria alla quale appartengo, gli studi di carattere più propriamente linguistico hanno adottato un modo di procedere più oggettivo, benché abbiano per lo più lavorato sulla descrizione sincronica o diacronica di peculiarità strutturali, che però restano sul piano dell’osservazione empirica, senza spingersi a tentare di giungere a una definizione generale dei caratteri del linguaggio politico.
Capostipite di questo filone di studi è considerato Lasswell (???).
Riporto una delle più note di queste invettive, quella che Pasolini rivolse ai leaders della Democrazia Cristiana: “[...] ogni volta che aprono bocca, essi, per insincerità, per colpevolezza, per paura, per furberia, non fanno altro che mentire. La loro lingua è la lingua della menzogna. E poiché la loro cultura è una putrefatta cultura forense e accademica, mostruosamente mescolata con la cultura tecnologica, in concreto la loro lingua è pura teratologia” (???).
Lorella Cedroni, filosofa della politica prematuramente scomparsa, ha il merito di aver introdotto in Italia la cosiddetta ‘politolingustica’, calco dal tedesco Politolinguistik, termine coniato nel 1996 da Armin Burkhardt per indicare un ambito di analisi interdisciplinare che si colloca al confine fra linguistica e scienze politiche. Essa può essere considerata da un lato come un’area di applicazione degli strumenti dell’analisi linguistica (in particolare della semantica e della linguistica testuale), dall’altro come un campo di interesse della scienza della politica applicato allo studio del linguaggio impiegato dagli attori politici.
Klemperer fa qui riferimento, sul versante della lingua del nazismo, a un verbo (gleichschalten, ‘sincronizzare’, livellare, ‘uniformare’), che secondo lo studioso è fortemente rappresentativa della mentalità nazista: “Par di vedere e di sentire il pulsante che fa assumere a persone, non a delle istituzioni, non a istanze impersonali, posizioni e movimenti automatici uniformi” (ivi: 188). Sul versante del modello linguistico sovietico, invece, l'Autore cita la metafora, attribuita a Lenin, secondo cui l’insegnante è una sorta di “ingegnere dell’anima”. Istituendo (in maniera un po’ forzata) un ragionamento sillogistico, se un ingegnere, che si occupa di solito di macchine, viene associato alla cura dell’anima, se ne dovrebbe concludere che l’anima è una macchina. In realtà, osserva Klemperer, l’uso di questo tipo di metafore nel contesto educativo sovietico si spiega con il fatto che la tecnica era, nell’URSS di quel tempo, considerata il mezzo che avrebbe garantito alle masse popolari la possibilità di liberarsi dalla schiavitù del bisogno e di raggiungere livelli di esistenza più degni della condizione umana.
Dopo la caduta del regime hitleriano, Klemperer riottenne la cattedra di filologia romanza al Politecnico di Dresda e, già alla fine del 1945, aderì al partito comunista. Dopo la sua fondazione ufficiale nel 1949, decise di rimanere nella DDR (Repubblica Democratica Tedesca), ricoprendo anche incarichi ufficiali in seno al mondo accademico di quel paese (traggo queste informazioni dalla postfazione alla quinta edizione italiana della LTI).
Un affresco a tinte fosche del circolo vizioso in cui la lingua della democrazia sarebbe caduta a causa dell’abuso (cioè dell’uso fine a se stessa) della retorica è in Thompson (???).
Edelman individua quattro stili distinti di linguaggio che strutturerebbero il processo politico: lo stile giuridico, lo stile amministrativo e lo stile della contrattazione.
Traggo questo stralcio dal più ampio brano riportato ne L’affaire Moro di Leonardo Sciascia (???).
Secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Interno (http://www.interno.gov.it/sites/default/files/dossier_viminale_ferragosto-dati_1_agosto_2017_31_luglio_2018.pdf) gli omicidi sono calati in un anno (luglio 2017-agosto 2018) del 15% (del 50% negli ultimi 10 anni), mentre i furti dell’8% (del 38% negli ultimi 10 anni).
http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=121167, ultima consultazione 28 ottobre 2018.
Il 20 agosto 2018 la nave della marina militare italiana Ubaldo Diciotti, che  quattro giorni prima aveva soccorso in mare 190 persone, giunge nel porto di Catania. Su ordine del ministero dell'Interno, i migranti sono stati trattenuti a bordo fino alla mezzanotte del 26 agosto. Da qui l'accusa di sequestro di persona rivolta al ministro Salvini. Nel marzo del 2019, il Senato della Repubblica ha negato l'autorizzazione a procedere nei suoi confronti.
Cfr. (???).
Per un quadro generale della vitalità del lessico nella cultura dialettale siciliana, cfr.  (???), il quale – negli ambiti della cultura materiale – attribuiva alla pastorizia una «Buona vitalità/Permanenza della terminologia».
Le informazioni lessicali contemplate in questo studio sono state reperite attraverso indagini sul campo, da me effettuate tra il 1989 e 1991, che hanno coinvolto 5 pastori, 4 contadini, 6 cacciatori e 5 casalinghe (mogli di pastori e contadini) di età compresa tra i 55 e i 90 anni. 
I concetti di seguito considerati sono tuttavia in numero maggiore rispetto ai tipi lessicali qui computati, giacché alcuni di essi sono usati, con restrittori aggettivali o nominali, per designare più concetti: per es.  derr ‘maiale’, derr porkuspin ‘istrice’, derra-dhindjë ‘porcellino d’India’, ecc. ; pulë ‘gallina’, pul-uji ‘gallinella d’acqua’; kuk ‘civetta’, kuku me vesht ‘gufo comune’, ecc. Non sono state computate, altresì, le forme diminutive (quali, per esempio, ljeparush ‘leprotto’ dim. di ljepur ‘lepre’, ecc.; derriçel ‘maialino’ dim. di derr ‘maiale’) e accrescitive (quali, per esempio, kaqicac ‘agnellone’ accr. di kaqic ‘agnello’, ecc.).
Per la trascrizione delle forme arbëreshe si userà l’alfabeto albanese che presenta, per la maggior parte dei fonemi, puntuali corrispondenze con i grafemi dell’alfabeto italiano. Per i grafemi e i digrammi corrispondenti a pronunce diverse o non presenti nel sistema italiano, si considerino le seguenti relazioni: c [ʦ], ç [ʧ], dh [ð], ë [ə], g [g], gh [ɣ], gj [ɟ], h [x], j [j, ʝ], hj [ç], k [k], ll [ɣ], nj [ɲ], q [c], s [s], sh [ʃ], th [θ], x [ʣ], xh [ʤ], z [z]. La vocale finale, separata da un trattino, rappresentata l’articolo determinativo (nominativo singolare): -i e -u sono articoli si nomi maschili;-(j)a è sono articoli di nomi femminili; non occorrono, tra i tipi lessicali qui contemplati, nomi neutri (-t). Gli articoli (i/e) precedono aggettivi rispettivamente maschili (i) e femminili (e);  non occorrono, tra i tipi lessicali qui contemplati, aggettivi neutri (të).
Più spesso, anche tra gli anziani, questa locuzione è reinterpretata paretimologicamente con derra-derra data l’assonanza con l’alb. derra ‘maiali’, ben conosciuto e usato.
Il VS non registra per cavaḍḍina (s. f.) il significato assunto nella varietà arbëreshe qui considerata, ma  – sulla scorta di (???)  e di (???)(sec. XVII e XVIII) quello di ‘mandria di cavalli’. Il sic. cavaḍḍina ha, invece, più frequentemente un uso aggettivale. Tra questi musca c. ‘tafano’, da cui l’arb. mizë kavalinie, dove, tuttavia, il restrittore è nominale (prop. ‘mosca di equini’) e non aggettivale.
Tali potrebbero essere occorrenze del tipo: brumbulli isht un insetto çë fluturon ‘il calabrone è un insetto che vola’; i rettili ndrrojën likurën ‘i rettili cambiano la pelle; ecc. Si veda, tuttavia, la nota 11.
Oggi ricorre solitamente il singolare del tipo qe-u, formato sul plurale (qe < sing. ka), probabilmente in ragione dell’uso di accoppiare questi animali al giogo. L’originaria forma del singolare (ka) si mantiene, tuttavia, cristallizzata nel nome polirematico dell’‘orzaiolo’ siu-kau (prop. ‘occhio di bue’).
I concetti relativi a animali quali, per esempio, ‘aquila’, ‘vipera’, ‘lupo’, ‘volpe’, ecc., sono generalmente noti anche a chi non ne abbia mai visto un esemplare.
Il tipo albanese derr, che designa comunemente il ‘maiale’,  è usato – anche senza il restrittore agg. i egër ~ sarvaç ‘selvatico’ – con il significato di ‘cinghiale’ soprattutto dai cacciatori. Più comunemente occorre il tipo romanzo (u) çingjali, con l’articolo preposto e dunque senza adattamento al sistema flessivo nominale dell’albanese. Così anche il romanzo (u) lupu, che sostituisce l’albanese ulk-u, ancora conosciuto dai più anziani, ma poco usato. Si tratta, in questi casi, di fenomeni la cui valutazione (prestiti di recente acquisizione che denotano la fusione dei microsistemi della determinazione nominale? Fenomeni di code-mixting?) si presenta piuttosto complessa. Per un primo approccio alla questione, cfr. (???).
Tra i cacciatori la ‘lepre’ viene scherzosamente chiamata skarpar-i (< sic. scarparu), prop. ‘calzolaio’.
V. nota 11.
Tra i cacciatori la ‘volpe’ viene scherzosamente chiamata xhuan-a (< sic. Giuanna), prop. ‘Giovanna’.
Il (???) s.v. ggiacaluni registra surci gg. con il significato di ‘ghiro’ per Roccapalumba (PA) e per Isnello (PA), oltre che sulla scorta di (???).  Il nome di questo roditore occorre, benché sempre meno frequentemente e sempre più oscuramente, nell’espressione flë si mi xhahallun ‘dormire come un ghiro’.
Il tipo lessicale xarrakan, la cui origine rimane oscura, è conosciuto ormai soltanto da pochi anziani. 
Probabilmente, il nome di questo insetto è motivato dai colori (rosso e bianco) della sua livrea, che ricorda quelli del costume tradizionale della sposa.
Oggi il consumo di anguille  – pescate un tempo soprattutto nelle acque che confluiscono nel vicino lago di Piana degli Albanesi  – è quasi del tutto in disuso. V. nota 24.
Il tipo albanese è, in verità, dallandishe. Nelle varianti kallandriq/e-ja e, soprattutto, kallandrish/e-ja sembra avere influito il romanzo (sic. kallandrun) ‘calandra’.
Questo tipo lessicale, non riscontrato in altre varietà albanesi,  sembra formato sull’alb. krie ‘testa’ + suffisso -(r)in con probabile valore dim. in verità non riscontrabile in altre formazioni nominali della parlata qui considerata. Il tipo arb. krierin sembrerebbe, comunque, un calco dal sic. tistuliḍḍa (prop. ‘testina, testolina’) gheppio’.
Forma metatetica del più comune alb. lakuriq.
In queste categorie i prestiti siciliani si limitano, come si è visto, al nome del ‘tacchino’ (nie < sic. nia; ghalinaç < sic. gallinàcciu) e a quello del ‘caprone’ (bek < beccu) che compete con l’alb. cujap.
L’esperienza del ‘pidocchio pollino’ era piuttosto comune fino agli anni ’60, allorquando in molte famiglie si allevavano , anche in prossimità delle abitazioni, le galline.
Si consideri che la cultura alimentare tradizionale della comunità è legata all’esperienza montana. Ancora fino agli anni ’70 del secolo scorso, il consumo di pesce era limitato a poche varietà vendute in paese dagli ambulanti, tutti forestieri (e pertanto significativamente chiamati litinj  prop. ‘Latini’). L’unico pesce pescato (nelle foci che confluiscono nel vicino lago) era, come si è detto (v. nota 18), l’anguilla, che conserva il nome alb. ngjal-a.
La carpa, poco apprezzata nella cucina locale, è il pesce più comune nelle acque del lago di Piana degli Albanesi.
I gasteropodi sono ancora molto apprezzati nella cucina locale.
Questo tipo lessicale non è registrato dal (???) né sembra essere stato rilevato nelle indagini siciliane dell’Atlante Linguistico della Sicilia (cfr. (???)). Tuttavia, non è improbabile che l’arb. qaparrin possa originare da una formazione nominale ormai scomparsa nelle varietà siciliano, sulla base di un sic.*acchia(ppa)parrinu costituito da acchappari  ‘acchiappare, ghermire, colpire’ + parrinu ‘prete’, allo stesso modo del sic. strangugghja-parrinu (prop. ‘strozzaprete’) che ha dato origine all’arb. stranguj ‘gnocchi’.
L’arb. nìur non si spiega con il sic. nìgghiu ‘nibbio’. Potrebbe trattarsi di una formazione paretimologica sul sic. nìuru ‘nero’ (partic. per il ‘nibbio bruno’).
Il tipo bedirrus sembra forma paretimologica sul sic. beḍḍu ‘bello’.
Il tipo arb. è certamente formato dal sic. pìula, con un suff. accr. -ac (< sic. -azz/u-a). Il VS registra, tuttavia, soltanto il f. pìula come «den. di alcuni uccelli titonidi, strigidi e corvidi, dei quali  […] barbagianni […] civetta […] cornacchia» dunque non falconiformi qual è la ‘poiana’.
V. nota 11.
Kaqic è forma metatetica di kaciq, che nelle altre varietà albanesi designa, però, il ‘capretto’.
Dim. di ljepur ‘lepre’ con il suffisso alb. -ush, ormai del tutto improduttivo, giacché si ritrova cristallizzato in pochissime forme nominali.
Derriçel è dim. – con suffisso -çel < sic.-(c)eḍḍ(a) – di derr ‘maiale. Il tipo kancirr (< sic. canzirru) è conosciuto, oramai soltanto da parlanti anziani, con il solo significato scherzoso di ‘moccioso’).
Questo tipo lessicale è ormai quasi del tutto caduto in disuso.
Il comunissimo nome del ‘cucciolo di cane’ (ghuc-i) è sicuramente un sicilianismo, benché per l’agg. guzzu il (???) registri (soltanto sulla scorta dei vocabolari secenteschi e settecenteschi (???), (???) e (???)) i significati di cani g. ‘botolo, cane piccolo ma di indole litigiosa e rabbiosa, che ringhia contro tutti’, e (sulla scorta degli ottocenteschi (???) e (???)) il fig. ‘piccolo di statura, corto, basso’
Più comunemente, gharmushel occorre con il significato, anch’esso siciliano, di ‘marmocchio’.
Questo nome è formato dal sic. menzu ‘mezzo’ e l’alb. kunill, sul tipo sic. menzucunìgghiu.
Il (???) non registra per fàrfaru l’accezione che qui ci interessa. Cfr., tuttavia, (???): 159), il quale contempla, tra i diversi nomi del ‘furetto giovane’ anche fàrfaru.
Dim. di fàrfaru. V. nota precedente.
La tassonomia scientifica dei mantelli degli animali – e particolarmente di quella degli equini – è assai più complessa di quella qui considerata, che farà riferimento soltanto ai nomi riscontrati durante l’inchiesta sul campo e dunque, alla tassonomia adottata dai parlanti intervistati. 
Il sicilianismo mirrin designa alcuni mantelli composti binari riferibili a varie sfumature del ‘grigio’ (dal chiaro allo storno, dal pomellato al moscato). Ai nomi di questi manti principali si aggiunga il sicilianismo shkav  (< sic. scavu) con il quale gli anziani contadini designavano – oltre a una persona di carnagione scura – un cavallo dal muso nero.  A Geraci Siculo (PA), (???) registra l’agg f. scava ‘di capra dal manto nero’.   
Pinzirita designa, nel lessico specialistico italiano, una razza ovina autoctona siciliana.  Il (???) registra pinziritu (soltanto per Mistretta-ME e Bivona-AG) agg. ‘di ovini con macchie nere sulla faccia’. Tra i pastori di Piana degli Albanesi ricorre pincirite e kuqe (con lentiggini rosse) o pincirite e zezë (con lentiggini nere).
Molto probabilmente da un sic. *milatu ‘color del miele’ (non registrato dal (???)), giacché per la denominazione del ‘miele’ è comunemente usato l’alb. mjajt.
Prop. ‘monaca’.
L’arb. marcilluar sembra formato sul sic. *marziloru non attestato, però, dal (???) che registra le forme marzolu, marzulinu, marzuḍḍu per animali, formaggi, frutta, nati, prodotti o che maturano nel mese di marzo.
Il (???) s.v. lacciuni2 riporta soltanto quanto registrato nel dizionario inedito di (???), ossia ‘agnello che non ha ancora compiuto sei mesi’. Per i pastori di Piana degli Albanesi llaçun designa un agnello partorito tardivamente a maggio e che, dunque, in estate non ha ancora lana sufficiente per essere tosato. Gli agnelli nati a maggio, tuttavia, raramente rimangono in vita fino al periodo della tosatura, poiché sono solitamente destinati alla macellazione in ragione della difficoltà di trovare erba tenera al momento dell’eventuale svezzamento che avverrebbe tra giugno e luglio. 
Questi agnelloni sono generalmente destinati alla macellazione.
La prima fecondazione può avvenire già dal compimento del sesto mese di vita. Nel caso dell’allevamento brado o semibrado è tuttavia correlata alla disponibilità di erba fresca. Il (???) registra rrinisca ma non *rriniscotta. La forma arb. rrinishkote presenta, dunque, lo stesso suffisso -ot(e) [< -ott(o/a)] diminutivo-vezzeggiativo che ricorre anche con i nomi albanesi vajz(ote) ‘ragazz(otta)’, djal(ot) ‘ragazz(otto)’, kopil(ot/e) ‘giovin(ett-o/a)’. Cfr. anche stripote (< sic. strippotta) dim. di stripe ‘di animale lattifero che, non ingravidato per una stagione, non produce provvisoriamente latte’.
L’agg. furçilat(e) designa ovicaprini i cui picozzi presentano la cosiddetta ‘coda di rondine’, cioè un’incrinatura a forma di V, che è segno di vecchiaia e che compare in genere dopo i 5-6 anni d’età. Questo aggettivo – benché non registrato dal VS con l’accezione che ci interessa – è, dunque, certamente un derivato da sic. furceḍḍa ‘forcella’.
V. nota 46.
V. nota 50.
Agg. deverbale da alb. pièll ‘figliare’.
V. nota 49.
Deverbale da alb. dredhi ‘torcere’. L’aggettivo designa, infatti, animali – spec. giovani montoni –  castrati con il metodo della torsione endocrinale. Più generico è il significato dell’alb. shëronj ‘castrare’ (e dell’agg. i shëruam ‘castrato’) conosciuto e usato soltanto dai più anziani e generalmente sostituito dal sicilianismo zgujar (< sic. scugghiari) ‘castrare’ (con agg. zguj / i zgujarm ‘castrato’).
Questo aggettivo –  denominale da sic. latt-i con suff. -us(u/a)i ‘-oso’ –  non è registrato dal (???)Il mancato adattamento della laterale alveolare iniziale (l  [l]) alla fricativa velare (ll [ɣ], cfr., per es., llatare < sic. lattara; llunare < sic. lunara, ecc.) indica una formazione recente di questo aggettivo.
Questo tipo lessicale non è registrato dal (???). Tuttavia, (???) fa riferimento a cumpagnissu o cumpagnissa, a seconda del sesso del «vitello che prende latte da due madri» nella tecnica di lattazione del “falso vitello”.
L’arb. zdillanut è chiaramente formato su llanut (< sic. lanutu ‘che ha molta lana’), benché il (???) non registri la forma  *sdilanutu.
Questo aggettivo non è registrato dal (???). L’arb. fruntarele sembra, tuttavia, formato sul sic. frunti ‘fronte’, con la stessa motivazione dell’it. sfrontato.
Il (???) registra s.v. fuiutizzu, con diverse varianti, sulla scorta di vocabolari settecenteschi e ottocenteschi ((???), (???), (???), (???), (???)), con il solo significato di ‘fuggiasco, latitante’.
Riguardo alla donna il concetto di ‘partorire’ è comunemente espresso con l’eufemismo ble, prop. ‘comprare’, usato come assoluto, così come nel corrispettivo sic. accattari ‘compare’.
Per completezza, si riportano qui anche i nomi di altre parti del corpo umano non condivise dagli animali e pertanto non computate nelle valutazioni quantitative (v. tabb.). Sono tipi albanesi: krip-t ‘capelli’, dor-a ‘mano’, glisht-i ‘dito’, th/ua-oi ‘unghia’, burrul-i ‘gomito’, faq/e-ja ‘guancia’, ciner-i ‘ciglio’; sono sicilianismi: shpalun-i ‘spalla’, gharres-i / karin-a ‘schiena’ 
L’arb. peturin-i  (maschile, prob. per influenza dell’it. petto) ha assunto il significato generico di ‘petto’ (umano e animale) dal sic. pitturina / petturina ‘scherz. seno prosperoso’ e, primariamente, ‘pettino, pettorina’.
È sicuramente albanese il tipo vithe. Rimangono, in verità, oscuri i tipi kom e xambol che non sembrano, tuttavia,  riconducibili a varietà siciliane.
Si è ben consapevoli, infatti, che una tale distribuzione risulta più agevole nei casi estremi quali, per es. ‘gallina’ (concetto comune) vs. ‘maschio del germano reale’ (concetto specialistico); ‘vacca’ vs. ‘vacca che allatta un cucciolo non suo’; ‘pulcino’ vs. ‘pulcino di coturnice’; ecc.
Becco, caprone.
Con la particolare desinenza -ina (di matrice greca, tipica dell’area siciliana nord-orientale) con cui si designa la donna di una determinata famiglia.
Capra pazza.
Capra ghiotta.
Giovane montone.
Montone dimagrito, allampanato.
Montone spelacchiato, calvo.
Dagli occhi prominenti.
Donna della famiglia dei Muntuni (desinenza ina, di origine greca).
Agnello, ma può anche riferirsi a persona mansueta.
Con riferimento al mestiere, ma anche alla pratica di preparare pecorelle di marzapane nel periodo pasquale.
Pastore.
Con frusciari ci si può riferire a un forte flusso diarroico.
Pecora bianca.
Pecora gravida.
Riferito a pecora non fecondata, e perciò priva di latte (*EXSTIRPUS, Farè 3072).
Ricadente nella provincia di Palermo, il territorio delle Madonie  è situato tra la costa e l'entroterra palermitano, tra il messinese e il nisseno-ennese. Si tratta di un'area montana, in buona parte sottoposta a vincolo ambientale, caratterizzata da tre nuclei montuosi, i più alti dei quali raggiungono la quota di quasi duemila metri: il settore centrale, delimitato a sud dal Piano della Battaglia e costituito dal Pizzo Carbonara, dalla Mùfara e dalla Quacella; il settore sud-orientale, che comprende il Monte San Salvatore, il Fanusi e il Cavallo; il settore occidentale, comprendente e il Monte Cervi e il relativo pianoro. A questi si aggiunge il rilievo isolato di Pizzo di Pilo nell'area di nord-est. Il territorio comprende una ventina di centri abitati disposti tra i 400 e i 1200 metri, tutti di piccole dimensioni (per lo più con popolazione intorno a 4000 abitanti).
Con una popolazione di poco meno di 4.000 abitanti, il centro insiste sulla sub-area occidentale delle Madonie.
La capanna che si vede in Figura 1 è una costruzione "fittizia", realizzata durante dei lavori di consolidamento del sito, cfr. nota 5.
Non sono, infatti, costruiti su terreni presi in affitto, non hanno caratteristiche di provvisorietà essendo stati assegnati da tempo ai pastori, sicché ad ogni azienda corrispondevano una o più mànnari considerati e sentiti come una proprietà.
Sul finire degli anni Novanta, gli ovili sono stati oggetto di un intervento di consolidamento e restauro conservativo da parte dell'’Ente Parco delle Madonie. In tale contesto il sito è stato dotato di un impianto di illuminazione, di una serie di camminamenti in pietra, di una capanna di paglia, inesistente, quest'ultima quando i recinti erano ancora usati dai pastori per ricoverarvi le greggi.
Für die perfekte Einrichtung des Beitrags sowie für bibliographische Recherchen danke ich meiner Mitarbeiterin Thea Göhring.
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Zur Verwertbarkeit indirekt erhobener Sprachdaten: Erfahrungen aus dem Forschungsprojekt „VerbaAlpina“

26. Einleitung

Indirekt erhobenen Daten sagt man oft nach, dass sich deren sprachwissenschaftliche Verwertbarkeit nur auf die lexikalische Ebene der Sprache beschränkt. Dass es aber Strategien gibt, mit Hilfe derer man die Sprachbelege auch in einer phonetisch-phonologischen Sicht interpretieren kann, soll dieser Beitrag zeigen.

Dazu findet zunächst eine Gegenüberstellung direkter und indirekter Erhebungsmethoden statt. Als eine moderne Form der indirekten Erhebung kann das Crowdsourcing gelten, das hier am Beispiel des Forschungsprojekts VerbaAlpina herangezogen werden soll. Anhand der im Projekt erhobenen Sprachdaten wird gezeigt, dass es für eine erweiterte Interpretation der Daten zielführend ist, sich in die Position eines Laien zu begeben, der mithilfe eines begrenzten Zeichensatzes Laute abbilden möchte, für das das herkömmliche Alphabet kein Graphem bereithält.

27. Erhebung von Sprachdaten

Sprachdaten können im Wesentlichen auf zwei Arten erhoben werden: durch direkte oder indirekte Erhebungen. Als Darstellungsinstrument der Sprachdaten, die meist mit Blick auf geographische Unterschiede erhoben werden, dienen in Sprachatlanten gebündelte Sprachkarten. Im Folgenden sollen die beiden Erhebungsmethoden nun zunächst kurz vorgestellt werden.

27.1. Direkte Erhebungen

Bei der direkten Erhebung handelt es sich um eine mündliche Befragungsform, die die Erhebung gesprochener Sprache zum Ziel hat. Der Explorator richtet seine Fragen dabei mündlich an die Informanten und schreibt die Antworten dazu selbst mit oder nimmt diese auf Tonträger auf. Informant und Explorator sind während der Befragung zur selben Zeit am selben Ort, meist bei den Informanten zuhause ((???); (???)).

Direkte Erhebungen sind typisch für die romanische Tradition (???). Als Instrument der Darstellung der erhobenen Sprachdaten werden sogenannte analytische Karten bzw. Belegkarten gewählt. Charakteristisch für diese Karten ist die Präsentation von Einzelbelegen, d.h. die Belege jedes Erhebungsortes werden abgebildet und es findet keine Typisierung statt. Diese Darstellungsform hat den Vorteil, dass sie quellentreu und damit nachvollziehbar und überprüfbar ist. Andererseits sind analytische Karten jedoch vergleichsweise unübersichtlich (???).

Diese Erhebungsmethode eignet sich besonders für Phänomene, die indirekt nicht oder schwer zu erheben sind, u.a. Phänomene aus den Bereichen Phonetik, Phonologie und Prosodik (???).

27.1.1. Vor- und Nachteile direkter Erhebungen

Die direkte und damit unmittelbare Erhebung von Sprachdaten bringt einige Vorteile mit sich. So kann der Explorator, dadurch dass er bei der Befragung vor Ort ist, dem Informanten bei Schwierigkeiten Hilfestellung geben oder bei Verständnisproblemen gezielt nachfragen. Ebenso hat der Explorator die Möglichkeit, Kommentare und Reaktionen des Informanten zu vermerken, die für die Interpretation der Sprachdaten hilfreich sein könnten und kann lautliche Feinheiten in Lautschrift eindeutig festhalten. Die direkte Methode bietet zudem die Möglichkeit zum Einsatz von Ton, bewegtem Bild oder Spielen.

Einer der größten Nachteile dieser Erhebungsmethode ist jedoch, dass sie mit einem relativ hohen finanziellen, personellen sowie zeitlichen Aufwand verbunden ist. So müssen zur Befragung zunächst geeignete Informanten gesucht und Einzelgespräche mit ihnen vereinbart und durchgeführt werden. Da die Befragung bei den Informanten zuhause stattfindet, fallen auch meist erhebliche Reisekosten für die Reisen ins Untersuchungsgebiet an. Darüber hinaus besteht die Gefahr des sogenannten Beobachterparadoxon, d.h. dass der Informant aufgrund der Anwesenheit eines Beobachters in Form des Explorators in seiner natürlichen Sprache beeinflusst wird. Ebenso kann es zu Interferenzen mit der Standardsprache kommen, wenn der Explorator in Standardsprache und der Informant in Dialekt spricht ((???); (???)).

27.1.2. Beispiele

Das erste und auch prominenteste Beispiel für direkte Erhebungen ist der französische Sprachatlas Atlas linguistique de la France (ALF) von Jules Gilliéron und Edmond Edmont. Zwischen 1897 und 1901 führte Edmond Edmont dazu Erhebungen in 638 Gemeinden in Frankreich durch. Dafür benutzte er einen Fragebogen, der sich aus Begriffen  zusammensetzte, zu denen er 735 Informanten befragte. Die gesammelten Dialektdaten wurden dann in Form von Karten mit insgesamt 639 Erhebungspunkten veröffentlicht. Neben oder unter der Nummer des jeweiligen Erhebungspunktes erscheint immer die mit dem phonetischen Rousselot-Gilliéron-Alphabet transkribierte dialektale Antwort. Insgesamt wurden 1920 Karten (1421 Vollkarten, 326 Halbkarten und 173 Viertelkarten) alphabetisch nach Konzepten geordnet und zwischen 1902 und 1910 zunächst als Faszikel und dann als Bände veröffentlicht (???).

Beispiel aus dem ALF: Kartenausschnitt der Karte Aujourd'hui (Wikipedia)

Ein weiteres bekanntes Beispiel für einen durch direkte Erhebung entstandenen Sprachatlas ist der Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz (AIS) von Karl Jaberg und Jakob Jud (1928-1940). Hier wurden auf insgesamt 1681 Karten und 20 Konjugationstabellen die Dialekte von 416 Orten erfasst. Die direkte Befragung wurde mithilfe eines Fragebuchs durchgeführt (???).

27.2. Indirekte Erhebungen

Die indirekte Erhebung von Sprachdaten erfolgt in Form einer schriftlichen Befragung mit Hilfe eines Fragebogens, der den gewünschten Informanten per Post zugesandt oder digital zur Verfügung gestellt wird. Anders als bei der direkten Erhebung sind Informant und Explorator während der Befragung räumlich und zeitlich voneinander getrennt ((???); (???)).

Indirekte Erhebungen sind typisch für die germanische Tradition (???). Zur Darstellung der erhobenen Sprachdaten werden sogenannte synthetische Karten bzw. Punktsymbolkarten verwendet. Anders als bei analytischen Karten werden Einzelbelege hier nur vereinzelt dokumentiert. Stattdessen werden diese nach unterschiedlichen Kategorien typisiert und pro Typ erscheint ein Symbol auf der Karte. Dies hat den Vorteil, dass die Karten einerseits verhältnismäßig übersichtlich, auf der anderen Seite aber auch schwer überprüfbar sind (???).

Diese Erhebungsmethode erweist sich als besonders geeignet für lexikalische und (morpho-) syntaktische Fragestellungen, da hier vor allem die Vorteile dieser Erhebungsmethode im Vordergrund stehen ((???); (???)).

27.2.1. Vor- und Nachteile indirekter Erhebungen

Im Vergleich zur direkten Erhebungsmethode besteht ein großer Vorteil dieses Verfahrens darin, dass die Informanten die Fragen in Ruhe beantworten können, ohne durch die Präsenz des Explorators oder eines Mikrofons in ihren Aussagen beeinflusst zu werden, wodurch das Beobachterparadoxon bei dieser Erhebungsmethode nicht zum Tragen kommt. Darüber hinaus sind indirekte Erhebungen vergleichsweise kostengünstig und erfordern einen geringeren personellen und zeitlichen Aufwand. Deshalb können mit dieser Methode auch größere Erhebungsgebiete so gut wie lückenlos mit Belegorten versehen werden.

Neben all den Punkten, die für indirekte Erhebungen sprechen, bringt dieses Verfahren aber auch einige Nachteile mit sich, die vor allem mit der Abwesenheit des Explorators während der Befragung verbunden sind. So kann der Explorator aufgrund der räumlichen Trennung vom Informanten bei schwierigen Fragen zum Beispiel keine Hilfe leisten und der Informant hat keine Möglichkeit zur Rückfrage. Ebenso kann die Formulierung der Fragen anders als bei direkten Erhebungen nicht mehr an eventuelle Erkenntnisse, die während der Befragung gewonnen wurden, angepasst werden und auch die Anzahl der Fragen, die ein Informant selbstständig bereit ist zu beantworten, ist nicht so groß wie wenn ein Explorator sie vor Ort stellen könnte. Zudem hat der Explorator keine Kontrolle über die Erhebungssituation und kann nicht sicherstellen, dass der Informant den Fragebogen selbstständig und nicht gemeinsam, z.B. mit dem/r Partner/in, und mit der nötigen Sorgfalt ausfüllt. Ebenso wenig können Kommentare oder Reaktionen der Informanten wie zögerliches Antworten, welche für die Interpretation von Daten von Bedeutung sein können, erfasst werden. Da die Verschriftlichung der Antworten von Seiten der Informanten in der Regel in „Laienschreibung“, d.h. nur mit Hilfe des gewöhnlichen Alphabets, erfolgt, können gesprochene Laute oftmals auch nicht exakt wiedergegeben werden ((???); (???)). 

27.2.2. Beispiele

Die ersten und wohl bekanntesten indirekten Erhebungen stellen die von Georg Wenker dar (1876-1887), die auch die Grundlage für den Deutschen Sprachatlas (DSA) bildeten. Unter Leitung Wenkers wurden dazu fast 50.000 Fragebögen an Volksschullehrer aus insgesamt 40.736 Schulorten im gesamten Deutschen Reich versandt. Der Fragebogen beinhaltete 42 Sätze auf Hochdeutsch, die die Lehrer in gewöhnlichem Alphabet in den von ihnen gesprochenen Ortsdialekt übertragen sollten. Die Erhebung erfolgte in mehreren Phasen: von April 1876 bis im Frühjahr 1877 wurden die Wenkerbögen zunächst in die Schulorte der Rheinprovinz nördlich der Mosel versandt. Im Jahr 1877 wurden Daten in ganz Westfalen erhoben und zwischen 1879 und 1880 wurden Sprachdaten in Nord- und Mitteldeutschland erfasst. Der Vergleichbarkeit der Ergebnisse wegen, wurde 1884 der Fragebogen, der bei der Erhebung in Nord- und Mitteldeutschland zum Einsatz kam, in das rheinische Gebiet versandt. 1887 wurde schließlich Süddeutschland erfasst. Die Erhebungen Wenkers umfassen insgesamt 1668 Karten (???).

Beispiel aus Wenker: Karte Bäumchen (REDE)

Als weitere Beispiele für indirekte Erhebungen sind diverse Dialektwörterbücher zu nennen, so z.B. das Wörterbuch des Brandenburg-Berlinischen Spracharchivs (BBSA), das Wörterbuch der bairischen Mundarten in Österreich (WBÖ) sowie das Bayerische Wörterbuch (BWB) (???).

27.2.3. Crowdsourcing

Während indirekte Erhebungen traditionell durch das Aussenden von Fragebögen erfolgten (siehe 2.2.), bietet sich dank des Internets heutzutage eine neue webbasierte Möglichkeit zur indirekten Datenerhebung in Form von Crowdsourcing (???). Dabei wird eine bestimmte Aufgabe von einer Gruppe von Crowdern, d.h. von einer anonymen Gruppe von Menschen aus der Crowd, gelöst. Crowdsourcing hat dabei meist die Gestalt einer Online-Befragung. Anders als bei der klassischen Online-Befragung, wo zwischen verschiedenen vorgegebenen Antwortmöglichkeiten gewählt werden kann, können diese beim Crowdsourcing von den Teilnehmern jedoch auch selbst eingebracht bzw. ausgewählt werden. Dabei wird v.a. auf die Leistung des Kollektivs gesetzt, das meist, aber nicht ausschließlich, aus Laien besteht (???).

28. Crowdsourcing bei VerbaAlpina

Das Projekt VerbaAlpina, das den Alpenraum in seiner kultur- und sprachgeschichtlichen Zusammengehörigkeit untersucht, bezieht sein Datenmaterial aus verschiedenen Quellen. Der Großteil des Sprachmaterials, das im Rahmen des Projekts zusammengetragen und analysiert wird, stammt aus georeferenzierten Sprachatlanten und Wörterbüchern. Diese decken den Alpenraum jedoch oft nicht vollständig ab und variieren zudem teils stark hinsichtlich ihrer Entstehungszeit und der dokumentierten Begriffe. So entsteht deshalb ein zunächst heterogener Datenbestand. Um die bestehenden Lücken und Inkonsistenzen der genannten Quellen auszugleichen, werden bei VerbaAlpina Sprachdaten zusätzlich in Form von Crowdsourcing erhoben.

28.1. Konzeption

Für das Crowdsourcing hat VerbaAlpina ein speziell dafür konzipiertes Internetportal entwickelt, über das die Crowder, d.h. im Fall von VerbaAlpina alle interessierten Dialektsprecher im Alpenraum, die Möglichkeit haben, an der großen Online-Befragung teilzunehmen. Mittels eines Text-Stimulus auf Standarddeutsch, und wenn vorhanden, dem dazu passenden Bild, wird hier dialektale Lexik erhoben. Dabei dreht sich alles um eine zentrale Frage: „Wie sagt man zu ,Begriff‘ in ,Gemeinde‘?“. Jeder Sprecher muss also zunächst eine Gemeinde auswählen, für die Eintragungen gemacht werden sollen. Anschließend kann aus einer Liste an standarddeutschen Begriffen aus den Wortschatzbereichen „Almwirtschaft“, „Natur“ und „modernes Leben“ der Begriff ausgewählt werden, zu dem der entsprechende Dialektbegriff eingetragen werden soll. Zusätzlich zu dem jeweiligen Dialektwort können die Crowder auch Kommentare, z.B. zur Herkunft oder zur Verbreitung der jeweiligen Wörter, hinterlassen sowie neue Konzepte vorschlagen, die bislang noch nicht in der Liste der zur Auswahl stehenden Begriffe erscheinen. Sobald eine Eintragung gemacht wurde, ist diese auf der Karte sofort für alle Nutzer sichtbar und eigene Beiträge können so mit den Eintragungen anderer verglichen werden. Hinsichtlich der Verschriftung der Einträge werden dem Crowder dabei keinerlei Vorgaben gemacht, d.h. die Transkription erfolgt über das geläufige Alphabet nach eigenem Ermessen. Dabei wird auch eine überschaubare Menge an Metadaten gesammelt, wie der zugehörige Ort zum Beleg (Auskunft des Informanten), der Zeitpunkt der Eintragung sowie zu Beginn der Befragung die Dialektbezeichnung, die aus einer Liste gewählt werden kann. Bei einer Registrierung ist zusätzlich die Angabe einer E-Mail-Adresse notwendig. Metadaten wie Name, Alter, Geschlecht, Ausbildung usw. werden nicht erhoben.

Crowdsourcing-Oberfläche von VerbaAlpina. Die blauen Kreise zeigen die Eintragungen der einzelnen Nutzer. (VerbaAlpina)

28.2. Durchführung

Für erfolgreiches Crowdsourcing bedarf es neben der Konzeption einer entsprechenden Oberfläche zur Durchführung der Online-Befragung zusätzlich einer zielgruppenorientierten Akquirierung von Sprechern, im Fall von VerbaAlpina von Dialektsprechern aus dem Alpenraum, die an der Online-Befragung teilnehmen. Im Rahmen von VerbaAlpina wurden dazu in den ersten beiden Projektphasen (Phase I: 10/2014-10/2017; Phase II: 11/2017-10/2020) zunächst entsprechende Zielgruppen definiert138. In Projektphase I, in der der Wortschatz rund um Almwirtschaft und Milchverarbeitung im Zentrum stand, wurde dabei zwischen den folgenden Kategorien unterschieden:

Gewerbe

  • Käsereien
  • Molkereien
  • Almen

Kultur

  • Vereine (z.B. Almwirtschaftlicher Verein Oberbayern (AVO), Alpwirtschaftlicher Verein im Allgäu e.V. (AVA)
  • Museen (z.B. Museum Glentleiten)

Ausbildung

  • Berufsschulen und sonstige Ausbildungsstätten

Portale

  • Fachportale der Milchbranche (wie z.B. z’alp.ch)

Medien

  • Zeitschriften aus dem Bereich Almwirtschaft/Milchverarbeitung (z.B. „Deutsche Molkereizeitung“, „Der Almbauer“)
  • (Online-) Zeitungen
  • Fernsehen
  • Radio
  • Verteiler
  • Social Media: Facebook + Twitter

Private Kontakte

In der zweiten Projektphase, in der der Wortschatzbereich Natur im Mittelpunkt stand, d.h. Begriffe aus den Bereichen Flora, Fauna, Landschaftsformationen und Wetter, wurden die bereits existenten Kategorien aus Projektphase I noch um die Kategorien „Nationalpark/Forst“, „Wetterdienste“ und „Politik/Organisation“ erweitert. Zudem kam im Bereich Social Media neben Facebook und Twitter im Jahr 2020 auch noch Instagram hinzu.

Als Auswahlkriterium der einzelnen Kontakte je Kategorie galt, dass sie eine thematische Zugehörigkeit zu den Wortschatzbereichen aufwiesen, die in der jeweiligen Projektphase im Mittelpunkt standen, und dass sie im Untersuchungsgebiet von VerbaAlpina lagen. Neben einem entsprechenden Anschreiben und einem vorgefertigten Newsletter-Text wurde zudem ein spezieller Flyer und ein Pressetext zum Bewerben des Crowdsourcings entworfen. Da das Untersuchungsgebiet von VerbaAlpina länderübergreifend ist und die Sprachen Deutsch, Italienisch, Französisch, Slowenisch, Rätoromanisch sowie die jeweiligen Dialekte der Sprachen umfasst, wurden auch die für das Crowdsourcing benötigten Materialien mehrsprachig verfasst. Der Pressetext erschien auf Deutsch, Italienisch und Französisch, der Flyer zudem auch noch auf Slowenisch. Sowohl Flyer als auch Pressetext sind mittlerweile in der dritten Auflage erschienen.

Crowdsourcing-Flyer Deutsch, 1. Auflage

Crowdsourcing-Flyer Deutsch, 2. Auflage

Crowdsourcing-Flyer Deutsch, 3. Auflage

Die konkrete Kontaktaufnahme mit den Kontakten, die von VerbaAlpina für die oben genannten Kategorien in der Projektdatenbank zusammengetragen wurden, wurde dann wie folgt durchgeführt. Die einzelnen Kontakte wurden zunächst per E-Mail, teils auch telefonisch, kontaktiert, mit der Bitte, an der Sprecherbefragung teilzunehmen. Ebenso wurde angefragt, ob über einen bestehenden Verteiler durch Versand des von VerbaAlpina entworfenen Newsletter-Texts auf die Sprecherbefragung aufmerksam gemacht werden kann. An Schulen und Museen wurden nach Kontaktaufnahme zudem Flyer und Poster verschickt. Zeitschriften und Zeitungen erhielten den von VerbaAlpina verfassten Pressetext als Textvorlage für einen möglichen Beitrag über das Projekt. Bisher sind insgesamt 24 Textbeiträge über VerbaAlpina in Zeitungen, Zeitschriften und auf Portalen aus dem Alpenraum erschienen. Darüber hinaus wurde über die Social-Media-Accounts von VerbaAlpina in regelmäßigen Abständen auf die Sprecherbefragung hingewiesen. Auf Facebook wurden zusätzlich zu Posts auf der eigenen Facebook-Seite von VerbaAlpina auch Posts auf Seiten entsprechender Gruppen und Vereine verfasst, die Teil der Zielgruppe waren. Bei diversen Vereinen konnte das Projekt im Rahmen von Tagungen (Alpsennenkurs, Almehrkurs, Almbauerntag) den anwesenden Vereinsmitgliedern vorgestellt werden. Zudem wurde im Rahmen der Dialekt-Themenwoche des Bayerischen Rundfunks vom 27.04.18 bis 04.05.18 sowie im Rahmen von drei Interviews mit Mitarbeitern von VerbaAlpina auf BR Heimat, Radio Regenbogen und im ORF über die Sprecherbefragung von VerbaAlpina berichtet.

Um die Crowd möglichst langfristig zu binden und die Sprecherbeteiligung möglichst fortwährend und mehr oder weniger konstant hoch zu halten, hat sich VerbaAlpina mehrere motivationsfördernde Maßnahmen überlegt. Zum einen werden vor allem die Social-Media-Kanäle dazu genutzt, um durch entsprechende Posts immer wieder auf neue Features im Crowdsourcing-Tool und auf den aktuellen Stand der bislang durch Crowdsourcing gesammelten Dialektbelege hinzuweisen. Zudem gibt es im Crowdsourcing-Tool die Möglichkeit zur Registrierung. Registrierte Nutzer werden in regelmäßigen Abständen per E-Mail kontaktiert und immer wieder zur Teilnahme an der Sprecherbefragung angeregt. Außerdem verfügt das Crowdsourcing-Tool über eine Bestenliste, in der neben den beliebtesten Konzepten auch die aktivsten registrierten User und die aktivsten Gemeinden gelistet sind. Die aktivsten User erhalten per E-Mail eine Urkunde und werden zum Champion gekürt.

28.3. Resonanz

Die Erfahrungen der mittlerweile über drei Jahre, in denen das Crowdsourcing nun bei VerbaAlpina zum Einsatz kommt, haben in erster Linie gezeigt, dass diese Datenerhebungsmethode kein Selbstläufer ist. Vielmehr ist Crowdsourcing erst dann richtig erfolgreich, wenn es regelmäßig und aktiv durch gezielte Aktionen beworben wird. So zeigt die von VerbaAlpina erhobene Statistik der Crowd-Aktivitäten, dass die Sprecherbeteiligung vor allem dann ansteigt, wenn die Online-Befragung unmittelbar davor in irgendeiner Form beworben worden ist. Die unter 4.2. bereits genannten Maßnahmen, die zu diesem Zwecke bislang unternommen wurden, variieren in Ertrag und Reichweite jedoch teils stark. Den größten Ertrag und die größte Reichweite haben demnach Projektberichte, die online veröffentlicht werden, sei es auf Websites von Radiosendern, Zeitungen, Portalen oder auf Social Media, z.B. in Form von Posts in Facebook-Gruppen, in denen die Gruppenmitglieder zur Teilnahme am Crowdsourcing aufgerufen werden. Im Vergleich zu analogen Medien gibt es hier den Vorteil, dass die Leser über einen im jeweiligen Beitrag erwähnten Link direkt zum Crowdsourcing von VerbaAlpina weitergeleitet werden, ohne davor das Medium wechseln zu müssen. Den geringsten Erfolg hatten bislang hingegen Radiointerviews und populärwissenschaftliche Vorträge.

Insgesamt haben bisher 1318 Crowder am Crowdsourcing von VerbaAlpina teilgenommen und bislang 20360 Dialektwörter (siehe Abb. 7) beigesteuert. Dabei ist bemerkenswert, dass ca. 50 % der gesamten Belege von rund nur 10 % der Crowder stammt (Stand: 09/2018). Das bedeutet im Umkehrschluss, dass es zwar viele Informanten gibt, die meisten von ihnen aber nur wenige Belege liefern (Median = 5). Die

Anzahl der Belege pro Crowder, aufsteigend (Stand 08/2018).

folgende Grafik veranschaulicht dies als Säulendiagramm, das den Informanten (x-Achse) die Anzahl der Belege (y-Achse) zuordnet. Die Informanten wurden aufsteigend nach der Anzahl ihrer Belege angeordnet.

 

Ebenso tragen die einzelnen Staaten, die Teil des Untersuchungsgebiets sind, zu unterschiedlichen Anteilen zur Gesamtzahl der Belege bei. So stammt fast die Hälfte der Belege aus Italien, hierzu zählen jedoch auch die deutschsprachigen Belege aus Südtirol. Etwas mehr als ein Viertel der Belege stammen aus Deutschland und fast ein Sechstel aus der Schweiz. Frankreich liegt mit 205 Belegen dagegen auf dem vorletzten Platz vor Liechtenstein.

Beleganzahl nach Staaten

29. Die Kreativität der „Schreibgemeinschaft“

Für sprachwissenschaftliche Untersuchungen, die sich mit der Variation auf lexikalischer Ebene befassen, stellt indirekt erhobenes Sprachmaterial nach wie vor eine geeignete Datengrundlage dar. Der Zeichensatz, beispielsweise das deutsche Alphabet, lässt im Großteil der Fälle von laienverschrifteten Wortformen kaum Zweifel, welchem Worttypus der jeweilige Beleg angehört. Eindeutiger sind Erhebungsverfahren mit vorgefertigten Listen, die bereits ein festes Repertoire an lexikalischen Formen anbieten und aus denen der Informant wählen kann. Diese Methode birgt freilich Gefahren im Hinblick auf die Qualität der Daten. So kann die Reihenfolge der gelisteten Wortformen eine Rolle bei der Wahl derselben spielen, Störfaktoren wie Primär- (???) oder Rezenzeffekte (???) könnten dabei das Ergebnis verfälschen. Darüber hinaus muss man in Betracht ziehen, dass Wortformen, die im Dialekt zwar gebraucht, in der angebotenen Wortsammlung aber nicht gelistet sind, übersehen werden.

Weitaus schwieriger gestaltet sich die Verwertung indirekt erhobenen Sprachmaterials für phonetische Untersuchungen. Zwar ist durch die Phonem-Graphem-Beziehung eine gewisse Eindeutigkeit gegeben, welches Schriftzeichen für welche Gruppe von Lauten stehen kann, dies sagt jedoch nichts über den genauen Lautcharakter, also über das Phon selbst aus. Das zeigt beispielsweise schon ein standarddeutsches Wort wie geben, in dem das Phonem /e/ innerhalb desselben Wortes dem Phon [e], [ə] bis hin zu einem totalen Ausfall des Segments entsprechen kann. Dies kann auch bei einem Phonem innerhalb zweier Varietäten der Fall sein. So lässt sich anhand der Schreibung von Gipfel nichts darüber aussagen, ob sich die Aussprache mehr an einem bundesdeutschen oder einem österreichischen Gebrauchsstandard (/i/ in Gipfel: [ɪ] bundesdeutsch, [i] österreichisch) orientiert (???).

Mit dem Problem, einem Laut einen geeigneten Buchstaben zuzuordnen, sahen sich auch diejenigen konfrontiert, die als erstes versuchten, ihre Form ihres gesprochenen Deutsch schriftlich zu fixieren, die Mönche. Diese, deren Alphabetisierung in Latein stattfand, warn im ersten Jahrtausend nach Christus mit der Herausforderung konfrontiert, ihr eigenes volkssprachliches Idiom in das Korsett des  lateinischen Alphabets zu fassen (???). So wurde der Frikativ [x] im Althochdeutschen meist durch Digrapheme <hh> oder – wie heute noch der Fall – als <ch> verschriftet. Dass hierfür aber auch Schreibungen wie <hc> zu finden sind, zeigt, dass die Wahl und die Reihenfolge der einzelnen Lettern des Digraphems eine untergeordnete Rolle spielten und es also wirklich primär darum ging, eine Zeichenkombination für den Laut zu etablieren (???). Die heutige deutsche Schriftsprache weist noch weitere Multigrapheme auf, die auf den ersten Blick nicht als solche offenbar sind, wie beispielsweise <ng> für [ŋ]. Der sehr frequente Trigraph <sch> stellt insofern eine Besonderheit dar, als dass sich hier schon in althochdeutscher Zeit ein Lautwandel in Form einer Palatalisierung von [sk] zu [ʃ⁠] vollzogen hatte, dieser sich aber im Schriftbild als <sk>, <sc> oder <sch> nicht niedergeschlagen hat, sodass heute der Frikativ mit dem letztgenannten Trigraph assoziiert wird (???).

Was diese Beispiele zeigen ist, dass die Sprachgemeinschaft – hier wäre wohl „Schreibgemeinschaft“ passender – über Möglichkeiten verfügt, Lücken im Ausgangs-Schriftsystem in Bezug auf einzelne Lauteinheiten auszugleichen und von dieser Möglichkeit auch Gebrauch macht.

30. Graphem-Phon(em)-Korrespondenz und deren Grenzen

Was haben historische Sprachbelege mit aktuellen Dialektbelegen zu tun? Die Gemeinsamkeit der beiden Belegarten liegt in der zeitlichen bzw. räumlichen Distanz zu der Person, durch die die Aufzeichnung erfolgte. In der Folge ist meist nicht bekannt, welche Aussprache dem jeweiligen Beleg zugrunde lag. Zum einen, weil die Graphem-Phon(em)-Beziehung sehr individuell ausgelegt werden kann und deshalb nicht eindeutig geklärt ist, zum anderen, weil das Zeichensystem des Alphabets nicht über die Möglichkeit verfügt, die einzelnen Lautwerte abzubilden. Für die historischen Sprachdenkmäler ergibt sich daraus die Schwierigkeit der Rekonstruktion des Lautwerts der einzelnen Zeichen bzw. des gesamten Wortes. Bei solch frühen Sprachbelegen kann eine Annäherung über heutige Lautwerte von Graphemen, Vergleich mit heutigen Dialekten, Heranziehung von Reimpaaren etc. erfolgen (???). In diesem Punkt unterscheidet sich rezentes Dialektmaterial, denn hier kann ein Abgleich mit Aufzeichnungen erfolgen, die meist direkt auch zu dem Zweck erhoben wurden, um auch für phonetische Fragestellungen herangezogen werden zu können.

Dennoch sind der sprachwissenschaftlichen Verwertbarkeit von schriftlich erfassten Dialekt-Belegen Grenzen gesetzt, was im Folgenden zwei Beispiele verdeutlichen sollen.

Belegfenster Alpbachtal Kas

Crowd-Beleg zum Konzept KÄSE eines Informanten aus Reith im Alpbachtal (Tirol). Darstellung im Belegfenster der interaktiven Karte des Online-Portals von VerbaAlpina. (Interaktive Karte VerbaAlpina)

Der Beleg Kas lässt sich zweifelsfrei dem Worttypus Käse zuordnen, die Aussprache des Vokals selbst bleibt aber zuerst offen. Da dem Phonem /a/ im Standarddeutschen je nach Kontext [a] oder [ɑ] zugeordnet werden kann, ist eine Aussage über die Qualität des Stammvokals auf der Basis des Belegs nicht möglich, gleiches gilt für dessen Quantität. Für das Bairische ist diese Tatsache dahingehend von Bedeutung, als dass sie im Großteil der bairischen Varietäten beide Phonemstatus vorweisen, da es sich bei [a] um den Umlaut zu [ɑ] handelt, der wie im Standardeutschen zwar ebenfalls durch eine Verlagerung des Artikulationsortes gebildet wird, hier aber ohne eine Rundung auskommt (???).

Belegfenster Meran Bett

Crowdsourcing-Beleg zum Konzept BETT aus Meran (Südtirol). Darstellung im Belegfenster der interaktiven Karte des Online-Portals von VerbaAlpina. (Interaktive Karte VerbaAlpina)

Ähnliches gilt für den lautlichen Charakter im Beleg zu Bett, bei dem /e/ sowohl einem [e] als auch einem [ɛ] entsprechen kann.

Man tappt also gerade dort im Dunkeln, wo unterschiedliche Aussprachevarianten eines Phonems, repräsentiert durch ein Graphem, existieren.

 

31. Mehr als Lexik: Was Dialektbelege leisten können

Dessen ungeachtet ist man bei der Analyse von schriftlichen Dialekt-Belegen in Bezug auf die Aussprache nicht vollständig auf Spekulationen angewiesen. Mithilfe einiger vorangestellter Überlegungen lassen sich auch aus der Masse an Daten noch mehr Informationen ziehen, als man auf den ersten Blick vermuten würde.

Neben der alemannischen Form Anke ist die Wortform Butter die geläufige lexikalische Variante im deutschsprachigen Alpenraum für das gleich bezeichnete Konzept. Die folgende Tabelle zeigt eine Übersicht der verschiedenen Varianten zum standardsprachlichen Auslaut -er.

Auslaut-Variante zu <er> in Butter Anzahl (Anteil)
<a>, <o> 99 (65 %)
<er> 45 (29 %)
<r> 9 (6 %)

Tab. 1: Verschriftete Auslaut-Varianten der Crowdsourcing-Belege zum lexikalischen Typ Butter (Stand: 01.10.2020).

Wie bereits im Beispiel zu den Vokalen /a/ und /e/ in den oben genannten Beispielen Kas und Bett ist es notwendig, stets die Alphabetisierungssprache – hier das Standarddeutsche – im Hinterkopf zu behalten. Zuerst muss berücksichtig werden, dass wohl die Standardschreibung <Butter> bei den Informanten sehr präsent gewesen sein muss. Da die Aussprache des verschrifteten Auslauts <er> in den meisten Varietäten des Standarddeutschen einem zentralisierten [ɐ] entspricht, ist diese Interpretation zwar wahrscheinlich, gesichert ist sie jedoch nicht. Anders sieht es bei den Auslaut-Varianten aus, die durch einen Vokal dargestellt werden. Hier ist das ausdrückliche Bestreben zu erkennen, die Differenz zur Standardschreibung herzustellen. Ebenso ist die Verschriftung <r> für standardkonformes <er> zu werten, also etwa in der Form von Buttr. Mit dem Fehlen des <e> findet auch hier eine Abgrenzung zum standardnahen Auslaut <er> und damit zur Möglichkeit einer zentralisierten Aussprache statt.

Crowdsourcing-Belege zum lexikalischen Typ Butter. Verteilung des Auslauts <a>/<o> und <r> für standarddeutsch <er>. (Interaktive Karte VerbaAlpina)

 

 

In der kartographischen Darstellung wird deutlich, dass die Wahl der graphemischen Niederschrift der Belege nicht zufällig ist. Hier zeichnen sich vor allem das alemannische Vorarlberg sowie Teile Südtirols ab, deren Dialekte die Vokalisierung von /r/ nach Vokal nicht in dem Maße aufweisen, wie es bei den Varietäten des restlichen Gebietes gegeben ist.

Eine nahezu anteilig gleiche Verteilung zeigen die Suffix-Grapheme zum Lexem melken:

Auslaut-Variante zu <en> in melken Anzahl (Anteil)
<a>, <e> 80 (65 %)
<en> 40 (29 %)
<n> 4 (6 %)

Tab. 1: Verschriftete Auslaut-Varianten der Crowdsourcing-Belege zum lexikalischen Typ melken (Stand: 01.10.2020).

Auch hier treffen sich Schreibvarianten mit vokalischem sowie konsonantischem Auslaut. Die standardnahe Schreibvariante <en> macht nur einen sehr geringen Anteil der gesamten Belege zu melken aus. Dass es sich hier ebenfalls um eine bewusste Schreibung handelt, das legt die Verteilung der Belege nahe.

Crowdsourcing-Belege zum lexikalischen Typ melken. Verteilung des Auslauts <a>/<e> und <n> für standarddeutsch <er>. (Interaktive Karte VerbaAlpina)

 

Gut zu erkennen ist, dass sich die Variante mit vokalischer Endung auf Bayern und Voralberg beschränkt, während sich die Form mit erhaltenem Nasal auf den Südbairischen Sprachraum erstreckt, weshalb sie auf deutscher Seite nur im Berchtesgadener Land im Osten und in Mittenwald im Westen zu finden ist.

Auch wenn es um Phänomene wie die der /l/-Vokalisierung geht, sind die dialektalen Varianten zum Lexem melken eine dankbare Datengrundlage. Stellt man die diphthongischen den monophthongischen Varianten des Lexems.

Crowdsourcing-Belege zum lexikalischen Typ melken. Verteilung diphthongischen und monophthongischen Vokalisierungen für <el> in melken. (Interaktive Karte VerbaAlpina)

Die diphthongischen Belege sind zwar auf österreichischer Seite vereinzelt im mittelbairisch-südbairischen Übergangsgebiet zu finden, in erster Linie handelt es sich aber um eine Variante, die sich mit Ausnahme des südbairischen Ortes Mittenwald – auf Bayern beschränkt.

Ein letztes Beispiel das illustrieren soll, wie zuverlässig von Laien beigesteuertes Sprachmaterial beschaffen ist, zeigt das prominente Beispiel zum Konzept ALM. Dies ist in lexikalischer Hinsicht gerade in der Abgrenzung des alemannischen Worttyps Alp zum bairischen Alm interessant. Zugleich sollten sich die Gebiete mit /l/-Vokalisierung und erhaltenem Lateral sowie das Gebiet der sog. a-Verdumpfung, wie sie für die größten Teile des Bairischen üblich ist, ausfindig machen lassen können.

Crowdsourcing-Belege zum Konzept ALM. Verteilung der Belege der phonetischen Typen Alp und Olp des Wortyps Alp und von Alm und Oim des Worttyps Alm. (Interaktive Karte VerbaAlpina)

Die Verbreitung des phonetischen Typs Alp lässt deutlich den alemannischen Sprachraum hervortreten. Für die alemannisch geprägte Deutschschweiz stellt sie die alleinige Form dar, hingegen sind im österreichischen Vorarlberg und im bayerischen Allgäu vereinzelt auch Belege des phonetischen Typs Alm zu finden. Dies ist kein Zufall, denn der Rest Österreichs sowie der Großteil des bayerischen Untersuchungsgebietes ist mehrheitlich bairisch geprägt, während dies in der Deutschschweiz nicht zutrifft. Eine Alp-Variante ist auch in den Dialekten Tirols und Südtirols als Olp anzutreffen. Dass diese Variante im Südbairischen Verbreitung findet, lässt sich auch durch Toponyme untermauern, wie der Alpspitze im Wettersteingebirge oder dem Ort Alpbach im Tiroler Unterland bei Kufstein. Zugleich zeigt der Typ Olp mit der Verdumpfung von mhd. <a> hingegen ein typisch bairisches Merkmal. Zu guter Letzt machen die Belege mit durchgesetzter /l/-Vokalisierung im Mittelbairischen deutlich, dass sich die Informanten dieser Lautform bewusst sind und diese in gleicher Weise verschriften.

32. Fazit

Während traditionelle Erhebungen areal als auch in diachroner Hinsicht Lücken aufweisen, kann Crowdsourcing als komplementäres Verfahren zur Datenerhebung eingesetzt werden und diesem Defizit begegnen. Somit können mittels Crowdsourcing diese blinden Flecken im Raum ergänzt werden; zugleich bilden diese Belege den aktuellen Sprachstand ab. Darüber hinaus ist diese Erhebungsmethode im Vergleich zur klassischen Feldforschung wesentlich zeit- und kostengünstiger. Demgegenüber weist dieses Verfahren jedoch auch eine Reihe von Nachteilen auf. Allen voran ist hier die schlechte Kontrollierbarkeit bezogen auf die Resonanz der Maßnahmen, die die Crowder zur Teilnahme anregen sollen, zu nennen.  Zudem gleicht die Diskrepanz zwischen einer verwertbaren Basis soziolinguistischer Metadaten des Informanten und einer ausreichenden Anzahl an Belegen einem Drahtseilakt, da man Gefahr läuft, den möglichen Crowder durch zu viele Fragen zu seiner Person bereits im Vorfeld abzuschrecken.

Dass zudem diese Sprachdaten zu weit mehr als zum Befund lexikalischer Varianz dienen können, zeigt ein differenzierter Blick auf die Belege. So ist die Annahme, dass sich varietätenspezifische Merkmale aufgrund der starken Präsenz schriftsprachlicher Standardvarianten kaum bis gar nicht in den laienverschrifteten Belegen wiederfinden, widerlegbar. So können zwar standardnahe Graphien nicht per se als Repräsentation von Mündlichkeit gelesen werden, weichen sie aber geringfügig von der Standardgraphie ab, so darf es als eine bewusste Handlung des Informanten interpretiert werden. Hier ist beispielsweise die vokalische versus der nasalen/liquiden Auslautvariante zu standardsprachlich <-en>/<-er> oder auch die Umsetzung der unterschiedlichen Vokalisierungsformen zu /l/ nach Vokal zu nennen. Auch was die Verschriftung von Lautsegementen betrifft, zu denen das Standardalphabet kein Graphem bereithält, verdeutlichen die Crowdbelege die kreativen Lösungsansätze. So findet standardsprachliches <ir>/<er>, dass in der Standardaussprache meist als /ɪɐ/ bzw. /ɛɐ/ auftritt, sich in indirekt erhobenen Dialektbelegen selbst an Stellen wieder, deren Worttypen kein /r/ aufweisen.

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  • SyHD = SyHD: Syntax hessischer Dialekte, (30.09.20) (Link).
Fra chi parla mandinka in Gambia e nella regione di Casamance (nel sud del Senegal) kankurang è uno spirito incarnato da un danzatore mascherato, considerato il principale custode delle celebrazioni dell’etnia mandingo come il rito della circoncisione e della celebrazione del matrimonio. I mandingo ritengono che il kankurang può curare l’infertilità nelle donne.
Si tratta di due località poste agli estremi del Paese.
Per il termine cf. Krefeld (???).
Molto di quanto qui scritto nasce dal nostro lavoro al progetto Network of Knowledge (2012-2016, finanziamento FWF) e all’Hugo-Schuchardt-Archiv (???). Quest'ultimo presenta l'opera omnia schuchardtiana, le relative recensioni e diverse edizioni dal suo epistolario, costituito da oltre 13.000 lettere e cartoline a lui indirizzate e conservate presso la biblioteca universitaria di Graz (cf. (???)), cui si aggiungono numerose lettere e cartoline scritte da Schuchardt rinvenute in biblioteche e archivi europei e non. Alla fine del 2018 oltre 6000 lettere erano disponibili in edizione digitale.
Consultabile in forma digitalizzata al sito NavigAIS
Quando non diversamente indicato, il numero corrisponde a quello con cui sono archiviati i pezzi di corrispondenza ricevuti da Schuchardt presso la Biblioteca universitaria di Graz, Hugo Schuchardt Nachlass.
Questo si concretizzava da una parte in un fitto scambio epistolare tra scienziati di diverse discipline, dall'altra nei diversi circoli, società e associazioni accademici, come p. es. la società antropologica di Vienna (???).
Non è certo questa la sede per approfondire la storia di tale approccio, per cui rinviamo alle pubblicazioni già citate, ma anche alle collezioni, visitabili in via telematica, di oggetti di interesse etnografico di Hugo Schuchardt (Volkskundemuseum Wien) e di Rudolf Meringer (Institut für Kulturanthropologie und Europäische Ethnologie der Universität Graz) e al carteggio tra Schuchardt e Meringer (???).
Cf. l’edizione (non commentata) in Melchior (???).
Carteggio parzialmente edito in Heinimann ((???), (???)).
La corrispondenza è stata analizzata nell'ambito di una Seminararbeit presso l'Institut für Sprachwissenschaft, ma è tuttora inedita.
L’edizione critica del carteggio è di prossima stampa (???).
Nonostante la corrispondenza tra Schuchardt e Puşcariu continui con discreta costanza fino al 1926, non vi sono cenni al progetto dell'Atlasul lingvistic român, per il quale nel 1922 erano cominciate le inchieste.
È evidente che vi è una reciproca interdipendenza e non possono essere considerati come "passi di lavoro" (sempre) nettamente distinti l'uno dall'altro. Tale distinzione ci pare tuttavia funzionale per capire meglio gli spunti di riflessione teorica che ne nascono.
Weigand raccolse personalmente i dati per il suo atlante nel corso di otto viaggi in loco a partire dal 1895. La pubblicazione dell'atlante avvenne dapprima a fascicoli, dal 1898, e poi in volume nel 1909. Il paradigma neogrammaticale godeva allora ancora di un forte consenso, soprattutto a Lipsia, alma mater di Weigand. Le inchieste per l'AIS, pubblicato a partire dal 1928, furono invece effettuate da tre esploratori appena dopo la fine della Prima Guerra mondiale, a partire dal 1919, in una fase dunque in cui l'approccio di Wörter und Sachen era già stato pienamente recepito dai linguisti svizzeri e non solo.
Gli otto volumi dell'AIS abbracciano 1705 carte, ciascuna delle quali comprende 405 punti d'inchiesta; il Linguistischer Atlas des dacorumänischen Sprachgebiets, in un unico volume, comprende 67 carte che si basano su 752 punti (!) di inchiesta, in cui i materiali vennero raccolti in un tempo assai breve e quasi esclusivamente da Weigand stesso.
Quelli dell'AIS erano di stampo lessicologico-culturale, oltre che fonologico e morfosintattico, nell'atlante di Weigand prevale invece l'interesse fonologico-storico.
Base per le inchieste dell'AIS fu il Fragebuch, elaborato sul modello di quello concepito per l'ALF, mentre Weigand, che pur aveva grande esperienza di lavoro con questionari, si prepose di raccogliere "Normalwörter" che potessero venire utilizzati spontaneamente all'interno di discorsi con gli informanti (per maggiori dettagli sulla metodologia e gli obiettivi dell'atlante romeno cf. (???), per l'AIS cf. (???)).
Meno intensa è la coeva corrispondenza tra Schuchardt e Jaberg: ai diciotto pezzi di corrispondenza di mano di Jaberg conservati a Graz si aggiungono solo tre indirizzati da Schuchardt al collega bernese.
Non si trovano invece spunti metodologici legati alla concezione dell'impresa atlantistica - Weigand sembra piuttosto preoccupato di tenere al corrente Schuchardt dei progressi nel lavoro, annunciandogli la pubblicazione delle diverse sezioni; cf. per esempio la lettera del 2 dicembre 1899 (n° 12704) in cui gli chiede se abbia avuto occasione di scorrere la seconda sezione dell'atlante, appena pubblicata, invitandolo a farne una recensione sul Centralblatt - desiderio che Schuchardt non esaudirà.
Weigand dedicò molto spazio alla descrizione dei suoi viaggi, come nel seguente esempio: "Für die Pferde ist es eine harte Arbeit, auf dem in Schlangenlinien sich windenden Pfade die Berge zu erklettern. Doch mit bewundernswerter Ausdauer überwinden sie alle Anstrengungen. Auf der Höhe ist eine Quelle "Kodru mare = großer Berg“ genannt. Ein überraschender Anblick bietet sich dort dar. Gerade vor uns, scheinbar sehr nahe, liegt V.L. auf halber Bergeshöhe, wie an die Felsen angeklebt. [...] Ein schmaler, gefährlicher Saumpfad führt in einem Stündchen nach V.L. (???).
Nonostante Jud tragga ispirazione dalle idee schuchardtiane, egli fa cenno all''impresa dell'atlante solamente a inchieste iniziate, il 21 agosto 1919 (n° 05195), e appena un anno dopo ne svelerà alcuni parametri, riconoscendo come l'impresa sia debitrice, nella sua concezione, all'insegnamento di Schuchardt: "Das Questionnaire umfasst etwa 2500 Wörter und Sätze: wir hoffen nichts wesentliches ausgelassen zu haben. Neben diesem Normalquest. existiert ein erweitertes Questionn. mit etwa 5000 Wö. u. Fragen, die er auf seiner ganzen Reise an 20 Punkten abfragen soll. In Bünden ist dies im Münstertal und in Lenz (bei Thusis) geschehen. An jedem Ort soll er eine Anzahl Photos von Geräthen aufnehmen, die als Bilderatlas einst veröffentlicht werden sollen. Das ist die teilweise Verwirklichung Ihrer Idee: Sprach- und Bilderatlanten. (n° 05204, 14 aprile 1920)".
Schuchardt (???) scrive "Und in der That finden wir noch auf dieser Seite der Gebirgshöhe Ortschaften deren Sprechweise der französischen Schriftsprache entschieden näher steht als der italienischen. Aber wo sollen wir den Grenzpfahl in den Boden stossen? Etwa da wo wir den Schweinehirten seine Thiere nicht mehr i porci sondern lus cusciuns, les cochons nennen, oder da wo wir zuerst ein Kind von seinem Vater nicht mehr als mio padre, sondern als mon paire, mon père sprechen hören? Ich befürchte, es möchte dabei der besondere Geschmack eines jeden zu Tage kommen".
Jud ritorna su questo punto nella sua lettera del 25 dicembre dello stesso 1917, contrastando in parte la Sprachverwandtschaft schuchardtiana (???): [...] Der Widerspruch bewegt sich in der Richtung, dass ich gerne gesehen hätte, welches die Wahl der Merkmale sein muss, um von einer stetigen geographischen Abstufung reden zu können. [...] Ich gebe zu, dass bei „ungestörten“ Verhältnissen sich die geographische Abstufung mit der sprachlichen in correlatem Verhältnis befindet: aber hat die sprachliche Betrachtung je mit solch primitiver Lagerung zu untersuchen Gelegenheit? Und ist es nicht gerade eines der reizvollsten Probleme zu zeigen – was Sie am Schlusse so eindringlich betonen – dass Sprachgeschichte Volksgeschichte oder besser Geschichte der Sprechenden einer Volksgenossenschaft oder der Menschheit ist? Ist die Gruppierung der italischen Mundarten nicht auch ein Capitel der Geschichte der Italienisch Sprechenden?" (n° 05188)
A questo riguardo si vedano anche le interessanti osservazioni di Goebl (???) sul progetto del Glossaire des patois romands de Suisse sotto l'egida di Louis Gauchat.
Le carte di prova per "Sense und Sichel" che arrivarono a Graz più tardi sono conservate nel lascito di Schuchardt all'interno della sezione Werkmanuskripte al numero d'archivio 17.6.1.6.
In una lettera presumibilmente databile all'inizio del 1921 e sicuramente posteriore alla ricezione delle carte di prova, Schuchardt fa riferimento a possibili migliorie nella rappresentazione delle cose e delle parole sulla carta, che l'ormai quasi ottantenne dovette consultare con l'ausilio di una lente d'ingrandimento.
Ritorna poi sull'argomento oltre due anni dopo, : "Ich kann nur selten und nur wenig arbeiten. Ins Romanische darf ich eigentlich gar nicht mehr hineinreden; wie ich Ihnen schon sagte, bilden der Atlas ling. und andere 'Wälzer' für mich fast unüberwindliche Hindernisse" (Archivio dell'AIS, Berna, lettera non numerata del 18 agosto 1919).
Esemplari di ciò possono essere considerati i cenni che fanno Jaberg/Jud (???) riguardo alla ricerca dell'editore e alle spese dell'AIS.
Così scrive Wunderli (???): "Projekte für einen derartigen Sprachatlas – u.a. den Atlante linguistico mediterraneo, den Atlante linguistico europeo usw. – hat es inzwischen verschiedene gegeben; keines davon ist jedoch auch nur annähernd zur Publikationsreife gediehen. Die Vision Schuchardts eines „übereinzelsprachlichen“ Sprachatlasses dürfte damit nach über hundert Jahren dem Bereich der Utopien zuzuordnen sein".
Il problema dei finanziamenti, a prima vista alleviato dalla raccolta dati tramite web, dunque resta, ma cambia fisionomia: se i costi per le esplorazioni possono essere notevolmente ridotti, ve ne sono altri, di concettualizazione e programmazione delle piattaforme che ospitano gli atlanti, di salvaguardia dei dati, oltre che, naturalmente, di personale scientifico e tecnico che monitora, adegua, rielabora, aggiunge, ecc. nell'ambito di progetti che, per loro natura, non possono mai dirsi conclusi.
Non entriamo qui nelle questioni riguardanti la conservazione e l'archiviazione a lungo termine di grandi quantità di dati, che senz'altro è un quesito di centrale importanza per tutti i progetti delle digital humanities, ma per il quale esistono già esempi di buone pratiche.
Altri problemi sono legati, per esempio, all'interpretazione dei dati forniti in maniera scritta - si pensi alle diverse grafie scelte per la rappresentazione di fonemi dialettali, qualora di questi non siano forniti anche realizzazioni foniche. Ciò comporta, in diversi casi, che tali dati possano essere utilizzati solo per un'analisi di tipo lessicale, ma restino preclusi allo studio fonetico-fonologico. Posto poi il caso che tali dati venissero corredati da registrazioni audio, quale sarebbe lo status da attribuire a queste, che, senza una trascrizione e interpretazione da parte dello scienziato, resterebbero piuttosto dati "grezzi"?
Data la dinamicità e apertura dei nuovi progetti diviene ozioso chiedersi, come invece fecero Jaberg und Jud, se il materiale raccolto sia adeguato a rispondere a interessi scientifici diversi, in quanto esso può continuamente essere integrato e rimodellato.
Eterogeneità che caratterizza anche altri progetti atlantistici: si pensi per es. all'ASLEF (???) o all'ALI (???), che presenta anche dati raccolti in precedenza in altri atlanti. Nonostante le diverse fonti siano indicate, la rappresentazione cartografica appiattisce monodimensionalmente i diversi dati.
Come osservano (???), la natura sfumata dei confini del discorso politico implica che tali confini possano essere di volta in volta ridefiniti a seconda di che cosa si intenda per ‘politica’ e dunque di che cosa si voglia includere in tale dominio. In teoria, gramscianamente, potremmo dire che “tutto è politica” e dunque dovremmo/potremmo considerare proprio del discorso politico ogni testo che affronti tematiche che riguardino l’ambito della politica. Tuttavia, Nella concreta pratica analitica si tende a restringere il campo ai generi prototipici del discorso politico, distinguendo, ad esempio, fra discorsi attinenti l’attività politica istituzionale (parlamentare, governativa, delle figure ufficiali come i capi di stato ecc.), discorsi riguardanti l’attività dei partiti (campagna elettorale, dibattito interno, ecc.) e discorsi in cui la politica diviene oggetto di informazione (in tv, alla radio, sulla carta stampata, sul web).
Non intendo, in questa sede, addentrarmi nella discussione sulla differenza fra ‘testo’ e ‘discorso’. Benché non tutti gli studiosi siano d’accordo nel considerare i due termini come sinonimi, li userò qui, per una mera questione di praticità espositiva, in modo quasi intercambiabile, fermo restando che tenderò ad adoperare il primo quando vorrò riferirmi allo specifico prodotto dell’attività comunicativa, mentre ricorrerò al secondo quando farò specifico riferimento al processo che conduce alla costruzione del testo. Si veda su questo (???) e, per quanto riguarda più nello specifico l’ambito politico, (???). Al tempo stesso, seguendo la terminologia introdotta da Peter Koch (???), userò il termine ‘genere discorsivo’ in riferimento a quelle concrete attività discorsive che arricchiscono i tipi testuali astratti “di pratiche e di regole nate in un contesto storico particolare, ammettendo magari degli incroci tra le categorie astratte” (???).
Faccio qui riferimento al modello di analisi dell’argomentazione elaborato dalla cosiddetta ‘scuola olandese’ (???). Secondo questo modello, i discorsi argomentativi si dislocano lungo un continuum ai due estremi del quale si collocano rispettivamente i discorsi in cui prevale la componente dialettica e i discorsi in cui prevale la componente retorica. La prevalenza della prima si concretizza nei discorsi argomentativi improntati al confronto fra idee, il cui obiettivo è quello di convincere l’interlocutore della giustezza delle proprie posizioni. Questi discorsi sono caratterizzati dal fatto che i partecipanti si dispongono reciprocamente ad ascoltare ed eventualmente a riconoscere la ragionevolezza delle opinioni espresse dall’altro e, dunque a farsi convincere da quelle abbandonando le proprie. Sul piano della teoria politica, questo tipo di discorso argomentativo è quello più vicino al modello di democrazia deliberativa elaborato da Habermas. La prevalenza della seconda componente (quella retorica) si concretizza in discorsi tesi alla persuasione dell’uditorio, usando tutti i mezzi per screditare non solo le idee contrarie alle proprie, ma anche coloro che le professano. Sul piano più generale, si entra qui nel campo della propaganda.
A dire il vero, e per concedere le attenuanti alla categoria alla quale appartengo, gli studi di carattere più propriamente linguistico hanno adottato un modo di procedere più oggettivo, benché abbiano per lo più lavorato sulla descrizione sincronica o diacronica di peculiarità strutturali, che però restano sul piano dell’osservazione empirica, senza spingersi a tentare di giungere a una definizione generale dei caratteri del linguaggio politico.
Capostipite di questo filone di studi è considerato Lasswell (???).
Riporto una delle più note di queste invettive, quella che Pasolini rivolse ai leaders della Democrazia Cristiana: “[...] ogni volta che aprono bocca, essi, per insincerità, per colpevolezza, per paura, per furberia, non fanno altro che mentire. La loro lingua è la lingua della menzogna. E poiché la loro cultura è una putrefatta cultura forense e accademica, mostruosamente mescolata con la cultura tecnologica, in concreto la loro lingua è pura teratologia” (???).
Lorella Cedroni, filosofa della politica prematuramente scomparsa, ha il merito di aver introdotto in Italia la cosiddetta ‘politolingustica’, calco dal tedesco Politolinguistik, termine coniato nel 1996 da Armin Burkhardt per indicare un ambito di analisi interdisciplinare che si colloca al confine fra linguistica e scienze politiche. Essa può essere considerata da un lato come un’area di applicazione degli strumenti dell’analisi linguistica (in particolare della semantica e della linguistica testuale), dall’altro come un campo di interesse della scienza della politica applicato allo studio del linguaggio impiegato dagli attori politici.
Klemperer fa qui riferimento, sul versante della lingua del nazismo, a un verbo (gleichschalten, ‘sincronizzare’, livellare, ‘uniformare’), che secondo lo studioso è fortemente rappresentativa della mentalità nazista: “Par di vedere e di sentire il pulsante che fa assumere a persone, non a delle istituzioni, non a istanze impersonali, posizioni e movimenti automatici uniformi” (ivi: 188). Sul versante del modello linguistico sovietico, invece, l'Autore cita la metafora, attribuita a Lenin, secondo cui l’insegnante è una sorta di “ingegnere dell’anima”. Istituendo (in maniera un po’ forzata) un ragionamento sillogistico, se un ingegnere, che si occupa di solito di macchine, viene associato alla cura dell’anima, se ne dovrebbe concludere che l’anima è una macchina. In realtà, osserva Klemperer, l’uso di questo tipo di metafore nel contesto educativo sovietico si spiega con il fatto che la tecnica era, nell’URSS di quel tempo, considerata il mezzo che avrebbe garantito alle masse popolari la possibilità di liberarsi dalla schiavitù del bisogno e di raggiungere livelli di esistenza più degni della condizione umana.
Dopo la caduta del regime hitleriano, Klemperer riottenne la cattedra di filologia romanza al Politecnico di Dresda e, già alla fine del 1945, aderì al partito comunista. Dopo la sua fondazione ufficiale nel 1949, decise di rimanere nella DDR (Repubblica Democratica Tedesca), ricoprendo anche incarichi ufficiali in seno al mondo accademico di quel paese (traggo queste informazioni dalla postfazione alla quinta edizione italiana della LTI).
Un affresco a tinte fosche del circolo vizioso in cui la lingua della democrazia sarebbe caduta a causa dell’abuso (cioè dell’uso fine a se stessa) della retorica è in Thompson (???).
Edelman individua quattro stili distinti di linguaggio che strutturerebbero il processo politico: lo stile giuridico, lo stile amministrativo e lo stile della contrattazione.
Traggo questo stralcio dal più ampio brano riportato ne L’affaire Moro di Leonardo Sciascia (???).
Secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Interno (http://www.interno.gov.it/sites/default/files/dossier_viminale_ferragosto-dati_1_agosto_2017_31_luglio_2018.pdf) gli omicidi sono calati in un anno (luglio 2017-agosto 2018) del 15% (del 50% negli ultimi 10 anni), mentre i furti dell’8% (del 38% negli ultimi 10 anni).
http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=121167, ultima consultazione 28 ottobre 2018.
Il 20 agosto 2018 la nave della marina militare italiana Ubaldo Diciotti, che  quattro giorni prima aveva soccorso in mare 190 persone, giunge nel porto di Catania. Su ordine del ministero dell'Interno, i migranti sono stati trattenuti a bordo fino alla mezzanotte del 26 agosto. Da qui l'accusa di sequestro di persona rivolta al ministro Salvini. Nel marzo del 2019, il Senato della Repubblica ha negato l'autorizzazione a procedere nei suoi confronti.
Cfr. (???).
Per un quadro generale della vitalità del lessico nella cultura dialettale siciliana, cfr.  (???), il quale – negli ambiti della cultura materiale – attribuiva alla pastorizia una «Buona vitalità/Permanenza della terminologia».
Le informazioni lessicali contemplate in questo studio sono state reperite attraverso indagini sul campo, da me effettuate tra il 1989 e 1991, che hanno coinvolto 5 pastori, 4 contadini, 6 cacciatori e 5 casalinghe (mogli di pastori e contadini) di età compresa tra i 55 e i 90 anni. 
I concetti di seguito considerati sono tuttavia in numero maggiore rispetto ai tipi lessicali qui computati, giacché alcuni di essi sono usati, con restrittori aggettivali o nominali, per designare più concetti: per es.  derr ‘maiale’, derr porkuspin ‘istrice’, derra-dhindjë ‘porcellino d’India’, ecc. ; pulë ‘gallina’, pul-uji ‘gallinella d’acqua’; kuk ‘civetta’, kuku me vesht ‘gufo comune’, ecc. Non sono state computate, altresì, le forme diminutive (quali, per esempio, ljeparush ‘leprotto’ dim. di ljepur ‘lepre’, ecc.; derriçel ‘maialino’ dim. di derr ‘maiale’) e accrescitive (quali, per esempio, kaqicac ‘agnellone’ accr. di kaqic ‘agnello’, ecc.).
Per la trascrizione delle forme arbëreshe si userà l’alfabeto albanese che presenta, per la maggior parte dei fonemi, puntuali corrispondenze con i grafemi dell’alfabeto italiano. Per i grafemi e i digrammi corrispondenti a pronunce diverse o non presenti nel sistema italiano, si considerino le seguenti relazioni: c [ʦ], ç [ʧ], dh [ð], ë [ə], g [g], gh [ɣ], gj [ɟ], h [x], j [j, ʝ], hj [ç], k [k], ll [ɣ], nj [ɲ], q [c], s [s], sh [ʃ], th [θ], x [ʣ], xh [ʤ], z [z]. La vocale finale, separata da un trattino, rappresentata l’articolo determinativo (nominativo singolare): -i e -u sono articoli si nomi maschili;-(j)a è sono articoli di nomi femminili; non occorrono, tra i tipi lessicali qui contemplati, nomi neutri (-t). Gli articoli (i/e) precedono aggettivi rispettivamente maschili (i) e femminili (e);  non occorrono, tra i tipi lessicali qui contemplati, aggettivi neutri (të).
Più spesso, anche tra gli anziani, questa locuzione è reinterpretata paretimologicamente con derra-derra data l’assonanza con l’alb. derra ‘maiali’, ben conosciuto e usato.
Il VS non registra per cavaḍḍina (s. f.) il significato assunto nella varietà arbëreshe qui considerata, ma  – sulla scorta di (???)  e di (???)(sec. XVII e XVIII) quello di ‘mandria di cavalli’. Il sic. cavaḍḍina ha, invece, più frequentemente un uso aggettivale. Tra questi musca c. ‘tafano’, da cui l’arb. mizë kavalinie, dove, tuttavia, il restrittore è nominale (prop. ‘mosca di equini’) e non aggettivale.
Tali potrebbero essere occorrenze del tipo: brumbulli isht un insetto çë fluturon ‘il calabrone è un insetto che vola’; i rettili ndrrojën likurën ‘i rettili cambiano la pelle; ecc. Si veda, tuttavia, la nota 11.
Oggi ricorre solitamente il singolare del tipo qe-u, formato sul plurale (qe < sing. ka), probabilmente in ragione dell’uso di accoppiare questi animali al giogo. L’originaria forma del singolare (ka) si mantiene, tuttavia, cristallizzata nel nome polirematico dell’‘orzaiolo’ siu-kau (prop. ‘occhio di bue’).
I concetti relativi a animali quali, per esempio, ‘aquila’, ‘vipera’, ‘lupo’, ‘volpe’, ecc., sono generalmente noti anche a chi non ne abbia mai visto un esemplare.
Il tipo albanese derr, che designa comunemente il ‘maiale’,  è usato – anche senza il restrittore agg. i egër ~ sarvaç ‘selvatico’ – con il significato di ‘cinghiale’ soprattutto dai cacciatori. Più comunemente occorre il tipo romanzo (u) çingjali, con l’articolo preposto e dunque senza adattamento al sistema flessivo nominale dell’albanese. Così anche il romanzo (u) lupu, che sostituisce l’albanese ulk-u, ancora conosciuto dai più anziani, ma poco usato. Si tratta, in questi casi, di fenomeni la cui valutazione (prestiti di recente acquisizione che denotano la fusione dei microsistemi della determinazione nominale? Fenomeni di code-mixting?) si presenta piuttosto complessa. Per un primo approccio alla questione, cfr. (???).
Tra i cacciatori la ‘lepre’ viene scherzosamente chiamata skarpar-i (< sic. scarparu), prop. ‘calzolaio’.
V. nota 11.
Tra i cacciatori la ‘volpe’ viene scherzosamente chiamata xhuan-a (< sic. Giuanna), prop. ‘Giovanna’.
Il (???) s.v. ggiacaluni registra surci gg. con il significato di ‘ghiro’ per Roccapalumba (PA) e per Isnello (PA), oltre che sulla scorta di (???).  Il nome di questo roditore occorre, benché sempre meno frequentemente e sempre più oscuramente, nell’espressione flë si mi xhahallun ‘dormire come un ghiro’.
Il tipo lessicale xarrakan, la cui origine rimane oscura, è conosciuto ormai soltanto da pochi anziani. 
Probabilmente, il nome di questo insetto è motivato dai colori (rosso e bianco) della sua livrea, che ricorda quelli del costume tradizionale della sposa.
Oggi il consumo di anguille  – pescate un tempo soprattutto nelle acque che confluiscono nel vicino lago di Piana degli Albanesi  – è quasi del tutto in disuso. V. nota 24.
Il tipo albanese è, in verità, dallandishe. Nelle varianti kallandriq/e-ja e, soprattutto, kallandrish/e-ja sembra avere influito il romanzo (sic. kallandrun) ‘calandra’.
Questo tipo lessicale, non riscontrato in altre varietà albanesi,  sembra formato sull’alb. krie ‘testa’ + suffisso -(r)in con probabile valore dim. in verità non riscontrabile in altre formazioni nominali della parlata qui considerata. Il tipo arb. krierin sembrerebbe, comunque, un calco dal sic. tistuliḍḍa (prop. ‘testina, testolina’) gheppio’.
Forma metatetica del più comune alb. lakuriq.
In queste categorie i prestiti siciliani si limitano, come si è visto, al nome del ‘tacchino’ (nie < sic. nia; ghalinaç < sic. gallinàcciu) e a quello del ‘caprone’ (bek < beccu) che compete con l’alb. cujap.
L’esperienza del ‘pidocchio pollino’ era piuttosto comune fino agli anni ’60, allorquando in molte famiglie si allevavano , anche in prossimità delle abitazioni, le galline.
Si consideri che la cultura alimentare tradizionale della comunità è legata all’esperienza montana. Ancora fino agli anni ’70 del secolo scorso, il consumo di pesce era limitato a poche varietà vendute in paese dagli ambulanti, tutti forestieri (e pertanto significativamente chiamati litinj  prop. ‘Latini’). L’unico pesce pescato (nelle foci che confluiscono nel vicino lago) era, come si è detto (v. nota 18), l’anguilla, che conserva il nome alb. ngjal-a.
La carpa, poco apprezzata nella cucina locale, è il pesce più comune nelle acque del lago di Piana degli Albanesi.
I gasteropodi sono ancora molto apprezzati nella cucina locale.
Questo tipo lessicale non è registrato dal (???) né sembra essere stato rilevato nelle indagini siciliane dell’Atlante Linguistico della Sicilia (cfr. (???)). Tuttavia, non è improbabile che l’arb. qaparrin possa originare da una formazione nominale ormai scomparsa nelle varietà siciliano, sulla base di un sic.*acchia(ppa)parrinu costituito da acchappari  ‘acchiappare, ghermire, colpire’ + parrinu ‘prete’, allo stesso modo del sic. strangugghja-parrinu (prop. ‘strozzaprete’) che ha dato origine all’arb. stranguj ‘gnocchi’.
L’arb. nìur non si spiega con il sic. nìgghiu ‘nibbio’. Potrebbe trattarsi di una formazione paretimologica sul sic. nìuru ‘nero’ (partic. per il ‘nibbio bruno’).
Il tipo bedirrus sembra forma paretimologica sul sic. beḍḍu ‘bello’.
Il tipo arb. è certamente formato dal sic. pìula, con un suff. accr. -ac (< sic. -azz/u-a). Il VS registra, tuttavia, soltanto il f. pìula come «den. di alcuni uccelli titonidi, strigidi e corvidi, dei quali  […] barbagianni […] civetta […] cornacchia» dunque non falconiformi qual è la ‘poiana’.
V. nota 11.
Kaqic è forma metatetica di kaciq, che nelle altre varietà albanesi designa, però, il ‘capretto’.
Dim. di ljepur ‘lepre’ con il suffisso alb. -ush, ormai del tutto improduttivo, giacché si ritrova cristallizzato in pochissime forme nominali.
Derriçel è dim. – con suffisso -çel < sic.-(c)eḍḍ(a) – di derr ‘maiale. Il tipo kancirr (< sic. canzirru) è conosciuto, oramai soltanto da parlanti anziani, con il solo significato scherzoso di ‘moccioso’).
Questo tipo lessicale è ormai quasi del tutto caduto in disuso.
Il comunissimo nome del ‘cucciolo di cane’ (ghuc-i) è sicuramente un sicilianismo, benché per l’agg. guzzu il (???) registri (soltanto sulla scorta dei vocabolari secenteschi e settecenteschi (???), (???) e (???)) i significati di cani g. ‘botolo, cane piccolo ma di indole litigiosa e rabbiosa, che ringhia contro tutti’, e (sulla scorta degli ottocenteschi (???) e (???)) il fig. ‘piccolo di statura, corto, basso’
Più comunemente, gharmushel occorre con il significato, anch’esso siciliano, di ‘marmocchio’.
Questo nome è formato dal sic. menzu ‘mezzo’ e l’alb. kunill, sul tipo sic. menzucunìgghiu.
Il (???) non registra per fàrfaru l’accezione che qui ci interessa. Cfr., tuttavia, (???): 159), il quale contempla, tra i diversi nomi del ‘furetto giovane’ anche fàrfaru.
Dim. di fàrfaru. V. nota precedente.
La tassonomia scientifica dei mantelli degli animali – e particolarmente di quella degli equini – è assai più complessa di quella qui considerata, che farà riferimento soltanto ai nomi riscontrati durante l’inchiesta sul campo e dunque, alla tassonomia adottata dai parlanti intervistati. 
Il sicilianismo mirrin designa alcuni mantelli composti binari riferibili a varie sfumature del ‘grigio’ (dal chiaro allo storno, dal pomellato al moscato). Ai nomi di questi manti principali si aggiunga il sicilianismo shkav  (< sic. scavu) con il quale gli anziani contadini designavano – oltre a una persona di carnagione scura – un cavallo dal muso nero.  A Geraci Siculo (PA), (???) registra l’agg f. scava ‘di capra dal manto nero’.   
Pinzirita designa, nel lessico specialistico italiano, una razza ovina autoctona siciliana.  Il (???) registra pinziritu (soltanto per Mistretta-ME e Bivona-AG) agg. ‘di ovini con macchie nere sulla faccia’. Tra i pastori di Piana degli Albanesi ricorre pincirite e kuqe (con lentiggini rosse) o pincirite e zezë (con lentiggini nere).
Molto probabilmente da un sic. *milatu ‘color del miele’ (non registrato dal (???)), giacché per la denominazione del ‘miele’ è comunemente usato l’alb. mjajt.
Prop. ‘monaca’.
L’arb. marcilluar sembra formato sul sic. *marziloru non attestato, però, dal (???) che registra le forme marzolu, marzulinu, marzuḍḍu per animali, formaggi, frutta, nati, prodotti o che maturano nel mese di marzo.
Il (???) s.v. lacciuni2 riporta soltanto quanto registrato nel dizionario inedito di (???), ossia ‘agnello che non ha ancora compiuto sei mesi’. Per i pastori di Piana degli Albanesi llaçun designa un agnello partorito tardivamente a maggio e che, dunque, in estate non ha ancora lana sufficiente per essere tosato. Gli agnelli nati a maggio, tuttavia, raramente rimangono in vita fino al periodo della tosatura, poiché sono solitamente destinati alla macellazione in ragione della difficoltà di trovare erba tenera al momento dell’eventuale svezzamento che avverrebbe tra giugno e luglio. 
Questi agnelloni sono generalmente destinati alla macellazione.
La prima fecondazione può avvenire già dal compimento del sesto mese di vita. Nel caso dell’allevamento brado o semibrado è tuttavia correlata alla disponibilità di erba fresca. Il (???) registra rrinisca ma non *rriniscotta. La forma arb. rrinishkote presenta, dunque, lo stesso suffisso -ot(e) [< -ott(o/a)] diminutivo-vezzeggiativo che ricorre anche con i nomi albanesi vajz(ote) ‘ragazz(otta)’, djal(ot) ‘ragazz(otto)’, kopil(ot/e) ‘giovin(ett-o/a)’. Cfr. anche stripote (< sic. strippotta) dim. di stripe ‘di animale lattifero che, non ingravidato per una stagione, non produce provvisoriamente latte’.
L’agg. furçilat(e) designa ovicaprini i cui picozzi presentano la cosiddetta ‘coda di rondine’, cioè un’incrinatura a forma di V, che è segno di vecchiaia e che compare in genere dopo i 5-6 anni d’età. Questo aggettivo – benché non registrato dal VS con l’accezione che ci interessa – è, dunque, certamente un derivato da sic. furceḍḍa ‘forcella’.
V. nota 46.
V. nota 50.
Agg. deverbale da alb. pièll ‘figliare’.
V. nota 49.
Deverbale da alb. dredhi ‘torcere’. L’aggettivo designa, infatti, animali – spec. giovani montoni –  castrati con il metodo della torsione endocrinale. Più generico è il significato dell’alb. shëronj ‘castrare’ (e dell’agg. i shëruam ‘castrato’) conosciuto e usato soltanto dai più anziani e generalmente sostituito dal sicilianismo zgujar (< sic. scugghiari) ‘castrare’ (con agg. zguj / i zgujarm ‘castrato’).
Questo aggettivo –  denominale da sic. latt-i con suff. -us(u/a)i ‘-oso’ –  non è registrato dal (???)Il mancato adattamento della laterale alveolare iniziale (l  [l]) alla fricativa velare (ll [ɣ], cfr., per es., llatare < sic. lattara; llunare < sic. lunara, ecc.) indica una formazione recente di questo aggettivo.
Questo tipo lessicale non è registrato dal (???). Tuttavia, (???) fa riferimento a cumpagnissu o cumpagnissa, a seconda del sesso del «vitello che prende latte da due madri» nella tecnica di lattazione del “falso vitello”.
L’arb. zdillanut è chiaramente formato su llanut (< sic. lanutu ‘che ha molta lana’), benché il (???) non registri la forma  *sdilanutu.
Questo aggettivo non è registrato dal (???). L’arb. fruntarele sembra, tuttavia, formato sul sic. frunti ‘fronte’, con la stessa motivazione dell’it. sfrontato.
Il (???) registra s.v. fuiutizzu, con diverse varianti, sulla scorta di vocabolari settecenteschi e ottocenteschi ((???), (???), (???), (???), (???)), con il solo significato di ‘fuggiasco, latitante’.
Riguardo alla donna il concetto di ‘partorire’ è comunemente espresso con l’eufemismo ble, prop. ‘comprare’, usato come assoluto, così come nel corrispettivo sic. accattari ‘compare’.
Per completezza, si riportano qui anche i nomi di altre parti del corpo umano non condivise dagli animali e pertanto non computate nelle valutazioni quantitative (v. tabb.). Sono tipi albanesi: krip-t ‘capelli’, dor-a ‘mano’, glisht-i ‘dito’, th/ua-oi ‘unghia’, burrul-i ‘gomito’, faq/e-ja ‘guancia’, ciner-i ‘ciglio’; sono sicilianismi: shpalun-i ‘spalla’, gharres-i / karin-a ‘schiena’ 
L’arb. peturin-i  (maschile, prob. per influenza dell’it. petto) ha assunto il significato generico di ‘petto’ (umano e animale) dal sic. pitturina / petturina ‘scherz. seno prosperoso’ e, primariamente, ‘pettino, pettorina’.
È sicuramente albanese il tipo vithe. Rimangono, in verità, oscuri i tipi kom e xambol che non sembrano, tuttavia,  riconducibili a varietà siciliane.
Si è ben consapevoli, infatti, che una tale distribuzione risulta più agevole nei casi estremi quali, per es. ‘gallina’ (concetto comune) vs. ‘maschio del germano reale’ (concetto specialistico); ‘vacca’ vs. ‘vacca che allatta un cucciolo non suo’; ‘pulcino’ vs. ‘pulcino di coturnice’; ecc.
Becco, caprone.
Con la particolare desinenza -ina (di matrice greca, tipica dell’area siciliana nord-orientale) con cui si designa la donna di una determinata famiglia.
Capra pazza.
Capra ghiotta.
Giovane montone.
Montone dimagrito, allampanato.
Montone spelacchiato, calvo.
Dagli occhi prominenti.
Donna della famiglia dei Muntuni (desinenza ina, di origine greca).
Agnello, ma può anche riferirsi a persona mansueta.
Con riferimento al mestiere, ma anche alla pratica di preparare pecorelle di marzapane nel periodo pasquale.
Pastore.
Con frusciari ci si può riferire a un forte flusso diarroico.
Pecora bianca.
Pecora gravida.
Riferito a pecora non fecondata, e perciò priva di latte (*EXSTIRPUS, Farè 3072).
Ricadente nella provincia di Palermo, il territorio delle Madonie  è situato tra la costa e l'entroterra palermitano, tra il messinese e il nisseno-ennese. Si tratta di un'area montana, in buona parte sottoposta a vincolo ambientale, caratterizzata da tre nuclei montuosi, i più alti dei quali raggiungono la quota di quasi duemila metri: il settore centrale, delimitato a sud dal Piano della Battaglia e costituito dal Pizzo Carbonara, dalla Mùfara e dalla Quacella; il settore sud-orientale, che comprende il Monte San Salvatore, il Fanusi e il Cavallo; il settore occidentale, comprendente e il Monte Cervi e il relativo pianoro. A questi si aggiunge il rilievo isolato di Pizzo di Pilo nell'area di nord-est. Il territorio comprende una ventina di centri abitati disposti tra i 400 e i 1200 metri, tutti di piccole dimensioni (per lo più con popolazione intorno a 4000 abitanti).
Con una popolazione di poco meno di 4.000 abitanti, il centro insiste sulla sub-area occidentale delle Madonie.
La capanna che si vede in Figura 1 è una costruzione "fittizia", realizzata durante dei lavori di consolidamento del sito, cfr. nota 5.
Non sono, infatti, costruiti su terreni presi in affitto, non hanno caratteristiche di provvisorietà essendo stati assegnati da tempo ai pastori, sicché ad ogni azienda corrispondevano una o più mànnari considerati e sentiti come una proprietà.
Sul finire degli anni Novanta, gli ovili sono stati oggetto di un intervento di consolidamento e restauro conservativo da parte dell'’Ente Parco delle Madonie. In tale contesto il sito è stato dotato di un impianto di illuminazione, di una serie di camminamenti in pietra, di una capanna di paglia, inesistente, quest'ultima quando i recinti erano ancora usati dai pastori per ricoverarvi le greggi.
Für die perfekte Einrichtung des Beitrags sowie für bibliographische Recherchen danke ich meiner Mitarbeiterin Thea Göhring.
Das Projekt VerbaAlpina wurde mittlerweile um weitere 3 Jahre verlängert. Der Start der Crowdsourcing-Aktion für die III. Projektphase ist für März 2021 geplant. Da es für den Wortschatzbereich "modernes Leben", der in Phase III im Mittelpunkt steht, kaum Sprachmaterial aus Sprachatlanten gibt, ist die Erfassung von Sprachdaten mittels Crowdsourcing in dieser Projektphase noch stärker von Bedeutung als bisher. Während zur Akquirierung von Sprechern in den ersten beiden Projektphasen auch Beiträge in analogen Medien (Zeitungen und Zeitschriften) zum Einsatz kamen, sollen Sprecher in der III. Projektphase schwerpunktmäßig über Beiträge auf Social-Media (Instagram, Facebook, Twitter) akquiriert werden.
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Fra chi parla mandinka in Gambia e nella regione di Casamance (nel sud del Senegal) kankurang è uno spirito incarnato da un danzatore mascherato, considerato il principale custode delle celebrazioni dell’etnia mandingo come il rito della circoncisione e della celebrazione del matrimonio. I mandingo ritengono che il kankurang può curare l’infertilità nelle donne.
Si tratta di due località poste agli estremi del Paese.
Per il termine cf. Krefeld (???).
Molto di quanto qui scritto nasce dal nostro lavoro al progetto Network of Knowledge (2012-2016, finanziamento FWF) e all’Hugo-Schuchardt-Archiv (???). Quest'ultimo presenta l'opera omnia schuchardtiana, le relative recensioni e diverse edizioni dal suo epistolario, costituito da oltre 13.000 lettere e cartoline a lui indirizzate e conservate presso la biblioteca universitaria di Graz (cf. (???)), cui si aggiungono numerose lettere e cartoline scritte da Schuchardt rinvenute in biblioteche e archivi europei e non. Alla fine del 2018 oltre 6000 lettere erano disponibili in edizione digitale.
Consultabile in forma digitalizzata al sito NavigAIS
Quando non diversamente indicato, il numero corrisponde a quello con cui sono archiviati i pezzi di corrispondenza ricevuti da Schuchardt presso la Biblioteca universitaria di Graz, Hugo Schuchardt Nachlass.
Questo si concretizzava da una parte in un fitto scambio epistolare tra scienziati di diverse discipline, dall'altra nei diversi circoli, società e associazioni accademici, come p. es. la società antropologica di Vienna (???).
Non è certo questa la sede per approfondire la storia di tale approccio, per cui rinviamo alle pubblicazioni già citate, ma anche alle collezioni, visitabili in via telematica, di oggetti di interesse etnografico di Hugo Schuchardt (Volkskundemuseum Wien) e di Rudolf Meringer (Institut für Kulturanthropologie und Europäische Ethnologie der Universität Graz) e al carteggio tra Schuchardt e Meringer (???).
Cf. l’edizione (non commentata) in Melchior (???).
Carteggio parzialmente edito in Heinimann ((???), (???)).
La corrispondenza è stata analizzata nell'ambito di una Seminararbeit presso l'Institut für Sprachwissenschaft, ma è tuttora inedita.
L’edizione critica del carteggio è di prossima stampa (???).
Nonostante la corrispondenza tra Schuchardt e Puşcariu continui con discreta costanza fino al 1926, non vi sono cenni al progetto dell'Atlasul lingvistic român, per il quale nel 1922 erano cominciate le inchieste.
È evidente che vi è una reciproca interdipendenza e non possono essere considerati come "passi di lavoro" (sempre) nettamente distinti l'uno dall'altro. Tale distinzione ci pare tuttavia funzionale per capire meglio gli spunti di riflessione teorica che ne nascono.
Weigand raccolse personalmente i dati per il suo atlante nel corso di otto viaggi in loco a partire dal 1895. La pubblicazione dell'atlante avvenne dapprima a fascicoli, dal 1898, e poi in volume nel 1909. Il paradigma neogrammaticale godeva allora ancora di un forte consenso, soprattutto a Lipsia, alma mater di Weigand. Le inchieste per l'AIS, pubblicato a partire dal 1928, furono invece effettuate da tre esploratori appena dopo la fine della Prima Guerra mondiale, a partire dal 1919, in una fase dunque in cui l'approccio di Wörter und Sachen era già stato pienamente recepito dai linguisti svizzeri e non solo.
Gli otto volumi dell'AIS abbracciano 1705 carte, ciascuna delle quali comprende 405 punti d'inchiesta; il Linguistischer Atlas des dacorumänischen Sprachgebiets, in un unico volume, comprende 67 carte che si basano su 752 punti (!) di inchiesta, in cui i materiali vennero raccolti in un tempo assai breve e quasi esclusivamente da Weigand stesso.
Quelli dell'AIS erano di stampo lessicologico-culturale, oltre che fonologico e morfosintattico, nell'atlante di Weigand prevale invece l'interesse fonologico-storico.
Base per le inchieste dell'AIS fu il Fragebuch, elaborato sul modello di quello concepito per l'ALF, mentre Weigand, che pur aveva grande esperienza di lavoro con questionari, si prepose di raccogliere "Normalwörter" che potessero venire utilizzati spontaneamente all'interno di discorsi con gli informanti (per maggiori dettagli sulla metodologia e gli obiettivi dell'atlante romeno cf. (???), per l'AIS cf. (???)).
Meno intensa è la coeva corrispondenza tra Schuchardt e Jaberg: ai diciotto pezzi di corrispondenza di mano di Jaberg conservati a Graz si aggiungono solo tre indirizzati da Schuchardt al collega bernese.
Non si trovano invece spunti metodologici legati alla concezione dell'impresa atlantistica - Weigand sembra piuttosto preoccupato di tenere al corrente Schuchardt dei progressi nel lavoro, annunciandogli la pubblicazione delle diverse sezioni; cf. per esempio la lettera del 2 dicembre 1899 (n° 12704) in cui gli chiede se abbia avuto occasione di scorrere la seconda sezione dell'atlante, appena pubblicata, invitandolo a farne una recensione sul Centralblatt - desiderio che Schuchardt non esaudirà.
Weigand dedicò molto spazio alla descrizione dei suoi viaggi, come nel seguente esempio: "Für die Pferde ist es eine harte Arbeit, auf dem in Schlangenlinien sich windenden Pfade die Berge zu erklettern. Doch mit bewundernswerter Ausdauer überwinden sie alle Anstrengungen. Auf der Höhe ist eine Quelle "Kodru mare = großer Berg“ genannt. Ein überraschender Anblick bietet sich dort dar. Gerade vor uns, scheinbar sehr nahe, liegt V.L. auf halber Bergeshöhe, wie an die Felsen angeklebt. [...] Ein schmaler, gefährlicher Saumpfad führt in einem Stündchen nach V.L. (???).
Nonostante Jud tragga ispirazione dalle idee schuchardtiane, egli fa cenno all''impresa dell'atlante solamente a inchieste iniziate, il 21 agosto 1919 (n° 05195), e appena un anno dopo ne svelerà alcuni parametri, riconoscendo come l'impresa sia debitrice, nella sua concezione, all'insegnamento di Schuchardt: "Das Questionnaire umfasst etwa 2500 Wörter und Sätze: wir hoffen nichts wesentliches ausgelassen zu haben. Neben diesem Normalquest. existiert ein erweitertes Questionn. mit etwa 5000 Wö. u. Fragen, die er auf seiner ganzen Reise an 20 Punkten abfragen soll. In Bünden ist dies im Münstertal und in Lenz (bei Thusis) geschehen. An jedem Ort soll er eine Anzahl Photos von Geräthen aufnehmen, die als Bilderatlas einst veröffentlicht werden sollen. Das ist die teilweise Verwirklichung Ihrer Idee: Sprach- und Bilderatlanten. (n° 05204, 14 aprile 1920)".
Schuchardt (???) scrive "Und in der That finden wir noch auf dieser Seite der Gebirgshöhe Ortschaften deren Sprechweise der französischen Schriftsprache entschieden näher steht als der italienischen. Aber wo sollen wir den Grenzpfahl in den Boden stossen? Etwa da wo wir den Schweinehirten seine Thiere nicht mehr i porci sondern lus cusciuns, les cochons nennen, oder da wo wir zuerst ein Kind von seinem Vater nicht mehr als mio padre, sondern als mon paire, mon père sprechen hören? Ich befürchte, es möchte dabei der besondere Geschmack eines jeden zu Tage kommen".
Jud ritorna su questo punto nella sua lettera del 25 dicembre dello stesso 1917, contrastando in parte la Sprachverwandtschaft schuchardtiana (???): [...] Der Widerspruch bewegt sich in der Richtung, dass ich gerne gesehen hätte, welches die Wahl der Merkmale sein muss, um von einer stetigen geographischen Abstufung reden zu können. [...] Ich gebe zu, dass bei „ungestörten“ Verhältnissen sich die geographische Abstufung mit der sprachlichen in correlatem Verhältnis befindet: aber hat die sprachliche Betrachtung je mit solch primitiver Lagerung zu untersuchen Gelegenheit? Und ist es nicht gerade eines der reizvollsten Probleme zu zeigen – was Sie am Schlusse so eindringlich betonen – dass Sprachgeschichte Volksgeschichte oder besser Geschichte der Sprechenden einer Volksgenossenschaft oder der Menschheit ist? Ist die Gruppierung der italischen Mundarten nicht auch ein Capitel der Geschichte der Italienisch Sprechenden?" (n° 05188)
A questo riguardo si vedano anche le interessanti osservazioni di Goebl (???) sul progetto del Glossaire des patois romands de Suisse sotto l'egida di Louis Gauchat.
Le carte di prova per "Sense und Sichel" che arrivarono a Graz più tardi sono conservate nel lascito di Schuchardt all'interno della sezione Werkmanuskripte al numero d'archivio 17.6.1.6.
In una lettera presumibilmente databile all'inizio del 1921 e sicuramente posteriore alla ricezione delle carte di prova, Schuchardt fa riferimento a possibili migliorie nella rappresentazione delle cose e delle parole sulla carta, che l'ormai quasi ottantenne dovette consultare con l'ausilio di una lente d'ingrandimento.
Ritorna poi sull'argomento oltre due anni dopo, : "Ich kann nur selten und nur wenig arbeiten. Ins Romanische darf ich eigentlich gar nicht mehr hineinreden; wie ich Ihnen schon sagte, bilden der Atlas ling. und andere 'Wälzer' für mich fast unüberwindliche Hindernisse" (Archivio dell'AIS, Berna, lettera non numerata del 18 agosto 1919).
Esemplari di ciò possono essere considerati i cenni che fanno Jaberg/Jud (???) riguardo alla ricerca dell'editore e alle spese dell'AIS.
Così scrive Wunderli (???): "Projekte für einen derartigen Sprachatlas – u.a. den Atlante linguistico mediterraneo, den Atlante linguistico europeo usw. – hat es inzwischen verschiedene gegeben; keines davon ist jedoch auch nur annähernd zur Publikationsreife gediehen. Die Vision Schuchardts eines „übereinzelsprachlichen“ Sprachatlasses dürfte damit nach über hundert Jahren dem Bereich der Utopien zuzuordnen sein".
Il problema dei finanziamenti, a prima vista alleviato dalla raccolta dati tramite web, dunque resta, ma cambia fisionomia: se i costi per le esplorazioni possono essere notevolmente ridotti, ve ne sono altri, di concettualizazione e programmazione delle piattaforme che ospitano gli atlanti, di salvaguardia dei dati, oltre che, naturalmente, di personale scientifico e tecnico che monitora, adegua, rielabora, aggiunge, ecc. nell'ambito di progetti che, per loro natura, non possono mai dirsi conclusi.
Non entriamo qui nelle questioni riguardanti la conservazione e l'archiviazione a lungo termine di grandi quantità di dati, che senz'altro è un quesito di centrale importanza per tutti i progetti delle digital humanities, ma per il quale esistono già esempi di buone pratiche.
Altri problemi sono legati, per esempio, all'interpretazione dei dati forniti in maniera scritta - si pensi alle diverse grafie scelte per la rappresentazione di fonemi dialettali, qualora di questi non siano forniti anche realizzazioni foniche. Ciò comporta, in diversi casi, che tali dati possano essere utilizzati solo per un'analisi di tipo lessicale, ma restino preclusi allo studio fonetico-fonologico. Posto poi il caso che tali dati venissero corredati da registrazioni audio, quale sarebbe lo status da attribuire a queste, che, senza una trascrizione e interpretazione da parte dello scienziato, resterebbero piuttosto dati "grezzi"?
Data la dinamicità e apertura dei nuovi progetti diviene ozioso chiedersi, come invece fecero Jaberg und Jud, se il materiale raccolto sia adeguato a rispondere a interessi scientifici diversi, in quanto esso può continuamente essere integrato e rimodellato.
Eterogeneità che caratterizza anche altri progetti atlantistici: si pensi per es. all'ASLEF (???) o all'ALI (???), che presenta anche dati raccolti in precedenza in altri atlanti. Nonostante le diverse fonti siano indicate, la rappresentazione cartografica appiattisce monodimensionalmente i diversi dati.
Come osservano (???), la natura sfumata dei confini del discorso politico implica che tali confini possano essere di volta in volta ridefiniti a seconda di che cosa si intenda per ‘politica’ e dunque di che cosa si voglia includere in tale dominio. In teoria, gramscianamente, potremmo dire che “tutto è politica” e dunque dovremmo/potremmo considerare proprio del discorso politico ogni testo che affronti tematiche che riguardino l’ambito della politica. Tuttavia, Nella concreta pratica analitica si tende a restringere il campo ai generi prototipici del discorso politico, distinguendo, ad esempio, fra discorsi attinenti l’attività politica istituzionale (parlamentare, governativa, delle figure ufficiali come i capi di stato ecc.), discorsi riguardanti l’attività dei partiti (campagna elettorale, dibattito interno, ecc.) e discorsi in cui la politica diviene oggetto di informazione (in tv, alla radio, sulla carta stampata, sul web).
Non intendo, in questa sede, addentrarmi nella discussione sulla differenza fra ‘testo’ e ‘discorso’. Benché non tutti gli studiosi siano d’accordo nel considerare i due termini come sinonimi, li userò qui, per una mera questione di praticità espositiva, in modo quasi intercambiabile, fermo restando che tenderò ad adoperare il primo quando vorrò riferirmi allo specifico prodotto dell’attività comunicativa, mentre ricorrerò al secondo quando farò specifico riferimento al processo che conduce alla costruzione del testo. Si veda su questo (???) e, per quanto riguarda più nello specifico l’ambito politico, (???). Al tempo stesso, seguendo la terminologia introdotta da Peter Koch (???), userò il termine ‘genere discorsivo’ in riferimento a quelle concrete attività discorsive che arricchiscono i tipi testuali astratti “di pratiche e di regole nate in un contesto storico particolare, ammettendo magari degli incroci tra le categorie astratte” (???).
Faccio qui riferimento al modello di analisi dell’argomentazione elaborato dalla cosiddetta ‘scuola olandese’ (???). Secondo questo modello, i discorsi argomentativi si dislocano lungo un continuum ai due estremi del quale si collocano rispettivamente i discorsi in cui prevale la componente dialettica e i discorsi in cui prevale la componente retorica. La prevalenza della prima si concretizza nei discorsi argomentativi improntati al confronto fra idee, il cui obiettivo è quello di convincere l’interlocutore della giustezza delle proprie posizioni. Questi discorsi sono caratterizzati dal fatto che i partecipanti si dispongono reciprocamente ad ascoltare ed eventualmente a riconoscere la ragionevolezza delle opinioni espresse dall’altro e, dunque a farsi convincere da quelle abbandonando le proprie. Sul piano della teoria politica, questo tipo di discorso argomentativo è quello più vicino al modello di democrazia deliberativa elaborato da Habermas. La prevalenza della seconda componente (quella retorica) si concretizza in discorsi tesi alla persuasione dell’uditorio, usando tutti i mezzi per screditare non solo le idee contrarie alle proprie, ma anche coloro che le professano. Sul piano più generale, si entra qui nel campo della propaganda.
A dire il vero, e per concedere le attenuanti alla categoria alla quale appartengo, gli studi di carattere più propriamente linguistico hanno adottato un modo di procedere più oggettivo, benché abbiano per lo più lavorato sulla descrizione sincronica o diacronica di peculiarità strutturali, che però restano sul piano dell’osservazione empirica, senza spingersi a tentare di giungere a una definizione generale dei caratteri del linguaggio politico.
Capostipite di questo filone di studi è considerato Lasswell (???).
Riporto una delle più note di queste invettive, quella che Pasolini rivolse ai leaders della Democrazia Cristiana: “[...] ogni volta che aprono bocca, essi, per insincerità, per colpevolezza, per paura, per furberia, non fanno altro che mentire. La loro lingua è la lingua della menzogna. E poiché la loro cultura è una putrefatta cultura forense e accademica, mostruosamente mescolata con la cultura tecnologica, in concreto la loro lingua è pura teratologia” (???).
Lorella Cedroni, filosofa della politica prematuramente scomparsa, ha il merito di aver introdotto in Italia la cosiddetta ‘politolingustica’, calco dal tedesco Politolinguistik, termine coniato nel 1996 da Armin Burkhardt per indicare un ambito di analisi interdisciplinare che si colloca al confine fra linguistica e scienze politiche. Essa può essere considerata da un lato come un’area di applicazione degli strumenti dell’analisi linguistica (in particolare della semantica e della linguistica testuale), dall’altro come un campo di interesse della scienza della politica applicato allo studio del linguaggio impiegato dagli attori politici.
Klemperer fa qui riferimento, sul versante della lingua del nazismo, a un verbo (gleichschalten, ‘sincronizzare’, livellare, ‘uniformare’), che secondo lo studioso è fortemente rappresentativa della mentalità nazista: “Par di vedere e di sentire il pulsante che fa assumere a persone, non a delle istituzioni, non a istanze impersonali, posizioni e movimenti automatici uniformi” (ivi: 188). Sul versante del modello linguistico sovietico, invece, l'Autore cita la metafora, attribuita a Lenin, secondo cui l’insegnante è una sorta di “ingegnere dell’anima”. Istituendo (in maniera un po’ forzata) un ragionamento sillogistico, se un ingegnere, che si occupa di solito di macchine, viene associato alla cura dell’anima, se ne dovrebbe concludere che l’anima è una macchina. In realtà, osserva Klemperer, l’uso di questo tipo di metafore nel contesto educativo sovietico si spiega con il fatto che la tecnica era, nell’URSS di quel tempo, considerata il mezzo che avrebbe garantito alle masse popolari la possibilità di liberarsi dalla schiavitù del bisogno e di raggiungere livelli di esistenza più degni della condizione umana.
Dopo la caduta del regime hitleriano, Klemperer riottenne la cattedra di filologia romanza al Politecnico di Dresda e, già alla fine del 1945, aderì al partito comunista. Dopo la sua fondazione ufficiale nel 1949, decise di rimanere nella DDR (Repubblica Democratica Tedesca), ricoprendo anche incarichi ufficiali in seno al mondo accademico di quel paese (traggo queste informazioni dalla postfazione alla quinta edizione italiana della LTI).
Un affresco a tinte fosche del circolo vizioso in cui la lingua della democrazia sarebbe caduta a causa dell’abuso (cioè dell’uso fine a se stessa) della retorica è in Thompson (???).
Edelman individua quattro stili distinti di linguaggio che strutturerebbero il processo politico: lo stile giuridico, lo stile amministrativo e lo stile della contrattazione.
Traggo questo stralcio dal più ampio brano riportato ne L’affaire Moro di Leonardo Sciascia (???).
Secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Interno (http://www.interno.gov.it/sites/default/files/dossier_viminale_ferragosto-dati_1_agosto_2017_31_luglio_2018.pdf) gli omicidi sono calati in un anno (luglio 2017-agosto 2018) del 15% (del 50% negli ultimi 10 anni), mentre i furti dell’8% (del 38% negli ultimi 10 anni).
http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=121167, ultima consultazione 28 ottobre 2018.
Il 20 agosto 2018 la nave della marina militare italiana Ubaldo Diciotti, che  quattro giorni prima aveva soccorso in mare 190 persone, giunge nel porto di Catania. Su ordine del ministero dell'Interno, i migranti sono stati trattenuti a bordo fino alla mezzanotte del 26 agosto. Da qui l'accusa di sequestro di persona rivolta al ministro Salvini. Nel marzo del 2019, il Senato della Repubblica ha negato l'autorizzazione a procedere nei suoi confronti.
Cfr. (???).
Per un quadro generale della vitalità del lessico nella cultura dialettale siciliana, cfr.  (???), il quale – negli ambiti della cultura materiale – attribuiva alla pastorizia una «Buona vitalità/Permanenza della terminologia».
Le informazioni lessicali contemplate in questo studio sono state reperite attraverso indagini sul campo, da me effettuate tra il 1989 e 1991, che hanno coinvolto 5 pastori, 4 contadini, 6 cacciatori e 5 casalinghe (mogli di pastori e contadini) di età compresa tra i 55 e i 90 anni. 
I concetti di seguito considerati sono tuttavia in numero maggiore rispetto ai tipi lessicali qui computati, giacché alcuni di essi sono usati, con restrittori aggettivali o nominali, per designare più concetti: per es.  derr ‘maiale’, derr porkuspin ‘istrice’, derra-dhindjë ‘porcellino d’India’, ecc. ; pulë ‘gallina’, pul-uji ‘gallinella d’acqua’; kuk ‘civetta’, kuku me vesht ‘gufo comune’, ecc. Non sono state computate, altresì, le forme diminutive (quali, per esempio, ljeparush ‘leprotto’ dim. di ljepur ‘lepre’, ecc.; derriçel ‘maialino’ dim. di derr ‘maiale’) e accrescitive (quali, per esempio, kaqicac ‘agnellone’ accr. di kaqic ‘agnello’, ecc.).
Per la trascrizione delle forme arbëreshe si userà l’alfabeto albanese che presenta, per la maggior parte dei fonemi, puntuali corrispondenze con i grafemi dell’alfabeto italiano. Per i grafemi e i digrammi corrispondenti a pronunce diverse o non presenti nel sistema italiano, si considerino le seguenti relazioni: c [ʦ], ç [ʧ], dh [ð], ë [ə], g [g], gh [ɣ], gj [ɟ], h [x], j [j, ʝ], hj [ç], k [k], ll [ɣ], nj [ɲ], q [c], s [s], sh [ʃ], th [θ], x [ʣ], xh [ʤ], z [z]. La vocale finale, separata da un trattino, rappresentata l’articolo determinativo (nominativo singolare): -i e -u sono articoli si nomi maschili;-(j)a è sono articoli di nomi femminili; non occorrono, tra i tipi lessicali qui contemplati, nomi neutri (-t). Gli articoli (i/e) precedono aggettivi rispettivamente maschili (i) e femminili (e);  non occorrono, tra i tipi lessicali qui contemplati, aggettivi neutri (të).
Più spesso, anche tra gli anziani, questa locuzione è reinterpretata paretimologicamente con derra-derra data l’assonanza con l’alb. derra ‘maiali’, ben conosciuto e usato.
Il VS non registra per cavaḍḍina (s. f.) il significato assunto nella varietà arbëreshe qui considerata, ma  – sulla scorta di (???)  e di (???)(sec. XVII e XVIII) quello di ‘mandria di cavalli’. Il sic. cavaḍḍina ha, invece, più frequentemente un uso aggettivale. Tra questi musca c. ‘tafano’, da cui l’arb. mizë kavalinie, dove, tuttavia, il restrittore è nominale (prop. ‘mosca di equini’) e non aggettivale.
Tali potrebbero essere occorrenze del tipo: brumbulli isht un insetto çë fluturon ‘il calabrone è un insetto che vola’; i rettili ndrrojën likurën ‘i rettili cambiano la pelle; ecc. Si veda, tuttavia, la nota 11.
Oggi ricorre solitamente il singolare del tipo qe-u, formato sul plurale (qe < sing. ka), probabilmente in ragione dell’uso di accoppiare questi animali al giogo. L’originaria forma del singolare (ka) si mantiene, tuttavia, cristallizzata nel nome polirematico dell’‘orzaiolo’ siu-kau (prop. ‘occhio di bue’).
I concetti relativi a animali quali, per esempio, ‘aquila’, ‘vipera’, ‘lupo’, ‘volpe’, ecc., sono generalmente noti anche a chi non ne abbia mai visto un esemplare.
Il tipo albanese derr, che designa comunemente il ‘maiale’,  è usato – anche senza il restrittore agg. i egër ~ sarvaç ‘selvatico’ – con il significato di ‘cinghiale’ soprattutto dai cacciatori. Più comunemente occorre il tipo romanzo (u) çingjali, con l’articolo preposto e dunque senza adattamento al sistema flessivo nominale dell’albanese. Così anche il romanzo (u) lupu, che sostituisce l’albanese ulk-u, ancora conosciuto dai più anziani, ma poco usato. Si tratta, in questi casi, di fenomeni la cui valutazione (prestiti di recente acquisizione che denotano la fusione dei microsistemi della determinazione nominale? Fenomeni di code-mixting?) si presenta piuttosto complessa. Per un primo approccio alla questione, cfr. (???).
Tra i cacciatori la ‘lepre’ viene scherzosamente chiamata skarpar-i (< sic. scarparu), prop. ‘calzolaio’.
V. nota 11.
Tra i cacciatori la ‘volpe’ viene scherzosamente chiamata xhuan-a (< sic. Giuanna), prop. ‘Giovanna’.
Il (???) s.v. ggiacaluni registra surci gg. con il significato di ‘ghiro’ per Roccapalumba (PA) e per Isnello (PA), oltre che sulla scorta di (???).  Il nome di questo roditore occorre, benché sempre meno frequentemente e sempre più oscuramente, nell’espressione flë si mi xhahallun ‘dormire come un ghiro’.
Il tipo lessicale xarrakan, la cui origine rimane oscura, è conosciuto ormai soltanto da pochi anziani. 
Probabilmente, il nome di questo insetto è motivato dai colori (rosso e bianco) della sua livrea, che ricorda quelli del costume tradizionale della sposa.
Oggi il consumo di anguille  – pescate un tempo soprattutto nelle acque che confluiscono nel vicino lago di Piana degli Albanesi  – è quasi del tutto in disuso. V. nota 24.
Il tipo albanese è, in verità, dallandishe. Nelle varianti kallandriq/e-ja e, soprattutto, kallandrish/e-ja sembra avere influito il romanzo (sic. kallandrun) ‘calandra’.
Questo tipo lessicale, non riscontrato in altre varietà albanesi,  sembra formato sull’alb. krie ‘testa’ + suffisso -(r)in con probabile valore dim. in verità non riscontrabile in altre formazioni nominali della parlata qui considerata. Il tipo arb. krierin sembrerebbe, comunque, un calco dal sic. tistuliḍḍa (prop. ‘testina, testolina’) gheppio’.
Forma metatetica del più comune alb. lakuriq.
In queste categorie i prestiti siciliani si limitano, come si è visto, al nome del ‘tacchino’ (nie < sic. nia; ghalinaç < sic. gallinàcciu) e a quello del ‘caprone’ (bek < beccu) che compete con l’alb. cujap.
L’esperienza del ‘pidocchio pollino’ era piuttosto comune fino agli anni ’60, allorquando in molte famiglie si allevavano , anche in prossimità delle abitazioni, le galline.
Si consideri che la cultura alimentare tradizionale della comunità è legata all’esperienza montana. Ancora fino agli anni ’70 del secolo scorso, il consumo di pesce era limitato a poche varietà vendute in paese dagli ambulanti, tutti forestieri (e pertanto significativamente chiamati litinj  prop. ‘Latini’). L’unico pesce pescato (nelle foci che confluiscono nel vicino lago) era, come si è detto (v. nota 18), l’anguilla, che conserva il nome alb. ngjal-a.
La carpa, poco apprezzata nella cucina locale, è il pesce più comune nelle acque del lago di Piana degli Albanesi.
I gasteropodi sono ancora molto apprezzati nella cucina locale.
Questo tipo lessicale non è registrato dal (???) né sembra essere stato rilevato nelle indagini siciliane dell’Atlante Linguistico della Sicilia (cfr. (???)). Tuttavia, non è improbabile che l’arb. qaparrin possa originare da una formazione nominale ormai scomparsa nelle varietà siciliano, sulla base di un sic.*acchia(ppa)parrinu costituito da acchappari  ‘acchiappare, ghermire, colpire’ + parrinu ‘prete’, allo stesso modo del sic. strangugghja-parrinu (prop. ‘strozzaprete’) che ha dato origine all’arb. stranguj ‘gnocchi’.
L’arb. nìur non si spiega con il sic. nìgghiu ‘nibbio’. Potrebbe trattarsi di una formazione paretimologica sul sic. nìuru ‘nero’ (partic. per il ‘nibbio bruno’).
Il tipo bedirrus sembra forma paretimologica sul sic. beḍḍu ‘bello’.
Il tipo arb. è certamente formato dal sic. pìula, con un suff. accr. -ac (< sic. -azz/u-a). Il VS registra, tuttavia, soltanto il f. pìula come «den. di alcuni uccelli titonidi, strigidi e corvidi, dei quali  […] barbagianni […] civetta […] cornacchia» dunque non falconiformi qual è la ‘poiana’.
V. nota 11.
Kaqic è forma metatetica di kaciq, che nelle altre varietà albanesi designa, però, il ‘capretto’.
Dim. di ljepur ‘lepre’ con il suffisso alb. -ush, ormai del tutto improduttivo, giacché si ritrova cristallizzato in pochissime forme nominali.
Derriçel è dim. – con suffisso -çel < sic.-(c)eḍḍ(a) – di derr ‘maiale. Il tipo kancirr (< sic. canzirru) è conosciuto, oramai soltanto da parlanti anziani, con il solo significato scherzoso di ‘moccioso’).
Questo tipo lessicale è ormai quasi del tutto caduto in disuso.
Il comunissimo nome del ‘cucciolo di cane’ (ghuc-i) è sicuramente un sicilianismo, benché per l’agg. guzzu il (???) registri (soltanto sulla scorta dei vocabolari secenteschi e settecenteschi (???), (???) e (???)) i significati di cani g. ‘botolo, cane piccolo ma di indole litigiosa e rabbiosa, che ringhia contro tutti’, e (sulla scorta degli ottocenteschi (???) e (???)) il fig. ‘piccolo di statura, corto, basso’
Più comunemente, gharmushel occorre con il significato, anch’esso siciliano, di ‘marmocchio’.
Questo nome è formato dal sic. menzu ‘mezzo’ e l’alb. kunill, sul tipo sic. menzucunìgghiu.
Il (???) non registra per fàrfaru l’accezione che qui ci interessa. Cfr., tuttavia, (???): 159), il quale contempla, tra i diversi nomi del ‘furetto giovane’ anche fàrfaru.
Dim. di fàrfaru. V. nota precedente.
La tassonomia scientifica dei mantelli degli animali – e particolarmente di quella degli equini – è assai più complessa di quella qui considerata, che farà riferimento soltanto ai nomi riscontrati durante l’inchiesta sul campo e dunque, alla tassonomia adottata dai parlanti intervistati. 
Il sicilianismo mirrin designa alcuni mantelli composti binari riferibili a varie sfumature del ‘grigio’ (dal chiaro allo storno, dal pomellato al moscato). Ai nomi di questi manti principali si aggiunga il sicilianismo shkav  (< sic. scavu) con il quale gli anziani contadini designavano – oltre a una persona di carnagione scura – un cavallo dal muso nero.  A Geraci Siculo (PA), (???) registra l’agg f. scava ‘di capra dal manto nero’.   
Pinzirita designa, nel lessico specialistico italiano, una razza ovina autoctona siciliana.  Il (???) registra pinziritu (soltanto per Mistretta-ME e Bivona-AG) agg. ‘di ovini con macchie nere sulla faccia’. Tra i pastori di Piana degli Albanesi ricorre pincirite e kuqe (con lentiggini rosse) o pincirite e zezë (con lentiggini nere).
Molto probabilmente da un sic. *milatu ‘color del miele’ (non registrato dal (???)), giacché per la denominazione del ‘miele’ è comunemente usato l’alb. mjajt.
Prop. ‘monaca’.
L’arb. marcilluar sembra formato sul sic. *marziloru non attestato, però, dal (???) che registra le forme marzolu, marzulinu, marzuḍḍu per animali, formaggi, frutta, nati, prodotti o che maturano nel mese di marzo.
Il (???) s.v. lacciuni2 riporta soltanto quanto registrato nel dizionario inedito di (???), ossia ‘agnello che non ha ancora compiuto sei mesi’. Per i pastori di Piana degli Albanesi llaçun designa un agnello partorito tardivamente a maggio e che, dunque, in estate non ha ancora lana sufficiente per essere tosato. Gli agnelli nati a maggio, tuttavia, raramente rimangono in vita fino al periodo della tosatura, poiché sono solitamente destinati alla macellazione in ragione della difficoltà di trovare erba tenera al momento dell’eventuale svezzamento che avverrebbe tra giugno e luglio. 
Questi agnelloni sono generalmente destinati alla macellazione.
La prima fecondazione può avvenire già dal compimento del sesto mese di vita. Nel caso dell’allevamento brado o semibrado è tuttavia correlata alla disponibilità di erba fresca. Il (???) registra rrinisca ma non *rriniscotta. La forma arb. rrinishkote presenta, dunque, lo stesso suffisso -ot(e) [< -ott(o/a)] diminutivo-vezzeggiativo che ricorre anche con i nomi albanesi vajz(ote) ‘ragazz(otta)’, djal(ot) ‘ragazz(otto)’, kopil(ot/e) ‘giovin(ett-o/a)’. Cfr. anche stripote (< sic. strippotta) dim. di stripe ‘di animale lattifero che, non ingravidato per una stagione, non produce provvisoriamente latte’.
L’agg. furçilat(e) designa ovicaprini i cui picozzi presentano la cosiddetta ‘coda di rondine’, cioè un’incrinatura a forma di V, che è segno di vecchiaia e che compare in genere dopo i 5-6 anni d’età. Questo aggettivo – benché non registrato dal VS con l’accezione che ci interessa – è, dunque, certamente un derivato da sic. furceḍḍa ‘forcella’.
V. nota 46.
V. nota 50.
Agg. deverbale da alb. pièll ‘figliare’.
V. nota 49.
Deverbale da alb. dredhi ‘torcere’. L’aggettivo designa, infatti, animali – spec. giovani montoni –  castrati con il metodo della torsione endocrinale. Più generico è il significato dell’alb. shëronj ‘castrare’ (e dell’agg. i shëruam ‘castrato’) conosciuto e usato soltanto dai più anziani e generalmente sostituito dal sicilianismo zgujar (< sic. scugghiari) ‘castrare’ (con agg. zguj / i zgujarm ‘castrato’).
Questo aggettivo –  denominale da sic. latt-i con suff. -us(u/a)i ‘-oso’ –  non è registrato dal (???)Il mancato adattamento della laterale alveolare iniziale (l  [l]) alla fricativa velare (ll [ɣ], cfr., per es., llatare < sic. lattara; llunare < sic. lunara, ecc.) indica una formazione recente di questo aggettivo.
Questo tipo lessicale non è registrato dal (???). Tuttavia, (???) fa riferimento a cumpagnissu o cumpagnissa, a seconda del sesso del «vitello che prende latte da due madri» nella tecnica di lattazione del “falso vitello”.
L’arb. zdillanut è chiaramente formato su llanut (< sic. lanutu ‘che ha molta lana’), benché il (???) non registri la forma  *sdilanutu.
Questo aggettivo non è registrato dal (???). L’arb. fruntarele sembra, tuttavia, formato sul sic. frunti ‘fronte’, con la stessa motivazione dell’it. sfrontato.
Il (???) registra s.v. fuiutizzu, con diverse varianti, sulla scorta di vocabolari settecenteschi e ottocenteschi ((???), (???), (???), (???), (???)), con il solo significato di ‘fuggiasco, latitante’.
Riguardo alla donna il concetto di ‘partorire’ è comunemente espresso con l’eufemismo ble, prop. ‘comprare’, usato come assoluto, così come nel corrispettivo sic. accattari ‘compare’.
Per completezza, si riportano qui anche i nomi di altre parti del corpo umano non condivise dagli animali e pertanto non computate nelle valutazioni quantitative (v. tabb.). Sono tipi albanesi: krip-t ‘capelli’, dor-a ‘mano’, glisht-i ‘dito’, th/ua-oi ‘unghia’, burrul-i ‘gomito’, faq/e-ja ‘guancia’, ciner-i ‘ciglio’; sono sicilianismi: shpalun-i ‘spalla’, gharres-i / karin-a ‘schiena’ 
L’arb. peturin-i  (maschile, prob. per influenza dell’it. petto) ha assunto il significato generico di ‘petto’ (umano e animale) dal sic. pitturina / petturina ‘scherz. seno prosperoso’ e, primariamente, ‘pettino, pettorina’.
È sicuramente albanese il tipo vithe. Rimangono, in verità, oscuri i tipi kom e xambol che non sembrano, tuttavia,  riconducibili a varietà siciliane.
Si è ben consapevoli, infatti, che una tale distribuzione risulta più agevole nei casi estremi quali, per es. ‘gallina’ (concetto comune) vs. ‘maschio del germano reale’ (concetto specialistico); ‘vacca’ vs. ‘vacca che allatta un cucciolo non suo’; ‘pulcino’ vs. ‘pulcino di coturnice’; ecc.
Becco, caprone.
Con la particolare desinenza -ina (di matrice greca, tipica dell’area siciliana nord-orientale) con cui si designa la donna di una determinata famiglia.
Capra pazza.
Capra ghiotta.
Giovane montone.
Montone dimagrito, allampanato.
Montone spelacchiato, calvo.
Dagli occhi prominenti.
Donna della famiglia dei Muntuni (desinenza ina, di origine greca).
Agnello, ma può anche riferirsi a persona mansueta.
Con riferimento al mestiere, ma anche alla pratica di preparare pecorelle di marzapane nel periodo pasquale.
Pastore.
Con frusciari ci si può riferire a un forte flusso diarroico.
Pecora bianca.
Pecora gravida.
Riferito a pecora non fecondata, e perciò priva di latte (*EXSTIRPUS, Farè 3072).
Ricadente nella provincia di Palermo, il territorio delle Madonie  è situato tra la costa e l'entroterra palermitano, tra il messinese e il nisseno-ennese. Si tratta di un'area montana, in buona parte sottoposta a vincolo ambientale, caratterizzata da tre nuclei montuosi, i più alti dei quali raggiungono la quota di quasi duemila metri: il settore centrale, delimitato a sud dal Piano della Battaglia e costituito dal Pizzo Carbonara, dalla Mùfara e dalla Quacella; il settore sud-orientale, che comprende il Monte San Salvatore, il Fanusi e il Cavallo; il settore occidentale, comprendente e il Monte Cervi e il relativo pianoro. A questi si aggiunge il rilievo isolato di Pizzo di Pilo nell'area di nord-est. Il territorio comprende una ventina di centri abitati disposti tra i 400 e i 1200 metri, tutti di piccole dimensioni (per lo più con popolazione intorno a 4000 abitanti).
Con una popolazione di poco meno di 4.000 abitanti, il centro insiste sulla sub-area occidentale delle Madonie.
La capanna che si vede in Figura 1 è una costruzione "fittizia", realizzata durante dei lavori di consolidamento del sito, cfr. nota 5.
Non sono, infatti, costruiti su terreni presi in affitto, non hanno caratteristiche di provvisorietà essendo stati assegnati da tempo ai pastori, sicché ad ogni azienda corrispondevano una o più mànnari considerati e sentiti come una proprietà.
Sul finire degli anni Novanta, gli ovili sono stati oggetto di un intervento di consolidamento e restauro conservativo da parte dell'’Ente Parco delle Madonie. In tale contesto il sito è stato dotato di un impianto di illuminazione, di una serie di camminamenti in pietra, di una capanna di paglia, inesistente, quest'ultima quando i recinti erano ancora usati dai pastori per ricoverarvi le greggi.
Für die perfekte Einrichtung des Beitrags sowie für bibliographische Recherchen danke ich meiner Mitarbeiterin Thea Göhring.
Das Projekt VerbaAlpina wurde mittlerweile um weitere 3 Jahre verlängert. Der Start der Crowdsourcing-Aktion für die III. Projektphase ist für März 2021 geplant. Da es für den Wortschatzbereich "modernes Leben", der in Phase III im Mittelpunkt steht, kaum Sprachmaterial aus Sprachatlanten gibt, ist die Erfassung von Sprachdaten mittels Crowdsourcing in dieser Projektphase noch stärker von Bedeutung als bisher. Während zur Akquirierung von Sprechern in den ersten beiden Projektphasen auch Beiträge in analogen Medien (Zeitungen und Zeitschriften) zum Einsatz kamen, sollen Sprecher in der III. Projektphase schwerpunktmäßig über Beiträge auf Social-Media (Instagram, Facebook, Twitter) akquiriert werden.
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